- Francesco Zanardi – Carpineto Romano: Padre Carlos Alberto Pérez condannato anche in appello
Si è svolto mercoledì a Piazzale Clodio il processo di appello a padre Carlos Alberto Pérez, un colombiano con una serie di abusi alle spalle e trasferito in Italia, a Carpineto Romano, dove però ha reiterato su più minori gli stessi crimini.
La Corte di appello di Roma ha confermato la condanna, in primo grado otto anni, con la riduzione a 7 in appello.
Il religioso dell’Istituto Missionario colombiano di San Giovanni Eudes, residente a Carpineto Romano da qualche anno, era stato arrestato dai carabinieri pochi giorni prima della Pasqua dell’anno scorso, su ordine del giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Velletri.
Da una lettera in nostro possesso datata 31 agosto 2018, mosignor Humberto Lugo Arguelles – Fondatore del carisma della casita– accusava in un documento di nove pagine, l’ex Responsabile, Jesús Amaya León di una serie di irregolarità, comprese le complicità in casi di pedofilia, tra cui quello di Perez, tuttavia accolto a Carpineto Romano.
La chiesa italiana sembra non abbia mai indagato su chi sia il responsabile del suo trasferimento malgrado i precedenti.
- Federica Tourn – La diocesi di Roma riabilita Rupnik
«Emerge con chiarezza che in seno al Centro Aletti è presente una vita comunitaria sana e priva di particolari criticità»: questo il risultato della visita canonica disposta dal cardinale vicario di Roma, il vescovo Angelo De Donatis, sul Centro fondato da Marko Rupnik, l’ex gesuita accusato di aver abusato di almeno una ventina di donne. Non solo: il cardinale vicario ha messo in dubbio la scomunica in cui era incorso Rupnik per aver assolto in confessione una donna con cui aveva avuto un rapporto sessuale e che gli era stata rimessa pochi giorni dopo, molto probabilmente dal papa in persona.
La visita canonica, avviata il 16 gennaio scorso, aveva l’obiettivo di indagare sulle dinamiche interne all’équipe del Centro Aletti, associazione pubblica di fedeli dal giugno 2019, e in particolare, sui rapporti fra l’attuale gruppo dirigente e Rupnik. La relazione finale del visitatore incaricato, don Giacomo Incitti, docente di Diritto Canonico presso la Pontificia Università Urbaniana, attesta che «la vicenda ha aiutato le persone che vivono l’esperienza del Centro Aletti a rafforzare la fiducia nel Signore, nella consapevolezza che il dono della vita di Dio si fa spazio anche attraverso la prova».
Il visitatore canonico non ha avuto nulla da ridire sul fatto che la direttrice del Centro Maria Campatelli – ricevuta qualche giorno fa in udienza privata dal papa – fosse in prima fila il 5 marzo scorso, insieme al resto dell’équipe, quando Rupnik concelebrava nella basilica di Santa Prassede a Roma, violando il divieto dei suoi superiori di esercitare attività ministeriale e sacramentale in pubblico; o sugli esercizi spirituali che Rupnik avrebbe dovuto condurre per il Centro Aletti, in violazione delle restrizioni imposte dalla Compagnia; e, soprattutto, non ha commentato gli abusi che il sacerdote e artista commetteva anche nei locali del Centro, a Roma, approfittando del suo ruolo, come più di una vittima ha testimoniato alla Compagnia di Gesù nel corso dell’indagine avviata lo scorso febbraio.
Ludovica Eugenio – Lettera delle vittime di Rupnik
E continuiamo a occuparci del caso Rupnik, perché in seguito allo sconcertante comunicato del vicariato di Roma sull’esito della visita canonica al Centro Aletti, 5 vittime hanno rivolto una lettera aperta a papa Francesco, al cardinal vicario De Donatis, al cardinale Zuppi, presidente della CEI e al Cardinal Braz de Aviz, prefetto del Dicastero per i religiosi. E lo hanno fatto senza nascondere la loro identità: Fabrizia Raguso, Mira Stare, Gloria Branciani, Vida Bernard e Mirjam Kovac. «L’udienza privata concessa dal papa a Maria Campatelli, ex religiosa della Comunità Loyola e attuale presidente del Centro Aletti e il comunicato diffuso oggi – affermano le firmatarie nella lettera, pubblicata sul sito del Coordinamento ItalyChurchToo – ci lasciano senza parole, senza più voce per gridare il nostro sconcerto, il nostro scandalo».
Sono due fatti che dimostrano, dichiarano, che “alla chiesa non interessa nulla delle vittime e di chi chiede giustizia; e che la “tolleranza zero sugli abusi nella chiesa” è stata solo una campagna pubblicitaria”. “Non c’è posto in questa chiesa per chi ricorda verità scomode”, aggiungono, “tutta la sofferenza delle vittime l’abbiamo esposta come una ferita aperta, e certo disgustosa…. E le vittime sono perciò state censurate per non essere state discrete, ma aver esposto qualcosa di ripugnante: il loro dolore”. “La manipolazione e gli abusi ne hanno ferito per sempre la dignità. Tutto quello che hanno ricevuto e continuano a ricevere è solo silenzio”.
Il report della visita canonica, che tenta di riabilitare di fatto Rupnik, “ridicolizza – sottolineano le firmatarie ”il dolore delle vittime, ma anche di tutta la chiesa, mortalmente ferita da tanta tracotanza ostentata”.
In questo contesto, continuano, il colloquio concesso dal papa a Campatelli è sbattuto, in faccia alle vittime; un incontro che il papa a loro ha negato, così come non ha mai risposto a quattro lettere a lui recapitate nel luglio 2021. E così, le vittime sono lasciate “nel grido afono di un nuovo abuso”.
Il testo integrale della lettera è pubblicata nella sezione blog del sito www.italychurchtoo.org. Ed è possibile sottoscriverla scrivendo a postmaster@italychurchtoo.org
Alessio Di Florio – Un’agghiacciante storia tra la Sicilia e il Vaticano
La pedofilia e gli abusi da parte di membri della Chiesa sono stati tabù, totalmente censurati per tanti anni. La prima a spezzare l’omertà è stata Sinead O Connor, perseguitata, isolata, boicottata, insultata da allora e persino da morta. Trattata come una pazza o quasi per quella denuncia pubblica. Solo dieci anni dopo arrivò Spotlight, inchiesta giornalista statunitense che scoperchiò il vaso di Pandora negli USA. Uno dei protagonisti, vent’anni dopo, lo ritroviamo in una denuncia di abusi che dalla Sicilia arriva in Vaticano.
Ne hanno scritto Repubblica, intervistando la vittima, e con un’approfondita inchiesta Federica Tourn su Domani. A febbraio dell’anno scorso viene licenziato monsignor John Anthony Abruzzese, originario di Boston e canonico della Basilica papale di Santa Maria Maggiore all’Esquilino.
Abruzzese da bambino è stato chierichetto di “Johnny l’Allegro”, come veniva chiamato padre John Gheogan, il prete pedofilo condannato nel 2002 per violenza su minori e ucciso l’anno seguente in carcere. Gheogan, abusatore seriale a cui sono state attribuite 130 vittime in trent’anni di sacerdozio, ha fatto da detonatore al primo grande scandalo sulla pedofilia nella Chiesa cattolica, portato all’attenzione internazionale dall’inchiesta del Boston Globe, da cui è stato tratto il film Spotlight. La vittima invece è stata abbandonata al suo destino dalla Chiesa. Un’ordinaria storia di brutalità ecclesiastica, in cui eminenti personalità ecclesiastiche si premurano di allontanare un sacerdote perché ospita un ragazzo, soltanto quando questi si decide a rivelare al suo vescovo la violenza subìta. Senza preoccuparsi quindi della vittima né di fermare i suoi potenziali abusatori, ma facendo attenzione a non venire coinvolte in scandali di pedofilia, sottolinea Federica Tourn su Domani.
Abusi, manipolazione, stalking: il ragazzo dichiara di aver vissuto sotto il controllo totale di questo prete, in uno stato di soggezione fisico e mentale che lo ha più volte portato in ospedale in preda a crisi di ansia o in seguito a tentativi di suicidio. Il 22 marzo 2021 il ragazzo si rivolge alla giustizia ecclesiastica, e il giorno successivo a quella civile, ma ad oggi non si sa nulla dell’indagine. Il ragazzo, esasperato, dopo la denuncia chiede più volte al vescovo di intervenire nei confronti di questo sacerdote, che continua a dire messa e a frequentare le attività parrocchiali anche con i bambini ma senza risultato. Soltanto il 16 novembre 2021, quando la vittima decide di parlare con la stampa, il vescovo comunica in una nota ufficiale che il prete, «residente nella diocesi di Siracusa senza alcun incarico», il 31 ottobre è stato interdetto dall’esercizio pubblico del ministero.
Federico Tulli – Le domande esca di un prete pedofilo alla sua preda
«Hai commesso atti impuri? Quali? Ti sei toccato? Dove? Quello che hai fatto è un peccato molto grave, difficile da perdonare, lo sai? Se fai quello che ti dico, chiederò io a Dio di perdonarti, sei d’accordo? Sai mantenere un segreto?».
Queste che avete appena sentito sono le domande solitamente utilizzate da preti pedofili per carpire informazioni e per verificare il grado di vulnerabilità della possibile preda. Il dato è emerso dall’indagine conoscitiva della Conferenza episcopale tedesca del 2011-2014 e lo ha reso noto il vescovo di Treviri, Stephan Ackermann.
«Ogni violenza che abbiamo accertato era premeditata con perfidia. I sacerdoti hanno carpito “pazientemente” la fiducia delle loro vittime e, dopo la manipolazione psicologica, ne hanno abusato in momenti di tranquillità. Durante la preghiera e soprattutto durante la confessione» ha detto mons. Ackermann al quotidiano Rhein Zeitung.
Ackermann nel 2010 è stato responsabile della commissione indipendente d’inchiesta commissionata dalla Chiesa tedesca nelle diocesi di Monaco, Essen, Magonza e Ratisbona. Al termine dell’indagine furono accertate circa 1.200 vittime di sacerdoti pedofili negli anni dal 1950 al 1980.
In Italia non solo non è mai stata realizzata un’indagine approfondita come quella tedesca per realizzare l’identikit del prete pedofilo e di conseguenza organizzare una efficace prevenzione del crimine e tutela dei bambini che frequentano scuole e luoghi religiosi, ma la Conferenza episcopale italiana ha opposto uno sprezzante silenzio a tutti coloro che dall’interno del mondo cattolico chiedono da anni a gran voce di innalzare l’età della comunione da 7 anni almeno a 12-14 come era stato fino a circa un secolo fa. A cosa servirebbe? L’eucarestia è un sacramento strettamente correlato a quello della confessione ed è nel tempo della confessione che notoriamente avviene gran parte delle violenze.
Anche perché tutto quel che accade nel confessionale è soggetto al sigillo sacramentale, al segreto che se violato comporta la scomunica. E questo per decenni è stata la matrice dell’impunità per migliaia di preti violentatori. «Nessun abuso è successo per caso» ha detto il vescovo Ackermann nell’intervista citata in precedenza. Ma per i vescovi italiani si tratta di una considerazione irrilevante.
- Francesco Zanardi – Voci per la giustizia: Sopravvissuti e attivisti di tutto il mondo si riuniscono per la tolleranza zero in vista del Sinodo Papale
Ending Clergy Abuse (ECA), una coalizione globale di leader di sopravvissuti, attivisti e avvocati per i diritti umani, che rappresenta le vittime di 25 Paesi nei 5 continenti, annuncia una serie di eventi a Roma, incentrati sulla richiesta a Papa Francesco di firmare un mandato vincolante e universale di tolleranza zero prima del Sinodo.
Nel frattempo Dieci sopravvissuti e attivisti hanno iniziato una marcia verso Roma, partendo da Montefiascone, portando una croce di legno di 8 piedi con un messaggio di tolleranza zero e distribuendo volantini che esortano i residenti lungo la strada, a denunciare gli abusi del clero alle autorità civili locali e a promuovere il loro messaggio e le attività previste a Roma.
Attraverseranno le città di Viterbo, Caprarola, Sutri, Campagnano di Roma, Isola Farnese fino a Roma.
Lo speciale di questa settimana
Carpineto Romano – La chiesa complice di padre Carlos Alberto Pérez Arco. Sapevano dal 2018
2023-09-25 19:13:47
13