Tutto questo torna alla luce grazie ad una puntata di “Non è l'Arena” condotto da Massimo Giletti in cui fa vedere il video e se ne discute in tv.
Ma raccontiamo ciò che è successo.
Nel 2013, nell'aula magna dell'Università di Chieti, c'è stato un incontro per la presentazione del libro del generale Mario Mori dove era presente pure il colonnello Giuseppe De Donno. Tra gli spettatori c'era un certo Massimiliano Di Pillo, attivista del movimento “Agende Rosse” a Pescara, il quale rivolge una domanda che fa rimettere in dubbio tutto ciò che è successo in quel periodo del gennaio '93. Alla domanda dell'attivista Di Pillo:
”Un affermazione che ha fatto il generale poco fa mi rimane un po' strana e particolare. Come fa ad affermare che che dentro l'appartamento di Riina non c'era nulla, quando si sa per certo che è stato addirittura ritinteggiato il muro e sono stati spostati i mobili.”
Il colonnello Giuseppe De Donno risponde così:
“Molto spesso viene dimenticato un particolare. L'affermazione del generale è basata su due elementi fondati: primo, quando è stato arrestato Salvatore Riina noi, il collega Ultimo, ha sequestrato a Riina una borsa di plastica piena di pizzini, cioè di documenti che riguardavano collegamenti con politici, appalti, imprenditori con una serie di attività economiche illecite che sono state oggetto di sequestro, successive indagini e decine di arresti nei mesi successivi.
Per cui l'archivio reale di Riina noi l'abbiamo preso la mattina che lo abbiamo arrestato. Relativamente al problema della tinteggiatura del covo, questa è una teoria, anche su questo c'è un processo e una sentenza. Un'altra cosa che la stampa non racconta è che quello non era il luogo dove abitava Totò Riina. Quello era il luogo dove abitava la famiglia che noi abbiamo trovato perché, come diceva il generale, Di Maggio identificò Ninetta Bagarella e l'agricoltore che lavorava nel giardino della famiglia Riina, quindi era il luogo dove viveva la famiglia.
Il vero luogo di latitanza di Riina, che non viveva con la famiglia ma in un altro posto, noi non lo abbiamo mai identificato. Abbiamo capito che quello non era il covo anche perché noi abbiamo filmato durante le settimane precedenti il covo e mai abbiamo visto Ninetta Bagarella, anche perché non avevamo nemmeno una foto per identificarla e lì Riina ci stava solo saltuariamente. Dopo facemmo una riunione in procura e proponemmo la costituzione di un gruppo di lavoro che fu a me affidato, per la gestione dell'indagine sui fratelli Sansone, cioè noi ipotizzammo esattamente questo: abbiamo arrestato Riina a distanza, abbiamo preso la busta con tutti i pizzini che sono agli atti, quella è la casa della famiglia dove i mafiosi non lasciano documenti in base a dei risultati precedenti, perciò non abbiamo la certezza che conosciamo il posto dove si nascondeva e quindi lavoriamo sui Sansone. Il gruppo di lavoro iniziò le attività ,a furono interrotte una settimana dopo perché “Repubblica” pubblicò il nome dei Sansone.[…]”
Adesso è vero che il generale Mori e il capitano De Caprio, alias Ultimo, sono stati assolti nel processo della non perquisizione del covo nel 2005 perché “il fatto non costituisce reato” ma altrettanto veri sono i fatti che si sono succeduti e vale a dire l'arresto dell'allora capo dei capi Totò Riina, la mancata perquisizione del suo covo in via Bernini 54, lo svuotamento del covo e della cassaforte da parte dei “successori” e la ritinteggiatura del covo per eliminare qualsiasi traccia.
Antonio Ingroia, presente in trasmissione, afferma:
"Fossi stato un magistrato avrei aperto un fascicolo domani mattina", “la circostanza mi sorprende abbastanza perché lo apprendo per la prima volta. Una dichiarazione per altro detta in termini così categorici. Sino ad oggi abbiamo una sentenza definitiva su quella vicenda. C'è sempre stato detto, e che rimane accertato dalle sentenze, che quello era il cosiddetto covo di Riina, non il covo della famiglia di Riina".
Anche perché, avvalorando quanto detto, fino ad ora i carabinieri avevano affermato tutt'altra cosa e cioè che la videosorveglianza al cancello di via Bernini iniziò il 14 all'alba e finì il 15 pomeriggio senza informare i pm di Palermo.
Dopo il caos scoppiato a seguito della puntata di Giletti, arriva la smentita di De Donno: “Ho confuso la villetta dei Gangi con quella di Riina”. Nella tarda serata di martedì 28 febbraio l'ex colonnello, parlando all’Adnkronos, ha detto di aver sicuramente fatto
"confusione tra le attività di osservazione su imprenditori come i Ganci, durate molto tempo, e quelle svolte su via Bernini dove erano coinvolti gli imprenditori Sansone, e durate un paio di giorni. In quel comprensorio insistevano una serie di villette, in una delle quali abitava il boss e la sua famiglia e dove ribadisco, a mio giudizio, non credo ci fosse il 'covo' di Salvatore Riina".
De Donno, dopo aver sottolineato che comunque si tratta di argomenti "di oltre trent'anni fa", spiega all'Adnkronos di voler offrire
"una più corretta e completa informazione con riguardo alle frasi pronunciate in occasione della presentazione, anni fa, di un libro all'università di Chieti, e di cui si dato ampio risalto stampa, premesso che delle attività d'indagine dirette dal capitano Ultimo non conoscevo i dettagli operativi".
"Nella foga e nella necessaria sintesi del racconto – ha aggiunto l'ex colonnello dei Ros – ho evidentemente sovrapposto ricordi giungendo poi a parlare del gruppo di lavoro che era stato costituito con i carabinieri di Palermo e che avrei dovuto dirigere per indagare sul circuito economico e politico di riferimento per Cosa nostra, iniziando le attività di indagine dalla documentazione che il boss, da poco catturato, aveva con sé, fornendo inconsapevolmente elementi ad interpretazioni erronee e fuorvianti".
Solo che, come da una cartina mostrata nel programma di 'Non è l'Arena', era impossibile sorvegliare e videosorvegliare la villetta dei Gangi in quanto si trovava in una stradina isolata di campagna e, quindi, facile da scoprire.
E, comunque, la parte strana è che sicuramente De Donno ha potuto avere un vuoto di memoria, ma al suo fianco c'era Mori che stette tutto il tempo in silenzio e senza intervenire per modificare le rivelazioni e raccontare ciò che è successo realmente.
Ciò che fa riflettere sono pure le parole dette dallo stesso De Donno nella caserma “Bonsignore” dove si tenne la conferenza stampa dopo la cattura di Riina: “Qualcuno dovrebbe andare via da Palermo, vergognandosi..”. Forse si riferiva al fatto del successivo ritrovamento della cassaforte svuotata e, adesso, dei pizzini rinvenuti da Riina?
O si riferiva al fatto delle voci che circolavano secondo il quale fu Provenzano a far sapere dove si nascondesse Riina e non Balduccio Di Maggio?
Sono tanti gli interrogativi ancora da scoprire.
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2023-07-14 18:22:22
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