Ma al di là del problema fondamentale di definire che cosa rientra o meno tra i LEP, rimane aperta la questione economica. Come, infatti, ha sottolineato in un’audizione in Senato la Banca d’Italia,
«la definizione dei LEP non implica tuttavia che le prestazioni individuate come essenziali siano adeguatamente finanziate ed effettivamente erogate su tutto il territorio nazionale».
E la nuova legge sull’autonomia differenziata approvata dalla Camera stabilisce, all’art. 4, che alle regioni può essere concessa maggiore autonomia se non ci siano maggiori costi a carico dello Stato. Se invece questi costi ci sono, la concessione di maggiore autonomia può avvenire solo dopo l’entrata in vigore di provvedimenti legislativi che stanzino le risorse economiche necessarie a far fronte ai maggiori costi. Per quanto riguarda l’autonomia relativa a materie che non sono collegate ai LEP, invece, questa può essere concessa solo nei limiti delle risorse economiche già a disposizione dello Stato.
Con l’approvazione della legge sull’autonomia differenziata non vuol dire che automaticamente le regioni avranno subito maggiori poteri decisionali. Infatti, come già sottolineato, le Regioni devono trovare un’intesa con lo Stato. E questa legge approvata stabilisce il procedimento da seguire per approvare queste intese.
Come prima cosa, le regioni a statuto ordinario che vogliono più autonomia devono deliberare la richiesta da presentare al governo centrale. In seguito questa richiesta deve essere presentata al presidente del Consiglio e al ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, che ha il compito di avviare le trattative con le singole regioni. Il negoziato inizia al più tardi dopo due mesi e dopo che i ministeri competenti nelle materie su cui è richiesta maggiore autonomia hanno espresso le loro valutazioni.
Per le materie che riguardano i LEP, il negoziato si svolge su ogni singola materia e, per «tutelare l’unità giuridica» del Paese e l’unità di «indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie», il governo può decidere di limitare il negoziato solo su alcune materie. In seguito, il Consiglio dei ministri deve approvare uno schema di intesa preliminare tra lo Stato e la singola regione che chiede più autonomia, che deve essere trasmesso alla cosiddetta “Conferenza unificata”. Questo organismo è composto da rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni ed entro sessanta giorni deve esprimere un proprio parere sullo schema. Successivamente, lo schema dell’intesa passa al Parlamento, dove le commissioni competenti avranno novanta giorni di tempo per esprimersi a riguardo. Dopo questi passaggi, l’intesa preliminare tra lo Stato e la regione torna in Consiglio dei ministri per scrivere l’accordo definitivo. Se il presidente del Consiglio di turno decide di non rispettare, in tutto o in parte, le indicazioni della Camera e del Senato, deve recarsi in Parlamento e motivare la sua decisione. Superati questi passaggi, si ritorna al punto iniziale, con la regione che deve esprimersi sull’intesa raggiunta con lo Stato.
Passati 45 giorni dall’eventuale via libera della regione, il Consiglio dei ministri approva l’intesa finale, il cui percorso non si esaurisce però così. Infatti, in base alla nuova legge sull’autonomia differenziata, serve poi che sia la Camera sia il Senato approvino un disegno di legge per confermare l’accordo siglato tra lo Stato e la regione. Come abbiamo visto, in base alla Costituzione questo disegno di legge deve essere approvato a maggioranza assoluta dei componenti della Camera e del Senato, ossia dalla metà più uno dei deputati e dei senatori. Ma qui si apre un problema di interpretazione.
In base all’articolo 116 della Costituzione, la legge che dà maggiore autonomia alla regione che ne fa richiesta deve essere approvata
«sulla base di intesa fra lo Stato e la regione interessata».
Questa formulazione ha però «ampi margini interpretativi», come sottolineato da un dossier della Camera. Secondo alcuni, il disegno di legge approvato dal Parlamento deve recepire semplicemente il contenuto dell’intesa sottoscritta tra il governo e la regione.
Una volta concluso questo lungo percorso, l’intesa tra una regione e lo Stato non ha una scadenza indefinita nel tempo. La legge approvata dal Parlamento, infatti stabilisce all’art. 7 che negli accordi dovrà essere specificata la durata dell’intesa, che in ogni caso non potrà essere superiore ai dieci anni. Gli stessi accordi, una volta approvati, potranno comunque essere modificati o cessati prima della loro scadenza. Se vorrà rinnovare l’accordo, la regione dovrà fare richiesta allo Stato dodici mesi prima della sua scadenza.
La nuova legge sull’autonomia differenziata ha previsto poi alcune forme di controllo per valutare gli effetti dell’intesa a livello economico. Sarà creata in base all’art. 5 una
“Commissione paritetica Stato-Regione-Autonomie locali”,
che avrà il compito di fare proposte su come individuare i beni e le risorse umane e finanziarie necessarie per esercitare, da parte della regione, le nuove forme di autonomia concessagli dallo Stato. Ogni anno questa commissione dovrà monitorare in base all’art. 8 gli oneri finanziari che sono derivati dall’intesa tra lo Stato e la singola regione, nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica e garantendo l’equilibrio di bilancio. Anche la Corte dei Conti avrà un ruolo di monitoraggio:
ogni anno dovrà riferire in Parlamento sui risultati dei suoi controlli a livello finanziario.
immagine copertina pixabay
Autonomia differenziata
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