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Report indaga su Berlusconi e la famiglia La Russa

Dopo l'audizione in commissione vigilanza Rai, Report annuncia che non si fermerà e che anzi indagherà pure sui rapporti di Berlusconi e la famiglia La Russa

by Antonino Schilirò
18 Gennaio 2024
in Attualità
Reading Time: 7 mins read
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“Dopo le dure polemiche del presidente del Senato contro l’inchiesta di andata in onda un mese fa, Report ritorna sull’argomento con un’intervista inedita a un ex parlamentare e dirigente nazionale dell’Msi che conferma i rapporti della famiglia La Russa con alcuni finanzieri opachi, uno dei quali ha fatto fortuna grazie alle leggi razziali contro gli ebrei, e con il banchiere della mafia e della P2 Michele Sindona.

Nel corso della puntata sarà trasmessa anche l’intervista esclusiva a uno degli ex militanti neofascisti condannati per l’omicidio del poliziotto Antonio Marino che rivelerà particolari inediti legati agli scontri e ai risarcimenti di quel 2 aprile 1973, noto come il giovedì nero di Milano.

Report ricostruirà inoltre la genesi delle relazioni tra il presidente del Senato e Silvio Berlusconi, attraverso la testimonianza di un ex parlamentare di Alleanza Nazionale e del Popolo della libertà, e l’origine della frattura tra Fini e Berlusconi.

Infine, Report rivelerà le dinamiche riguardanti il cognato di Ignazio La Russa, Gaetano Raspagliesi, per l’acquisto di un altro call center, questa volta in Lombardia”

scrive così Report sul proprio sito in anteprima della nuova puntata del 12 novembre 2023 dopo l’audizione in commissione vigilanza Rai.

La famiglia La Russa si è trasferita a Milano negli anni ’50 ma ha mantenuto le radici ben radicate a Paternò, dove sono nati. Però tra il 2005 e il 2011, epoca della giunta Formigoni, a Paternò sono proliferati dei call center.

Casualmente il primo call center nato lo ha aperto la regione Lombardia e si chiamava: Lombardia call. La scelta di spostare una parte importante dei servizi sanitari in Sicilia è stata presa nel 2004, quando il Presidente della giunta era proprio Roberto Formigoni.

“Questo è un accordo politico, così deve essere e deve andare a Paternò. Sul tavolo delle scelte politiche della maggioranza di Regione Lombardia in quel momento, quella era una partita che stava ad Alleanza Nazionale che aveva chiesto di poter portare il call center a Paternò. Tutte le trattative che comportavano nomine o incarichi venivano sempre e solo fatte dai capigruppo. All’epoca il capogruppo era Romano La Russa, fratello di Ignazio.”

afferma così ai microfoni di Report Monica Rizzi, ex consigliera ed ex assessora della Regione Lombardia.

A Paternò il cognato di La Russa, Gaetano Raspagliesi, ha aperto un call center, si chiama Midica, è il 2004 solo che è schermato da una fiduciaria e nessuno lo sa. Nel giro di poco tempo riesce a fatturare fino 5 milioni di euro, questo grazie a commesse pubbliche dalla Regione Lombardia, dall’Inps e dalle Poste. Secondo testimonianze raccolte sul territorio questo call center servirebbe a raccogliere consensi politici vicino alla famiglia La Russa.

Nonostante questo dopo pochi anni i conti vanno in rosso e Midica rischia di saltare. Nel 2008 si fa avanti una cordata di imprenditori bresciani capeggiati da Patrizio Argenterio, fornitore di servizi informatici per il gruppo Fondiaria Sai di Salvatore Ligresti che lo avrebbe spinto a rilevare il call center del Ministro della Difesa in difficoltà.

Il cognato di La Russa, dopo l’esperienza fallimentare di Midica da cui si è salvato grazie alla cordata bresciana, costituisce una nuova società che si chiama Melodica e prova ad acquisire un altro call center, questa volta in Lombardia che fa capo a una importante azienda del settore, la Blue Call.

“La Blue Call è un pilastro della storia della ‘ndrangheta lombarda. È una società in cui gli amministratori chiesero l’intervento della ‘ndrangheta per favorire determinate situazioni e la ‘ndrangheta se ne impossessò con le sue tecniche.”

afferma così ai microfoni di Report Gian Gaetano Bellavia, ex consulente della Procura di Milano.

La Blue Call, attraverso la sua partecipata Future srl, fatturava con i call center oltre 10 milioni di euro all’anno e sulla carta era un’azienda perfettamente in salute. Faceva riferimento a un imprenditore brianzolo, Andrea Ruffino. È lui a far entrare in azienda una delle più pericolose e potenti cosche di ‘ndrangheta della piana di Gioia Tauro, la famiglia Bellocco.

“Ruffino ha avuto il torto di mettersi con della gente che non andava bene, erano tutti dei mafiosi o dei ‘ndranghetisti e la cosa diventava pericolosa da un lato e dal punto di vista economico un disastro.”

afferma l’ex amministratore delegato della Future srl, Luigi Segù.

Nel frattempo la ‘ndrangheta svuota sistematicamente le casse della società e Ruffino prova a mettersi di mezzo ma viene minacciato con un coltello. A quel punto Raspagliesi si era già da qualche mese interessato alla Future srl.

“Ruffino ad un certo punto mi dice ‘Sai, questa sera andiamo a cena in un ristorante di Milano così ti faccio conoscere Raspagliesi. È un signore che può darci una mano’. Era uno che diceva ‘Io ti porto delle competenze per cui ti risollevo l’azienda, eccetera.’ non si è mai capito quale era la sua funzione”

continua così Luigi Segù.

Intercettato dalla Procura di Milano, Ruffino in delle telefonate afferma che

con l’entrata di Raspagliesi, essendo il cognato di La Russa, avrebbe consentito di avere maggiore potere negoziale con la ‘ndrangheta dei Bellocco e liberarsi della loro presenza.

“Era forse il luglio del 2011 e vedo il Longo che continua a venire lì, in una riunione e prende a schiaffi Ruffino di fronte a 10 persone e mi pare che ci fosse anche Raspagliesi. Sono stato io ad andare dai carabinieri un giorno per denunciare l’entrata della ‘ndrangheta in società”

afferma Segù.

Raspagliesi non solo non denuncia ma inizialmente entra nell’affare.

Nel luglio del 2011 con Melodica, acquista per 2 milioni e 800 mila euro l’80% della Future srl, l’azienda controllata dalla ‘ndrangheta e 3 mesi dopo cede quelle quote per 700mila euro all’Alveberg, l’azienda che faceva riferimento secondo le sentenze definitive faceva riferimento all’uomo della ‘ndrangheta dei Bellocco, Carlo Longo.

“Questo acquisto potrebbe essere farlocco in accordo con Ruffino. Questo qui è il modus operandi della ‘ndrangheta”

afferma Segù.

Emergerà dalle carte che effettivamente Raspagliesi ha pagato a Ruffino 100mila euro quelle quote (quindi non 2milioni e 800mila euro), ma dichiarerà poi ai magistrati di avere incassato realmente i 700mila euro dall’uomo rappresentante di Bellocco.

  • Ruffino è stato condannato per avere favorito la ‘ndrangheta;
  • Carlo Longo, l’uomo dei Bellocco, è stato condannato a 10 anni e
  • Raspagliesi non è stato indagato.

Nella sentenza di primo grado i giudici scriveranno che la sua testimonianza è stata contraddittoria tesa soprattutto a minimizzare allo scopo di chiamarsi fuori come testimone oculare di alcune vicende a cui aveva assistito.

Su questo né Raspagliesi né il Presidente del Senato hanno dato il loro punto di vista se non in altri programmi attaccando Report.

Una persona che conferma questa ricostruzione dei fatti è stata trovata. Si parla di Tommaso Staiti di Cuddia,

“cuore nero sempre a destra ed ex parlamentare dell’MSI”.

Negli anni ’80 Tommaso Staiti di Cuddia è uno dei principali esponenti dell’MSI di Milano, ricoprendo per qualche anno anche il ruolo di segretario provinciale. Le ostilità nascono da una vendita di un immobile a Milano.

In una intervista inedita, rilasciata ai giornalisti Andrea Sceresini e Maria Elena Scandaliato, afferma:

“Incontrai ad un comitato dell’MSI a Roma Antonino La Russa, il quale mi disse ‘Staiti che bella giacca che teniamo, sarebbe un peccato rovinarla con dei buchi’. Questo perché avevo toccato Michelangelo Virgillito, cioè il nervo scoperto della famiglia La Russa è questo.”

Michelangelo Virgillito, anch’egli di Paternò, era partito con le scarpe bucate e a Milano diventa milionario grazie al possesso dei beni degli ebrei colpiti dalle leggi razziali del 1938. Immobiliarista e finanziere poi nel dopoguerra, negli anni ’50 chiama a gestire la sua galassia societaria il papà di Ignazio La Russa, Antonino, che rimarrà ai vertici di quelle società anche quando Virgillito morirà. Lascerà un patrimonio di 10 miliardi di vecchie lire e chiederà di essere seppellito all’eremo di Fonte Avellana, l’unico laico in mezzo a tanti frati camaldolesi.

Un anno prima della sua morte è emerso che, nel passaggio della Liquigas nelle mani di Ursini (altro controverso imprenditore) dietro le scalate finanziarie di quel gruppo societario c’era la mano di Michele Sindona, il banchiere della P2 e della mafia, condannato per l’omicidio del banchiere Ambrosoli commesso nel luglio del 1979. Si chiude così un periodo degli anni di piombo in Lombardia, cominciato con la strage di Piazza Fontana e poi con quello della Loggia nel 1974. però in mezzo c’è stato il giovedì nero di Milano.

Secondo un rapporto riservato della SEC (Commissione per i Titoli e gli Scambi) americana, Sindona sarebbe stato l’amministratore occulto della Liquigas e deus ex machina di alcune operazioni finanziarie del gruppo come l’acquisizione di Richard Ginori Ceramiche Pozzi, nel cui cda sedeva proprio Antonino La Russa.

“Nel 1976 a elezioni politiche anticipate era stata ventilata, su suggerimento di Antonino La Russa, la candidatura di Michele Sindona in un collegio senatoriale sicuro della Sicilia.”

afferma così Tommaso Staiti di Cuddia.

Alla fine Sindona non viene candidato ma l’MSI porta in Parlamento un altro iscritto alla Loggia P2, candidando nelle sue liste il Generale Vito Miceli che è l’ex direttore del Servizio Segreto Militare Italiano che era accusato, all’epoca della candidatura, di aver partecipato al tentativo di golpe denominato “La Rosa Dei Venti” finanziato, secondo la ricostruzione dei pm, proprio dal banchiere della mafia Michele Sindona.

Secondo lo storico Davide Conti

“Gli uomini che erano stati compromessi con le inchieste relative alle vicende della strategia della tensione, venivano molto spesso candidati nelle liste dell’MSI grazie alla proposta politica, al patrocinio politico di quella che era la Democrazia Cristiana.”

 

La puntata continua. Se volete guardarla cliccate qui.

immagine di copertina presa dal web

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Antonino Schilirò

Appassionato di politica e lotta alle mafie conduco, insieme al giornalista Giuseppe Notaro, la rubrica online sui social "Informazione Antimafia". Responsabile comunicazione dell'associazione Dioghenes Aps, con sede distaccata aperta a Maletto (CT). Inviato dell'emittente televisiva siciliana Telemistretta

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