Giovedì 31 ottobre, presso la Sala Nassiriya del Senato, è stata fatta la conferenza stampa dal titolo “Vogliamo tutta la verità sulle stragi” su iniziativa del senatore Stefano Patuanelli e che coinvolge alcuni dei familiari di vittime di mafia.
“Parlo a nome delle mie sorelle e di mia madre che non ha potuto vedere né verità né giustizia sull’assassinio di suo figlio. Sono stati anni di depistaggi e sono stati arrestati alcuni di coloro che hanno ucciso Paolo Borsellino ma non si sa nulla sui mandanti che hanno agito nell’ombra e hanno voluto la sua morte. Non sono stati messi alla luce neanche i veri motivi dell’accelerazione di questa strage che se fosse stata messa in atto soltanto dall’organizzazione mafiosa non sarebbe avvenuta soltanto 57 giorni dopo l’altra strage, quella di Capaci che alla strage di via d’Amelio io credo sia indissolubilmente legata. Paolo è cominciato a morire il 23 maggio 1992, ma se da un lato ai figli di Paolo mi lega il terribile dolore di questa morte annunciata e l’insopprimibile esigenza di verità sulla strage sulla quale è stata stroncata la vita del loro padre, da essi mi divide purtroppo una posizione processuale che si è venuta a differenziare nel corso di tanti processi arrivando, purtroppo e con mio grande dolore, ad influire anche sui nostri rapporti personali. Per questo ho letto con sconcerto la dichiarazione, del 24 ottobre, da parte della presidente della Commissione Antimafia Chiara Colosimo, a margine di una audizione a Palazzo San Macuto, nella quale ha fatto appello ‘affinché nessuno che si chiami con nessun nome che non siano i figli di Borsellino può dirmi cosa fare e cosa non fare, qualunque cosa esso comporti e qualunque persona essa tocchi’. Mi ha sconcertato perché immediatamente successiva alla lettera aperta sottoscritta da me e dalle associazioni dei familiari vittime di mafia e quindi è evidentemente a noi rivolta. Noi non vogliamo dire cosa fare e cosa no, noi vogliamo soltanto una vera verità e una vera giustizia. A questo non si può arrivare circoscrivendo i lavori della commissione alla sola strage di via D’Amelio, analizzandola come un fatto isolato e tralasciando invece di indagare sulle altre stragi e su un disegno eversivo che le lega in maniera indissolubile e che ha le sue radici, addirittura, nella stessa strage di Portella della Ginestra e, in termini recenti, in tutte le stragi rivendicate con la sigla ‘Falange Armata’. Non si può cestinare la richiesta del senatore Roberto Scarpinato su un approfondimento sul ruolo di apparati statali, massoneria e su appartenenti a movimenti di eversori di destra. Non si possono escludere parlamentari dalla Commissione con la scusa di pretese incompatibilità. Si vuole allontanare Scarpinato che ha speso la sua vita combattendo la mafia. L’accelerazione della strage di via d’Amelio è arrivata dopo l’intervento di Paolo Borsellino il 25 giugno nel suo ultimo discorso pubblico. In quella occasione chiese pubblicamente di essere sentito dalla procura di Caltanissetta su quello che aveva scoperto sulla strage di Capaci. Parole che rappresentarono la sua condanna a morte. C’era il rischio che rivelasse in pubblico quello che i giudici non volevano ascoltare. Venne convocato a Caltanissetta nella settimana successiva al 19 luglio, ma non arriverà mai a testimoniare in procura. Dopo la sua morte verrà irritualmente chiamato a collaborare alle indagini quel Bruno Contrada su cui stava indagando mio fratello. Si parla dell’assassinio di mio fratello come se fosse legato agli appalti ma che tutti sappiamo che ha ben altre cause, tra cui la trattativa tra mafia e pezzi deviati dello Stato. Le indagini dovrebbero concentrarsi sull’agenda rossa che è la scatola nera della strage di via d’Amelio. Si dovrebbe ripartire dal furto di quella agenda per arrivare alla verità. E non sto parlando della mafia. Non sono stati mani di mafia a sottrarre quella agenda. Noi familiari non possiamo fare altro che denunciare la vergogna di uno Stato che ritiene di poter allontanare i suoi fedeli servitori dello Stato (Scarpinato, de Raho, ndr), in nome di un presunto conflitto di interessi. Se c’è un conflitto di interessi è ascrivibile alla stessa presidente Colosimo, per i suoi atteggiamenti confidenziali, testimoniati da prove fotografiche, con il terrorista di destra Luigi Ciavardini, esponente del gruppo eversivo di ispirazione neofascista, uno degli assassini del procuratore Mario Amato. Noi non possiamo fare altro che affermare questo diritto alla verità. Lanceremo presto un’iniziativa perché venga sancito esplicitamente nella nostra Costituzione e garantito a tutti e anche a noi familiari di vittime di stragi ai quali fino ad oggi è stato invece ostinatamente negato”.
Queste sono state le parole, tra le altre, di Salvatore Borsellino.
Per Sergio Amato, figlio del magistrato Mario Amato ucciso a Roma il 23 giugno 1980, ha definito “brutale” l’effetto che si prova nel vedere in Commissione Antimafia
“l’amica di Ciavardini, Chiara Colosimo. Ciavardini ha scontato le sue pene per l’omicidio di mio padre, ma anche per la strage di Bologna. Ma io voglio sottolineare e denunciare i rapporti tra Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini, che è colui che ha sparato alle spalle alla nuca di mio padre. Nel 2018 Gilberto Cavallini è stato condannato come quarto esecutore della strage di Bologna. Nell’ambito di quel processo Luigi Ciavardini è stato chiamato a testimoniare e ha reso falsa testimonianza. Nel frattempo questi rapporti tra Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini sono andati avanti. Cavallini riusciva a ottenere un lavoro esterno in regime di semi libertà proprio attraverso le cooperative riconducibili a Luigi Ciavardini ed alla moglie. Ecco, questo penso sia ancora più grave di quella foto stessa. Noi familiari non possiamo certo accettare che un detenuto possa avere delle agevolazioni grazie ad un suo correo. Non so qual è stato il problema, forse la Sorveglianza, ma è una cosa impossibile da accettare. Per tanti anni i familiari di Amato, ma anche i familiari della strage di Bologna hanno combattuto contro la vulgata e la difesa dei cosiddetti Nar che si sono sempre definiti ‘spontaneisti’. Noi familiari non ci abbiamo mai creduto, ma abbiamo dovuto combattere nei processi e nella opinione pubblica. C’è sempre quel punto interrogativo. Oggi siamo stufi di pensare che ancora oggi il popolo italiano possano credere che i Nar fossero degli spontaneisti. Mio padre fu ucciso il 23 giugno, e dieci giorni prima parlava di Ordine nuovo che si stava riorganizzando, dicendo che i Nar erano ragazzini che venivano armati. L’Italia è al centro di un sistema criminale che viene raccontato poco e male. Noi familiari delle vittime delle stragi siamo stufi di sentirci dire che i Nar erano ‘spontaneisti’. Ventisei magistrati hanno perso la vita. Io sono figlio di un magistrato. Non è accettabile che non si prosegua nella ricerca della verità, dopo tutti questi anni di lavoro interminabile di processi. Magistrati che si sono spesi per anni a cercare di descrivere questo sistema. E’ dagli anni ’60 che noi abbiamo prove di connivenza di neofascisti e criminalità organizzata. Allo stesso modo volete forse farci credere che erano spontaneisti anche i corleonesi? No. Nel 1990 avevo 18 anni e mai avrei pensato di potere vedere magistrati saltare per aria”.
Subito dopo prende la parola Brizio Montinaro:
“Noto ormai lo sconcerto che i programmi di storia se va bene si fermano ai primissimi anni del Novecento. Come può un ragazzo avere le chiavi di accesso sulla contemporaneità se non gli è dato di sapere quanto è avvenuto almeno dal secondo dopoguerra?”
Presente pure Nino Morana, nipote dell’agente Nino Agostino:
“Lo Stato ha un debito enorme con la mia famiglia, ha negato a due genitori quella verità e giustizia per le quali si sono battuti per più di trent’anni. Lo Stato ha un debito enorme con tutte le famiglie qui presenti, e mettendo alla pubblica gogna il senatore Scarpinato non fa altro che prolungare il nostro dolore e la nostra rabbia, dandoci solamente l’ennesimo schiaffo in faccia. Mi rivolgo a voi, uomini e donne delle istituzioni, continuando con le vostre insensate e becere azioni contro il senatore Scarpinato non fate altro che uccidere di nuovo mio zio, uccidete nuovamente Nino, Ida, Paolo, Attilio, Antonio, Mario, Bruno, Umberto e le tantissime altre vittime che noi familiari stiamo rappresentando qui oggi. Mio nonno (Vincenzo Agostini, ndr.) diceva sempre che voleva una reale verità su un triplice massacro che uno Stato complice e spietato ha permesso per coprire sé stesso e i suoi uomini deviati e corrotti. Non deve importare se, per dire queste verità, si toccheranno sepolcri imbiancati e si diranno nomi impronunciabili. Parlo anche in qualità di studente universitario, noi giovani, noi studenti, come possiamo fidarci di uno Stato, che, avvalendosi della parola ‘antimafia’, non persegue le verità, ma piuttosto cerca di epurare e mortificare chi cerca di far emergere le complicità statali nelle stragi e negli omicidi eccellenti? Come possiamo avere fiducia completa nello Stato, se parte collusa di esso, che ha contribuito nel fare queste atrocità, gode ancora di coperture istituzionali? Come possiamo affidarci ad uno Stato nel quale tutt’ora sono presenti soggetti impresentabili, che hanno avuto e hanno rapporti con la criminalità organizzata e con apparati neofascisti?”.
Per Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari vittime strage alla stazione di Bologna:
“Siccome Bologna è un seguito che viene fuori dopo aver analizzato Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Italicus, e poi si arriva a Gioé, alle stragi del 1992 e del 1993, ti viene da dire che la strategia della tensione non è mai finita; è continuata e poi è arrivata la mafia. Allora l’importanza di una commissione antimafia che facesse il suo mestiere fino in fondo ti dà un’idea importante della situazione. Quello che è venuto fuori oggi è un invito alla Commissione antimafia di fare le cose fino in fondo, perché i collegamenti tra il passato e il futuro c’è tutto. Non è escluso che noi siamo ancora nella strategia della tensione”.
Conferenza stampa
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