Solo grazie ad Augusto Di Meo è stato risolto, processualmente, l'omicidio di don Peppe Diana (19 marzo 1994), commesso dalla fazione De Falco, antagonista a quella del clan dei Casalesi. Da subito era partita la macchina del fango: «Quel prete è stato ucciso perché se la faceva con le donne», «nascondeva armi», «era un poco di buono». Tutto falso. Accuse infamanti per nascondere la verità.
«Ora deve spiegare la questione dei rifiuti tossici con i quali hanno avvelenato i nostri territori. Deve parlare dei legami che hanno caratterizzato e rafforzato il sanguinario clan dei Casalesi». Comincia così la nostra conversazione con Augusto Di Meo, di professione fotografo, testimone di un delitto efferato di camorra.
Quel giorno, il 19 marzo del 1994, era presente nella sacrestia della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe. Con Augusto, dopo trenta anni dall'orribile omicidio è stato riconosciuto testimone di giustizia, abbiamo affrontato la scelta della belva mafiosa, capo dei casalesi, Francesco Schiavone, noto come Sandokan, di collaborare con la giustizia.
Una scelta arrivata con 26 anni di ritardo.
«Il nostro territorio ha bisogno di sapere la verità. Mai dette. Lui ha avuto un ruolo apicale, dopo 26 anni potrebbe dire un sacco di cose. Non capisco che tipo di pentimento è…»
Cosa non capisce?
«Dopo 26 anni, forse, si sarà convertito. Alla malattia non ci credo. È un tempo lunghissimo, ci può anche stare. Ma dovrebbe essere qualcosa che dà uno scossone al territorio. La cosa che mi ha sorpreso è quando ha detto: ‘io sono un uomo d’onore e dirò tutta la verità’. Secondo me avrebbe dovuto dire: ‘chiedo scusa al popolo di Casal di Principe e alle persone perbene dei nostri territori. Hanno espresso il male ed è naturale farlo. È scritto nel documento di don Peppe Diana».
Per Amore del mio Popolo.
«Documento ancora molto attuale. La camorra è una forma di terrorismo che incute paura e poi parla delle connivenze politiche e di Stato. E' arrivato il momento di liberarsi dal suo fardello. Noi siamo stati dall’altra parte della barricata ma c’è stato anche chi ci ha mangiato».
Sta parlando degli imprenditori?
«Tutti coloro che stavano nel registro. Come quello delle ferrovie, per esempio. C’è un fermento…»
Che aria si respira sul territorio di Casal di Principe?
«Sicuramente un’aria nuova, un’aria fresca. Un vero profumo di libertà. Questo pentimento dovrebbe dare la mazzata finale al clan. Sperando che seguiranno altri, come Zagaria (che è stato bloccato in passato dai suoi familiari, nda). Sarà un altro miracolo di don Peppe?»
Per Catello Maresca, magistrato e consulente della Commissione bicamerale per le questioni regionali, “la mafia casalese ormai non esiste più”. Lei la pensa allo stesso modo?
«Ha cambiato pelle. È stato ridimensionato il clan ma esiste ancora la forma mentis di vivere nella illegalità. Stanno nelle amministrazioni, sentiamo tutti i giorni queste notizie, le indagini che si fanno. È cambiata la reazione dello Stato, la capacità di leggere bene il territorio. Lo Stato riesce a fare lo Stato. tutto questo parte dalla morte di don Diana. Se mi fossi tirato indietro oggi non staremmo qui a fare questa telefonata, perché ci sarebbe stata la camorra ancora agguerrita e quell'omicidio sarebbe rimasto un omicidio passionale».
Quando parliamo della morte di Don Peppe Diana (19 marzo del ’94) ci riferiamo alla fazione De Falco. Ma Sandokan potrebbe aggiungere qualche altro elemento sull'omicidio del parroco?
«Credo di sì. Mi rifaccio alle parole che diceva la mamma di don Peppe, quando alcuni dicevano che non erano stati loro e prendevano le distanze. La madre ripeteva spesso che la responsabilità era di tutti.
Che significato assume, oggi, il termine “casalese”?
«Adesso è un termine assolutamente positivo. È stata fatta confusione per anni. Il termine riguarda un popolo non un clan. Questa cosa ci ha marchiati, incuteva timore. Da noi c’è un popolo perbene».
Credi fino in fondo al pentimento di 'Sandokan'?
«Dobbiamo aspettare per rispondere a questa domanda».
NELLE PROSSIME ORE L'INTERVISTA ESCLUSIVA A LORENZO DIANA (già componente della Commissione parlamentare Antimafia, per il suo impegno minacciato di morte dal clan dei casalesi).
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INTERVISTA. Parla il testimone oculare Augusto Di Meo: «mi hanno lasciato da solo. Pure la Chiesa mi ha abbandonato. Oggi non sono riconosciuto nemmeno come un testimone di giustizia». “Per amore del mio popolo” è il titolo del manifesto del 1991 dei parroci contro la camorra.
- «Sono stato giudicato da un tribunale morale»
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2024-04-05 18:50:26
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