«Giornata Mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza». È la “ricorrenza” che il calendario ci consegna oggi. Giornata di impegno rinnovato, di coscienza, di denuncia, di conoscenza. Tale dovrebbe essere ma, come sempre accade in questo Paese, vedremo le sfilate delle incoscienze che tra poche passeranno oltre. E i più deboli, i più indifesi, i più colpiti, i più piccoli resteranno soli, alla mercé di coloro che vengono definiti orchi come fossero altro da questa società. La realtà reale, la carne viva abusata, violentata, stuprata, assassinata, resterà come sempre fuori dalla porta e nulla cambierà per loro dopo le chiacchiere dei cicisbei. Non sono orchi ma vivono accanto a noi, sono presenti, organizzati, devastanti, presenti ovunque. La pedopornografia, gli abusi pedofili, il turismo sessuale, sono realtà quotidiana di milioni di italiani “brava gente”. Nel silenzio, nell’omertà, nell’incoscienza troppo spesso voluta di tanti, di troppi. Il record mondiale del turismo sessuale pedofilo è intatto da decenni ed è ampiamente conosciuto e documentato. Se non sconvolge, se si dorme tranquilli di fronte tutto questo non c’è nessuna assoluzione possibile, non c’è nessun movente che possa giustificare. Quella schiavitù sessuale, quell’industria dello stupro a pagamento, alimentata dalla “ricca e civile Europa” in tante parti del mondo e anche dentro casa.
Sono migliaia le bambine fuggite dall’Ucraina due anni fa finite nelle reti mafiose. Documentato, denunciato ma il grido di dolore, di indignazione, di rabbia è caduto nel vuoto. E sono costanti le inchieste delle forze dell’ordine in Italia. Vengono raccontate come vicende di baby escort, baby squillo, si pubblicano fotografie identiche a quelle che compaiono sui portali degli stupratori paganti e del commercio sessuale, del business dello sfruttamento. E l’attenzione viene dirottata sulla gioventù, su cosa fanno o non fanno le ragazzine di oggi. L’assolvimento dei carnefici, la “cultura” su cui si innestano pedocriminali e lobby pedocriminali è favorita da tutto questo, dal silenzio degli onesti che tacciono per poi dirottare, depistare, sviare.
È notizia delle scorse settimane l’ultima inchiesta contro lo sfruttamento sessuale minorile a Chieti. Grazie alla denuncia di una madre le forze dell’ordine hanno potuto sgominare la rete criminale. E non è la prima, in Abruzzo e anche nello stesso chietino. Chi stupra, chi ha sfruttato, chi ha favorito, chi sono i “clienti” di questo sporco traffico? Come è possibile che in pochi anni ne sono stati scoperti diversi? Quanti padri di famiglia, quanta “brava gente” che vive, lavora, si diverte, percorre le strade e le piazze accanto a noi hanno alimentato e fatto guadagnare gli sfruttatori? Sono domande che andrebbero poste, vanno poste, sarebbero doverose e dovrebbero sconvolgere, raccapricciare, devastare la coscienza. Ed invece, passato un giorno, tutto cade nell’oblio. Come le tante inchieste contro la pedopornografia. Sempre a Chieti, nello stesso giorno in cui è stata pubblicata dal quotidiano Il Centro la notizia di un nonno pedofilo (già condannato in passato) allontanato dalla città, la Polizia Postale ha arrestato, riporta l’Ansa, «un uomo di 26 anni, italiano, residente a Chieti, condannato in via definitiva a tre anni di reclusione poiché ritenuto responsabile dei reati di atti sessuali con minorenni, detenzione di materiale pedopornografico e pornografia minorile». «Nel corso del 2019 allorquando il giovane, creando falsi profili social attraverso i quali rappresentava di essere minorenne, adescava su internet ragazzine, anche di 13/14 anni, le quali venivano indotte a scattare ed inviargli foto ritraenti parti intime nonché video registrati durante il compimento di atti di autoerotismo che il giovane sollecitava a compiere» si legge nel comunicato stampa pubblicato dall’agenzia.
«Il fenomeno è endemico, criminale e incontrollato. Noi stiamo monitorando Signal, 96 gruppi, 320.000 video e foto… i neonati sono migliaia. Devastante» ci ha dichiarato don Fortunato Di Noto, fondatore e presidente di Meter, nei giorni scorsi. «Il mercato pedocriminale è sempre più florido, sono necessarie azioni sempre più incisive» è il grido d’allarme e di dolore di don Fortunato nei giorni scorsi. «Dal 4 ottobre al 18 novembre i Gruppi di pedopornografia sull’App Signal sono aumentati da n. 49 a 102 con più di 350.000 di materiale pedopornografico (VIDEO, FOTO) prodotto e scambiato da pedofili da tutto il mondo che ‘impunemente’ producono, scambiano e commercializzano video e foto di abusi su minori di inenarrabile contenuto – la denuncia di Meter – inquietante e drammatica la violenza sessuale sui neonati e che i Gruppi, segnalati oggi, 19 novembre, si presentano con questa descrizione per accedere: ‘bebes de o a 2 anos cp’ (bambini da zero a 2 anni child porn), ‘madre e hijo’ (madri e figli), ‘bebés recien nacidos’ (bambini recentemente nati), ‘Novos Babys’ (0-6 anni) (Nuovi bambini da 0 a 6 anni). Sono state individuate chat dove è indicata la posizione di localizzazione e così come indicano i pedopornografi, sembra esserci una disponibilità di bambini». «I neonati abusati – ha dichiarato don Fortunato Di Noto, presidente Meter – sono ‘esposti’ come una sorta di trofei. Ogni ‘pedocrimale’ carica in ogni messaggio postato +15 foto o video che corrispondono a 15 neonati in ogni messaggio. Sappiamo dagli studi che i neonati non dimenticano e le lesioni neurologiche permangono e si manifesteranno nella vita a venire». Pedopornografia in aumento, sempre più diffusa ed organizzata. Reti criminali sul web a cui l’Abruzzo, come documentano un numero sempre crescente di operazioni della Polizia Postale, è tutto tranne che immune, anzi. Chat e scambi di disumana efferatezza e violenza denunciati molte volte negli ultimi anni dalle forze dell’ordine. Ma tutto ciò non sembra turbare la placida e borghese famiglia, non crea dibattito e in poche ore tutto cade nell’oblìo.
Don Fortunato ha rilanciato il suo grido di allarme e dolore, a scuotere le coscienze ed impegnarsi contro ogni forma di pedocriminalità anche qui in Abruzzo. In occasione della consegna del Premio Nazionale Paolo Borsellino abbiamo ricordato l’enorme lista di inchieste in Abruzzo. Un elenco aggiornato nel settembre scorso in un nuovo articolo. Raccapricciante casistica che, come riportato in quest’articolo, si è arricchita in queste settimane. Tra il nostro articolo di settembre e questo mese c’era già stata anche l’inchiesta sull’abusatore della figlia della propria compagna. Siamo, quindi, oltre venti inchieste in meno di dieci anni. In una Regione che ha meno abitati di alcune zone di Roma. Molte concentrate nella provincia di Chieti. Questa provincia, questa regione, hanno una presenza pedocriminale enorme, probabilmente tra le più alte d’Italia. Numeri sconvolgenti, che dovrebbero sconvolgere. E dietro ognuno di questi numeri c’è una vita uccisa, devastata, abusata, segnata per sempre. Dolori, sofferenze, atrocità che non dovrebbero far dormire la notte, interrogare tutti. La provincia camomilla, la regione che continua a cullarsi come isola felice raccontandosi favolette (non ai più piccoli ma contro di loro) invece tace e accetta, passa oltre e fa finta di niente. Vergognosamente, squallidamente, omertosa e complice.
Rimandiamo al nostro articolo di settembre per l’elenco delle tante inchieste ed operazioni avvenute in questi anni di cui abbiamo avuto notizia