Negli ultimi anni ci sono stati diverse riforme sulla giustizia. Partiamo dall’inizio, dalla riforma Cartabia, riforma della quale stiamo iniziando a subire gli effetti. In che cosa consiste e che effetti ha riversato nel mondo giudiziario?
Vorrei fare una premessa necessaria: negli ultimi trent’anni il legislatore è intervenuto con una tale frequenza a riformare la giustizia che è difficile tracciare un bilancio su ogni singola riforma che non ha il tempo di consolidarsi visto che un’altra subentra a modificare la precedente. A maggior ragioni è difficile dire quale saranno gli esiti della riforma Cartabia se non altro perché è entrata in vigore di recente.
Il 29 maggio di quest’anno, invece, è stata approvata in CDM la riforma della giustizia. Si parla di separazione delle carriere; la nascita di un nuovo CSM, oltre a quello già esistente e dell’Alt Corte; sanzione dei magistrati. Addirittura, si dice che è la fine della mala- magistratura. A cosa serve, concretamente, questa riforma? Anche perché è stato citato diverse volte Giovanni Falcone e si parla di realtà che volevano Berlusconi, Craxi e per ultimo Licio Gelli con la P2…
Il tema della separazione delle carriere è antico se si considera che è stato al centro del dibattito in Assemblea costituente. Anche in quella sede, due figure di spicco come Calamandrei e Leone, avevano visioni diverse sulla questione. Il primo sosteneva la necessità di un PM comunque legato all’esecutivo proprio per evitare un eccessivo potere della magistratura rispetto al circuito politico rappresentativo, indipendenza sì ma limitata. L’altro invece riteneva necessario la necessità di un totale svincolo dall’esecutivo in nome di una totale indipendenza dal Governo.
L’attuale riforma si colloca sulla scia di altre proposte già presentate in passato e che ricalcano più o meno con qualche variazione quella attuale e come in passato e si inserisce in un quadro più ampio di riforme che toccano, guarda caso, la forma di governo. Del resto già in passato, sono state proposto riforme che prendendo a prestito anche esperienze di altri paesi: un trapianto che può provocare rigetti perché ogni ordinamento si è formato all’esito di lunghe e complesse vicende storico politiche. Tra l’altro il difetto del legislatore italiano è di prendere un poco qua e un poco là senza avere una visone chiara e d’insieme aggiungendo qualche tocco di originalità. Insomma un modus procedendi non sempre lineare e sistematico. Lineare e sistematica appare invece il merito della scelta del riformatore.
La separazione delle carriere, qualora la riforma dovesse passare avrà esisti differenti a seconda se verrà approvata la proposta di modifica costituzionale sul premierato, che, non dimentichiamolo, costituzionalizza l’attribuzione di un premio di maggioranza realizzando quella saldatura PM e circuito esecutivo legislativo. La riforma del CSM è giocoforza una necessaria conseguenza, che valorizzando la componente laica di nomina parlamentare definitivamente proietterebbe l’organo di autogoverno della magistratura nel circuito politico. Ragione per la quale anche l’istituzione di Alta Corte con funzioni disciplinari, la cui elezione è prevalentemente di nomina parlamentare (peraltro non prevede la possibilità di impugnazione se non dinanzi allo stesso organico anche se in composizione diversa) sembra essere orientata ad un controllo politico più stringente. Quanto all’elezione dei membri il sorteggio in astratto può evitare possibili distorsioni: ma va calato nella realtà concreta, e anche nelle dinamiche interne spesso disfunzionali alla magistratura stessa che dunque prescindono dalla bontà del meccanismo in sé considerato. Va detto anche che la Corte costituzionale.
Purtroppo lo scontro tra politica e magistratura che oramai, si trascina da anni, ha preso il sopravvento e come spesso accade anziché considerare le reali criticità del sistema e porre rimedio alle immancabili anomalie si preferisce mettere mano alla costituzione, cambiare tutto sperando che poi effettivamente tutto cambi.
Andiamo al DDL Nordio, approvato in Senato prima e alla Camera poi e partiamo proprio dall’abolizione dell’abuso d’ufficio. Abolendo l’abuso d’ufficio, per alcuni addirittura era la paura della firma per gli amministratori, che cosa succede?
Anche in questo caso la riforma forse non ha colto nel segno. Mi spiego meglio: l’abuso di ufficio secondo la vecchia formulazione era in realtà poco applicato. A fronte delle numerosissime richieste di imputazioni, per come era formulata la vecchia disciplina, solo un numero relativamente ridotto portava alla condanna, molte invece venivano prontamente archiviate. E qui forse hanno una qualche responsabilità i mezzi di comunicazione, che dando notizia dell’applicazioni di miusre cautelari, creava un certo allarme nei cittadini senza peraltro provvedere a dare una corretta informazione sull’esito del giudizio. Il vero punto è un altro.
L’abrogazione tout court, che non prevede una disciplina intertemporale, implicherà una serie di problemi di non poco momento, primo fra tutti cosa succederà alle 3600 sentenze passate in giudicato. Tale tecnica legislativa da un punto di vista squisitamente pratico esporrà ad un grande lavoro ermeneutico i giudici. Senza considerare che il legislatore dopo aver abrogato l’abuso di ufficio si è prontamente attivato per introdurre il peculato per distrazione e modificare il traffico di influenze illecite segno che, anche rispetto all’opinione pubblica oramai consapevole dell’alto tasso di corruzione presente nel nostro paese, non poteva lasciare “mano libera” ai pubblici ufficiali.
Altre soluzioni, che soprattutto la dottrina penalistica aveva da tempo suggerito, avrebbero creato meno scalpore e forse sarebbero state più efficaci.
Altro punto punto cardine è la limitazione delle intercettazioni…
Anche in questo la questione delle intercettazioni è sotto i riflettori della politica da tempo. Già la riforma Orlando era intervenuta per limitare possibili abusi nella divulgazione delle intercettazioni e a tutela della vita privata degli indagati Certo anche qui il tema è delicato perché è evidente che la libertà di informazione oltre che la privacy ad essere sotto stress. Anche qui si tratta di un tema oramai classico dove è difficile da trovare un punto di equilibrio veramente stabile, complice anche la presenza di un mezzo potentissimo, quale Internet.
Da questo punto di vista la riforma Nordio si pone sulla scia delle riforme precedenti Orlando e Cartabia, senza peraltro forse colpire il cuore del problema che ha a che fare con i canali informativi interni alle procure e alle sanzioni nel caso di violazione delle fughe di notizie. Un adeguato bilanciamento potrà essere conseguito solo garantendo un libero e trasparente accesso alle intercettazioni per i giornalisti ma anche ridefinendo la fattispecie di reato dell’art. 684 c.p. affidando possibilmente al Garante della privacy la possibilità di intervenire con misure interdittive o amministrative
Andiamo alle misure cautelari. Verrà introdotto un organo collegiale, formato da 3 giudici, per l’adozione della custodia cautelare invece del giudice monocratico, al quale era affidato fino ad ora. Inoltre il giudice, prima di disporre una misura cautelare, dovrà interrogare l’indagato previo deposito degli atti, in modo da consentire la difesa preventiva. Non c’è il pericolo di fuga da parte dell’indagato, visto che verrà informato prima delle indagini, e un dispendio inutile di risorse e tempi che riguarda il nuovo organo?
Anche in questo caso la scelta del legislatore è finalizzata a realizzare una maggiore ponderazione da parte di più giudici rispetto all’applicazione di una misura che incide sulla libertà personale: il che non è scontato. Talvolta anche la collegialità porta ad un sostanziale appiattimento sulla decisione già presa da altri, anche se in linea teorica più visioni dovrebbero consentire una maggiore capacità di analisi e decisione. Quanto all’interrogatorio e difesa preventiva, viene mancar l’effetto sorpresa elemento caratterizzante i provvedimenti di custodia cautelare. Ora prevedere un meccanismo di tutela anticipata per l’indagato in ragione delle conseguenze che la misura comporta è senza dubbio un fine commendevole ma pecca di ingenuità.
La legge, forse avrebbe dovuto immaginare un procedimento in modo da garantire contemporaneamente le due esigenze, tutela dell’indagato e garanzia delle indagini, agendo attraverso un intervento sistematico e complessivo sulla procedura di applicazione della misura sebbene è proprio la difficoltà di conseguire, simultaneamente, la salvaguardia di entrambe ad essere complesso, sul piano pratico. D’altro canto, va ricordato che è sempre prevista l’impugnazione ex post del provvedimento cautelare in carcere proprio a tutela della libertà personale dell’indagato, in linea, del resto, con il dettato costituzionale.
È giusto limitare di proporre l’appello al PM contro le sentenze assolutorie di primo grado?
Si tratta di un altro tema che, avrebbe meritato un approccio meno ideologico. L’inappellabilità per i reati che destano sicuramente meno allarme sociale è in parte una norma inutile se già la giurisprudenza della Cassazione aveva limitato ai soli casi in cui non fosse stato provato l’assenza del parametro del al di là di ogni ragionevole dubbio la fondatezza dell’appello medesimo da parte del PM, impedendo dunque una messa in discussione del processo conclusosi con l’assoluzione. Appare peraltro incongruente che nulla è stato detto circa l’appellabilità della parte civile. La lacuna apre scenari di incostituzionalità della norma.
Per cercare di salvarsi la faccia con il ddl carceri è stata reintrodotta la fattispecie di reato e cioè il “peculato per distrazione”. Ma può realmente andare a sostituire l’abuso d’ufficio?
Il peculato c.d. per distrazione è stata già disciplinata dal codice penale sino al 1990, anno in cui è stato eliminato e reintrodotto l’abuso di ufficio le condotte distrattive sono comunque state considerate punibili dall’opera ermeneutica della Corte di Cassazione che ha affrontato la questione in diverse occasioni, facendolo rientrare nel più ampio genus dell’abuso di ufficio. Oggi la situazione è opposta anche se parzialmente diversa. L’absuo non c’è più ma nella formulazione attuale non si fa riferimento alla distrazione ma alla destinazione (Indebita destinazione di denaro o cose mobili),che dunque sembra restringere il campo di applicazione della norma. Inoltre, il nuovo delitto impedisce l’uso dell’attività di intercettazione, non si può applicare una misura cautelare coercitiva, la prescrizione è più breve, la pena lieve e quelle accessorie poco significative.
Allo stato è difille dire quale sarà il suo destino, stante anche la possibile lettura sistematica che il giudice potrà dare, anche per non incorrere in una probabile procedura di infrazione per violazione della Direttiva UE ampliando la portata della formulazione originaria. Dunque, spetterà ancora al giudice, fare quello che proprio il parlamento vuole evitare: interpretare e non sempre in senso favorevole all’intenzione del legislatore.
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