Federica Tourn – Il prete che si definiva “mendicante d’amore” per attirare i ragazzini
La Rete L’Abuso, l’associazione sopravvissuti agli abusi del clero, a ottobre ha presentato un esposto in Procura a Bergamo nei confronti di don Valentino Savoldi, 78 anni, per le sue «presunte condotte criminali ai danni di circa una decina di persone».
Si definisce «un mendicante d’amore», don Valentino Salvoldi, sacerdote della diocesi di Bergamo. Dopo essere stato missionario in Africa, torna in Italia e all’inizio degli anni ’90 comincia ad organizzare campi per giovani adulti. Ben presto, però, decide di rivolgersi agli adolescenti perché, sostiene, è quella l’età in cui si forma la persona e dopo «è tardi per cambiare». Li invita a cercare la verità, a viaggiare e a scegliersi un maestro di vita che li guidi. Proprio questo è il rapporto che lui instaura con i suoi “prediletti”, a cui rivolge attenzioni speciali, baciandoli sulla bocca e portandoseli nel letto “per un riposino” o per la confessione.
«Valentino nei campi aveva creato una realtà alternativa, in cui le regole del mondo esterno non valevano: ti invitava a esplorare il tuo corpo, ti incoraggiava a esprimerti, a ribellarti alle convenzioni e nel farlo ti riempiva di elogi, ti convinceva che eri nel giusto», racconta Stefano Schiavon, che ha frequentato i suoi campi a partire dal 1998, quando aveva diciassette anni. Don Salvoldi ha modi informali, sa come conquistarsi la fiducia dei ragazzi quando evoca culture lontane in cui l’amore non è mai proibito ma sempre «generoso, prolifico, senza barriere». «Aveva 35 anni più di me e quando mi baciava era sgradevole, ma lo accettavo come parte dell’esperienza speciale che lui proponeva» dice Andrea Travani, un’altra vittima, all’epoca minorenne. Soprattutto, quel prete che pare così colto ripete ai suoi preferiti che loro hanno menti superiori e sono destinati a realizzare grandi cose: alla molestia sessuale, si somma quindi la manipolazione psicologica. «Il rapporto fisico era la conseguenza dell’appartenere alla sua “élite”: mentre mi toccava, continuava a dirmi che ero unico e avevo qualità straordinarie, mi faceva il lavaggio del cervello», spiega Travani.
Prete fidei donum, Salvoldi è anche un autore e conferenziere affermato. All’inizio del Duemila ha fondato la onlus Shalom, «un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale, avente come finalità la formazione morale e la crescita culturale dei giovani». Presidente è il fratello, Giancarlo Salvoldi, politico, eletto alla Camera dei Deputati per i Verdi dal 1987 al 1992. Dopo qualche anno la onlus viene messa in liquidazione e in rete non si trovano tracce di progetti effettivamente realizzati.
La Rete l’Abuso ha segnalato il caso alla diocesi di Bergamo, dove il prete risulta ancora incardinato, e al presidente della Cei Matteo Zuppi.
Fonte: Domani
Francesco Zanardi – Sentenza e condanna definitiva per Don Vincenzo Esposito
La sentenza è diventata definitiva e Don Vincenzo Esposito è stato condannato a cinque anni per induzione alla prostituzione minorile. Lo hanno condotto in carcere dopo che la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della difesa. I legali stanno valutando se rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo perché al sacerdote non sarebbe stato garantito un equo processo.
Originario de provincia di Palermo, e parroco a San Feliciano Magione in Umbria, Esposito fu intercettato dai carabinieri della compagnia di Termini Imerese mentre effettuava delle videochiamate hard con quattro ragazzini di 16 e 17 anni. In cambio dava loro dei soldi, tramite ricariche telefoniche o Postpay. Piccole cifre comprese fra 10 e 30 euro, utilizzati per andare a mangiare la pizza con gli amici o recarsi dal barbiere.
Esposito, il cui fine pena è previsto nel 2026, dovrà risarcire i familiari dei ragazzini, parte civile con l’assistenza degli avvocati Francesco Paolo Sanfilippo, Giuseppe Canzone e Caterina Intile.
Una parentesi nel contesto di “una stimata missione pastorale” che non configurava il reato di prostituzione minorile. Così si era difeso il sacerdote sostenendo di non avere chiesto ai minorenni di effettuare le videochiamate. Sarebbe stata una iniziativa dei ragazzini. Esposito si limitava a guardare gli adolescenti in atteggiamenti intimi, prima di servire messa o celebrare un funerale.
Fonte Live Sicilia
Alessio Di Florio – La Chiesa cattolica italiana continua a non affrontare il proprio scandalo degli abusi sessuali
Sono passati ventuno anni da quando negli Stati Uniti scoppiò il “caso Spotlight”, lo scandalo degli abusi sessuali su minori da parte di preti cattolici, che spinse la conferenza episcopale del Paese a redigere la prima Carta per la protezione dei bambini e dei giovani nella Chiesa, che consentiva di rimuovere i membri del clero colpevoli e alle diocesi venne chiesto di collaborare con le autorità civili in casi di violenza contro i minori in nome della trasparenza.
In cinque lustri tanto è cambiato e anche il Vaticano ha introdotto politiche per proteggere le vittime, collaborare con le autorità giudiziarie in diversi paesi e riflettere sulle cause profonde dello scandalo, vale a dire l’abuso di potere e di coscienza, e la tendenza della Chiesa a difendere l’istituzione a tutti i costi.
Il nuovo approccio vaticano è comunque molto limitato: nella realtà di migliaia di diocesi sparse in tutto il mondo la segretezza spesso prevale sulla ricerca della verità, la Chiesa cattolica italiana sembra essere insuperabile nel mantenere un rigido voto di silenzio. Negli ultimi anni si è distinta per la tendenza a lasciare le cose come stanno, sperando che i problemi prima o poi svaniscano. Ma alla fine questo non è stato possibile con lo scandalo degli abusi, soprattutto quando divenne chiaro che avrebbe continuato ad allargarsi e a travolgere la Chiesa in molti paesi. In Francia, Germania, Australia, Austria, Belgio e altri Stati sono state avviate commissioni indipendenti o ci sono stati comunque sconvolgimenti all’interno delle Chiese. In Italia sono stati pubblicati due report sugli abusi da parte della Conferenza Episcopale ma chi sperava in una svolta verso la verità e la giustizia è rimasto deluso: si tiene conto solo dei casi di abusi denunciati ai centri di ascolto ad hoc nel biennio 2020-2021, escludendo quelli pervenuti alla magistratura o a terzi. partiti. Durante questo periodo di tempo ridicolmente breve, nel pieno della pandemia di COVID-19 , sono stati segnalati 89 casi di abuso da 30 centri. Ed è stata completamente esclusa ogni possibilità di creare commissioni indipendenti: “Non creeremo una commissione nazionale composta da persone che non sanno nulla della vita della Chiesa, che si qualificano come oggettive solo perché non sono vescovi, né preti, né credenti, come è stato fatto altrove e causato danni”, ha affermato mons. Lorenzo Ghizzoni, presidente del Servizio nazionale per la protezione dei minori e delle persone vulnerabili del Consiglio dei vescovi, presentando il rapporto del novembre 2022 sugli abusi.
Fonte: worldcrunch.com/
Ludovica Eugenio – Le religiose della Comunità Loyola, co-fondata da Marko Ivan Rupnik e da Ivanka Hosta, torneranno allo stato laicale
Tutte le religiose della Comunità Loyola, co-fondata dall’ex gesuita e noto mosaicista sloveno accusato di abusi sessuali Marko Ivan Rupnik e da Ivanka Hosta e recentemente sciolta dal Vaticano, torneranno allo stato laicale. Una conclusione per nulla scontata anche dopo il recente scioglimento della Comunità da parte del Vaticano, come se si affermasse che un carisma autentico non c’è mai stato, che ai voti pronunciati non viene (più) riconosciuta una validità. A rivelare i dettagli del provvedimento, che non è stato pubblicato, è colui che della Comunità Loyola è stato il commissario per due anni, il vescovo ausiliare di Roma mons. Daniele Libanori, in una intervista rilasciata all’agenzia Aci Prensa il 22/12 e ripresa dalla Catholic News Agency. Libanori ha anche rivelato che sarà istituito un fondo per assistere le donne che appartenevano alla comunità al momento del suo scioglimento. La Comunità Loyola, creata in Slovenia negli anni ’80 da Ivanka Hosta e Rupnik, accusati di aver commesso per decenni gravi abusi sessuali, spirituali e psicologici sulle consorelle, è stata sciolta dal Dicastero per gli Istituti di Vita consacrata e le società di Vita apostolica lo scorso ottobre, dopo la lunga indagine condotta da mons. Libanori, il quale ha affermato che coloro che ne facevano parte «sono allo stesso tempo dispensate dai voti religiosi e ritornano allo stato laicale», trovandosi quindi «nelle stesse condizioni di tutti i laici». Nessun risarcimento è invece previsto, dal momento che, ha spiegato Libanori, «bisogna distinguere tra lo scioglimento dell’istituto e gli abusi attribuiti a Marko Rupnik».
E fino a oggi non c’è l’ombra di processi, sentenze o condanne a carico di Rupnik, nonostante papa Francesco abbia deciso di derogare alla prescrizione per i presunti abusi sessuali denunciati, rendendo così possibile un processo. Tuttavia,«il patrimonio intestato alla Comunità di Loyola – ha affermato Libanori – servirà a creare un fondo per l’assistenza di tutte le suore che erano incardinate nella comunità al momento della soppressione».
Ivanka Hosta, che ha servito dal 1994 come superiora generale della Comunità di Loyola, è stata rimossa a giugno di quest’anno dal suo ruolo e le è stato proibito di contattare le attuali o ex suore per tre anni. Quanto a Rupnik, espulso lo scorso giugno dalla Compagnia di Gesù, ma solo per disobbedienza ai provvedimenti restrittivi imposti dall’Ordine, oggi è attivo come prete, essendo stato incardinato nella diocesi di Capodistria, nella sua Slovenia.
Federico Tulli – Perché tanto odio?
Silenzio e preghiera. È la pena comminata dalla Chiesa cattolica agli ecclesiastici che violano le sue leggi interne. È il modo in cui di norma la Chiesa «reagisce» pubblicamente alle notizie sui crimini compiuti da ecclesiastici in diverse parti del mondo. Sono le parole usate da papa Francesco per commentare l’accusa – che gli è stata rivolta dall’ex nunzio vaticano negli Usa, monsignor Carlo Maria Viganò – di aver insabbiato le denunce per abusi su minori e adulti contro l’ex cardinale e arcivescovo emerito di Washington Theodore McCarrick. «Perché la verità è mite, la verità è silenziosa, la verità non è rumorosa» e quindi «il giudizio fatelo voi», disse Bergoglio il 3 settembre 2018 durante la sua omelia a Santa Marta.
Come si combina l’esortazione al silenzio e alla preghiera con i suoi frequenti proclami di «tolleranza zero»? Bisogna considerare innanzitutto che è prassi consolidata in Vaticano intervenire pubblicamente laddove non è più possibile celare e risolvere le situazioni di crisi nelle «segrete stanze». Inoltre, le fragilità di un ecclesiastico, le sue cadute, ancorché sfocino nel comportamento
criminale, per la Chiesa sono pur sempre peccati, e dai peccati Dio salva, e verso i peccatori vanno usati misericordia e perdono, perché «chi tra voi è senza peccato scagli la prima pietra».
Questa doppia morale affonda le sue radici nella confusione che la Chiesa fa tra reato e peccato. L’abuso, per fare un esempio, cioè «l’atto sessuale di un chierico con un minore», è ritenuto un’offesa a Dio, in violazione del sesto comandamento, prima che una violenza efferata contro
una persona. Di conseguenza i responsabili, secondo la visione degli appartenenti al clero, devono risponderne all’Altissimo, nella persona del suo rappresentante in Terra, e non alle leggi della società civile di cui fanno parte.
Oltretevere la chiamano giustizia. Una giustizia, diciamo noi, che piega le esigenze della carità alle convenienze della monarchia papale. E che si fonda sulla convinzione che il più violento dei crimini nei confronti di un bambino o una bambina sia prima di tutto un delitto contro la morale.
E come tale viene trattato: il punto non è tanto evitare che un pedofilo ghermisca la sua preda ma che un prete «con» la sua vittima facciano del «male» a Dio. È questo
che è intollerabile, sta qui la «tolleranza zero» del pontefice tanto esaltato anche dai progressisti in Italia. È pertanto lecito chiedersi, perché tanto odio nei confronti dei bambini?