“Nell’aprile-maggio del 2000 il procuratore nazionale Piero Luigi Vigna incontra alcuni boss mafiosi, 4 capi mandamento tra cui Pietro Aglieri e Peppino Farinella, i quali sarebbero disponibili a dissociarsi da cosa nostra, cioè a rinnegare cosa nostra, senza pentirsi e accusare nessuno, senza rendere dichiarazioni, quindi a tirarsi indietro purché anche per i mafiosi venisse estesa la normativa premiale prevista dalla legge per i terroristi.”
Commenta così il dottore Alfonso Sabella sulla domanda rivoltagli riguardante la dissociazione da parte dei mafiosi.
“Il procuratore nazionale antimafia prosegue questi colloqui. Questi mafiosi chiedono di incontrarne altri 5, quindi in tutto erano 9 i boss e stiamo parlando di 9 capi mandamento cioè i due terzi della commissione di cosa nostra che stavano in carcere per parlare chiaro, chiedono di incontrarsi tutti in carcere per discutere di questo progetto e quindi di formulare la loro proposta allo Stato, purtroppo è questa la realtà ed è documentata. Il procuratore nazionale antimafia gira la richiesta al ministro Fassino al fine di valutarne la possibilità di fare incontrare questi soggetti; Fassino, che ovviamente stupido non era, gira la cosa a Caselli e a me, che siamo in quel momento al dipartimento di amministrazione penitenziaria, e gli diciamo non se ne parla proprio per le ragioni che più o meno vi ho detto.
Blocchiamo questa storia; la storia venne ricicciata a inizio del 2001 quando tutte le mafie, questa volta non solo cosa nostra, nominano un ambasciatore presso lo Stato che è quel Salvatore Biondino che era stato arrestato con Riina ed era, in realtà, il capo mandamento di San Lorenzo e quindi uno degli uomini più importanti ed influenti di tutta cosa nostra.
Nel novembre di quell’anno io mi trovo di fronte ad una richiesta di Salvatore Biondino e me la comunica mia sorella che era pm a Palermo. Faccio le mie indagini e scopro che, guarda caso, nella stessa sezione dove c’era Biondino erano finiti tutti i nove della trattativa originaria.
A questo punto oggi metto nero su bianco “attenzione qua stanno per trattare” e l’indomani il capo del dipartimento amministrativo penitenziario, che in quel momento era Gianni Tinebra ed era a favore della dissociazione, sopprime il mio ufficio e mi metto a disposizione del Consiglio Superiore della Magistratura. Mi rivolgo alle menti illuminati del CSM e mi dicono che io si ho ragione però non possono spaccare l’unità delle correnti per darmi ragione; quindi me ne posso andare a quel paese. Da quel momento in poi sono stato il cane sciolto, oggetto e bersaglio di qualunque soggetto che volesse sparare su di me ed aveva licenza di uccidere tanto era chiarissimo che non avrei avuto santi in paradiso. Io sono un magistrato che per mia scelta, fin dall’inizio della mia carriera in magistratura, ho abiurato le correnti e le considero un cancro all’interno del sistema della magistratura.
Non dovrebbero essere così e dovrebbero essere luoghi di pensiero ma sono diventati quelle nella misura in cui pretendono, anche tramite l’associazione nazionale magistrati, di esercitare compiti istituzionali che in realtà la costituzione non affida ad un’associazione privata che vale meno, giuridicamente parlando, di un’assemblea di condominio.”
Questa è una parte dell’intervista fatta al dottore Alfonso Sabella, ex pm a Palermo tra il 1993 e il 1999, dalla rubrica “Informazione Antimafia”.