La «holding degli schiavisti» documentata e denunciata da Dino Frisullo trent’anni fa, il CARA di Mineo che da supposta cittadella della solidarietà e dell’accoglienza divenne ben altro, sono pagine della storia repubblicana italiana davanti gli occhi di tutti.
Non c’è bisogno di smuoversi in tutto il «globo terracqueo», non c’è necessità di cercare chissà quali oscuri figuri che operano nell’ombra e con il «favore delle tenebre». Sono pagine che abbiamo riportato nei giorni scorsi dopo alcune recenti dichiarazioni della Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni su «anomalie sui flussi migratori» che secondo lei potrebbero essere segnali dell’intervento di mafie e trafficanti.
Che, appunto, agiscono praticamente alla luce del sole, che sono parte integrante della storia repubblicana, quella repubblica che li ha anche favoriti, sostenuti, finanziati. Con consenso bipartisan perché le complicità, i favori e le accondiscendenze abbracciano tutto o quasi il fu “arco costituzionale”. L’emblema di tutto questo è la Libia e gli accordi con un governo esistente solo per le cancellerie europee e dove, in realtà, sono ormai almeno dieci anni che viene impedito di esprimersi con libere elezioni alla cittadinanza.
Claudio Lolli descrisse l’ipocrita borghesia come grigia e perbene che si porta a spasso le sue catene.
Catene che, troppo spesso, soddisfatta dei danni altrui e se si arresta chi non veste a festa con i capi famiglia in testa, impone in basso, a chi esclude dal suo ricco banchetto. Catene che sono quotidianità nelle periferie dello sfruttamento e dello schiavismo lungo il Belpaese. O a al di là del mare.
Nei lager in Libia di boss, clan, schiavisti, torturatori, nazisti mafiosi del XXI secolo. Sostenuti, foraggiati, finanziati, a cui sono alleati coloro che detengono le sfere del Potere italico. I primi accordi ci furono già quasi vent’anni fa con Gheddafi, portati avanti “amichevolmente” da almeno due governi. Gli attuali accordi con il supposto governo libico fu sottoscritto la prima volta da Minniti ed è stato sempre rinnovato sotto tutti gli ultimi governi. Questo quanto riportammo su questi accordi in un nostro articolo oltre quattro anni fa.
«Nei primi tre anni dalla firma dell’accordo almeno 40 mila persone, tra cui migliaia di minori, sono state intercettate in mare, riportate in Libia e sottoposte a sofferenze inimmaginabili» (parole della direttrice di Amnesty International per l’Europa Marie Struther) […]
Il memorandum è stato firmato tre anni fa, negli stessi mesi in cui l’Italia accoglieva Abd al-Rahaman al-Milad detto Bija, considerato il maggior boss del traffico di esseri umani in Libia e accusato anche da documentati rapporti delle Nazioni Unite, come da molto tempo denunciano Nello Scavo e Nancy Porsia. Davanti alle coste libiche il «mai più» è evaporato e continua ad evaporare come neve al sole. Bija fu ospitato dal governo italiano nel maggio 2017 quando partecipò ad un summit internazionale concordare strategie comuni tra Italia e Libia su come bloccare le partenze dei migranti dall’Africa, per poi essere accompagnato in un tour tra alcuni centri per migranti in Italia e la sede della guardia costiera di Roma. Nancy Porsia già mesi prima della firma del memorandum documentò il ruolo centrale di Bija nel traffico e nella prigionia dei migranti in Libia.
A Tripoli, denunciò l’Unicef, fingono di arrestare i migranti clandestini e li tengono nei loro centri, senza cibo e senza acqua, prendono loro i soldi, li sfruttano, abusano delle donne e poi li trasportano nella zona di Garabulli per farli partire con i gommoni, con la complicità di parte della guardia costiera. Pochi giorni prima il Times aveva pubblicato un video dove si vede un trafficante, identificato nello stesso Bija, frustare alcuni migranti.
L’8 maggio 2018 un rapporto della Procura della Corte dell’Aja ha definito il trattamento dei migranti nei centri riconducibili a Bija «crudele, inumano e degradante».
«Le sue forze – viene riportato – erano state destinatarie di una delle navi che l’Italia ha fornito alla Lybian Coast Guard». Mentre la sua milizia avrebbe «beneficiato del Programma Ue di addestramento» nell’ambito delle operazioni navali Eunavfor Med e Operazione Sophia.
Un rapporto del segretario delle Nazioni Unite Gutierres ha documentato che la guardia costiera libica «trasferisce migranti in centri di detenzione non ufficiali» dove funzionari governativi li «vendono» ai trafficanti e le donne subiscono ripetute sevizie sessuali, crimini per i quali Gutierres accusa di esserne responsabili gli Stati che finanziano ed equipaggiano a fondo perduto le autorità libiche, tra cui l’Italia.
Perdita della libertà e detenzione arbitraria in luoghi di detenzione ufficiali e non ufficiali; tortura, compresa la violenza sessuale; rapimento per riscatto; estorsione; lavoro forzato; uccisioni illegali, «l’Unsmil ha continuato a ricevere segnalazioni credibili di detenzione prolungata e arbitraria – ha denunciato sempre Gutierres – torture, sparizioni forzate, cattive condizioni di detenzione, negligenza medica e rifiuto di visite da parte di famiglie e avvocati da parte di i responsabili delle carceri e di altri luoghi di privazione della libertà».
Pochi mesi dopo la firma del memorandum Italia-Libia, la CNN ha documentato un’asta in cui i migranti vengono venduti come schiavi, lo stesso traffico denunciato dall’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni che ha riportato testimonianze di percosse, stupri, torture, persone cosparse di benzina e date alle fiamme, a cui hanno sparato o sono stati lasciati morire di fame.
Torture, stupri, arresti arbitrari. Il primo accordo inter-governativo tra Italia e Libia era stato sottoscritto l’anno prima. Una ricerca dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni nel 2017 ha denunciato che il 70 per cento delle persone giunte in Europa sono state vittime del traffico di organi, il 6 per cento degli intervistati ha affermato di essere stato in contatto con qualcuno costretto a farsi prelevare sangue o a pagare parte del viaggio con un organo.
Il 10 ottobre di quell’anno la Corte d’Assise di Milano condannò a tre anni di reclusione il somalo Matammud Osman per omicidio, sequestro di persona in concorso e continuato a scopo estorsivo e violenza sessuale aggravata.
Secondo la sentenza Osman, componente di un’organizzazione che gestiva un campo a Beni Walid in Libia, ha sequestrato e torturato moltissimi suoi connazionali, uccidendone almeno quattro, tra il 2015 e il settembre dell’anno successivo. Nel dicembre 2016 una missione Onu in Libia accertò che la maggior parte dei 34 centri di detenzione presenti sono veri e propri lager. E dove i trafficanti agiscono liberamente con la complicità di funzionari e polizia libica.
Alcune donne, prima di entrare in Libia, davanti all’altissimo rischio di stupri assumono enormi dosi di anticoncezionali. Cercano così di evitare gravidanze ma si procurano danni irreversibili all’organismo. Dopo aver visitato alcuni di questi centri il commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi non nascose di essere rientrato a dir poco scioccato.