L'interrogatorio di Matteo Messina Denaro si è svolto in presenza dei p.m. De Lucia e Guido ed in presenza di Matteo Messina Denaro e del suo avvocato difensore. Sembra quasi di rivedere le dichiarazioni di Totò Riina. Afferma di non essere un mafioso, di conoscere Cosa Nostra solo dal giornale e di
“sentirsi uomo d'onore, nel senso di altri e non come mafioso.”
Afferma pure di non aver commesso né omicidi né traffico di stupefacenti né estorsione. Parla di diverse cose: della conoscenza di Provenzano e dello scambio di lettere ma afferma di averlo conosciuto solo
“tramite la tv. Non l'ho mai conosciuto visivamente. Gli scrivevo perché quando si fa un certo tipo di vita, poi arrivato ad un dato momento ci dobbiamo incontrare, perché io latitante accusato di mafia, lui latitante accusato di mafia, dove si va?”.
Poi parla del rapporto epistolare con Vaccarino e spiega come aveva capito già da mesi prima dell'ultima lettera firmata con il suo nome e cognome che era pilotato dai Ros.
Parla della sua ricchezza, di quella di suo padre e dei ritrovamenti archeologici che hanno fatto e di come lo redistribuivano nel mercato. L'unica cosa che continua ad affermare è che non è un mafioso e che non farà mai i nomi di altre persone che non sono mai state toccate dalle indagini.
Parla di storia, di libri proprio per far capire, in maniera velata, che pure lui è acculturato. Inoltre se la chiama fuori dal tentato omicidio del questore Germanà e sono presenti diversi “Omissis”.
Parla del collaboratore di giustizia Geraci Francesco, che lo accusato di molte cose e morto di tumore la settimana prima dell'interrogatorio, e che lui sapeva dove abitasse a Bologna, in che via e che cosa faceva. Poi si definisce con un ossimoro: “Mi definisco un criminale onesto”.
Poi afferma:
“Allora ascolti, non voglio essere… non voglio fare né il superuomo e nemmeno arrogante: voi mi avete preso per la malattia, senza la malattia non mi prendevate.”.
Parla del suo rapporto con il vero Andrea Bonafede, con il medico Alfonso Tumbarello e con gli abitanti di Campobello e Palermo.
Sui suoi movimenti e precauzioni afferma che:
“tutte le telecamere di Campobello e Castelvetrano le so, prima perché ho l'aggeggio che le cercava, che non l'avete trovato; e poi perché le riconosco. Poi c'era un segnale, il Maresciallo dei Ros Ivati, c'era sempre lui; appena si vedeva Ivati con due/tre fermi in un angolo, già stavano mettendo una telecamera, anche se ancora non avevano messo mano.”.
Parla della sua malattia, di come è venuto a conoscenza e delle cure che ha fatto.
Poi parla del concorso esterno definendolo come farlocco. Si è voluto difendere sulla frase del 23 maggio su Falcone:
“Io non è che volevo offendere il giudice Falcone, non mi interessa. Se invece del giudice Falcone fosse stato Garibaldi, la mia reazione sempre quella sarebbe stata, perché non si possono permettere di bloccare un'autostrada per decine di chilometri: così vi fate odiare pure dalla gente.”.
Inoltre cerca di chiamarsela fuori dall'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo indicandosi solo come mandante e non come esecutore e come colui che lo ha sciolto nell'acido, nemmeno tra coloro che hanno preso questa decisione indicando gli unici responsabili i fratelli Brusca.
Parla pure di Giletti e del suo programma, di un episodio in particolare: quando
“Giletti chiede pubblicamente al dottore De Lucia di indagare a fondo sull'omicidio, e non suicidio, del maresciallo Lombardo.”
Per finire dice:
“Dottore De Lucia, io non mi farò mai pentito. […] Ma era giusto che io andassi in carcere, se mi prendevate; e ci siamo arrivati. Ma una domanda così, che lascia il tempo che trova: ma cosa è cambiato secondo lei?
C'è una corruzione fuori, c'è una corruzione fuori indecente… si sono concentrati sempre tutti su di me e quello che c'è fuori voi pensate di immaginarlo tutto, ma non lo sapete tutto…”
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2023-08-30 16:21:57
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