Salvo Palazzolo, storico cronista, nell’ultimo periodo sta portando avanti inchieste giornalistiche riguardanti, soprattutto, il ritorno di diversi boss in libertà, tra fine pena e uscite premio, che hanno fatto parte degli anni più cruenti di dominio di cosa nostra, quelle dei morti ammazzati ogni giorno e delle stragi. Ma non solo ha raccontato, e sta raccontando, del ritorno delle famiglie degli scappati, i perdenti della guerra di mafia degli anni ’80 e poi fuggiti in America, con i loro ingenti patrimoni e conoscenze da poter spendere in Sicilia, ma non solo.
Per queste inchieste circa un mese fa, grazie a delle intercettazioni della Squadra Mobile di Palermo, si sono potute scoprire delle minacce, delle “gravi ostilità a lui rivolte”, e quindi gli è stata rafforzata la vigilanza e la scorta, con un’auto blindata e due agenti di polizia.
Così la Commissione Parlamentare Antimafia ha deciso di audirlo sia per esprimergli vicinanza e solidarietà sia per vedere lo “stato dell’arte” delle sue inchieste.
Infatti mercoledì 12 febbraio è stata svolta l’audizione in quella che potremmo definire una vera e propria lezione di antimafia sociale e a tratti istituzionale. Ha esposto fin da subito diverse problematiche, a partire dai permessi premio dati senza requisiti al fatto che non sia stato sequestrato quasi nulla dei patrimoni ai mafiosi che godono di queste libertà o semilibertà. Ha, inoltre, sottolineato la mancanza dello Stato nei quartieri in difficoltà e di come le mafie siano liberi di agire assoldando, tra le proprie fila, soprattutto i più giovani.
“Questo lo dimostra pure l’inchiesta di ieri a Palermo dove per la metà degli arrestati sono al di sotto dei quarant’anni”
afferma Salvo Palazzolo, riferendosi all’ultima maxi inchiesta di Palermo con 181 persone arrestate.
Nel corso dell’audizione ha snodato le sue inchieste con le scoperte fatte, oltre a sottolineare il ruolo importante del cronista di strada e dell’impossibilità di continuare a svolgere questo lavoro grazie, anche, a determinate leggi, tra cui quella approvata che vieta la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare.
Ha posto al centro dell’attenzione il ruolo importante della società civile, dell’associazionismo e del volontariato per il recupero sia dei ragazzi, anche dei figli dei mafiosi, e di coloro che escono dalle carceri per fare in modo di scegliersi un futuro migliore in modo da non delinquere più.
Ha dato voce a tanti giornalisti coraggiosi che a causa di un lavoro precario, contratti inesistenti e rischi che corrono si occupano di raccontare le province magari meno conosciute, chiedendo di agire in loro aiuto dal punto di vista legislativo e di fare un percorso insieme, magari di audirli proprio in commissione antimafia per dare voce e spazio al loro lavoro.
Ha parlato delle falle che ha riscontrato nei tribunali di sorveglianza, nelle carceri; della impossibilità di fare conferenze stampa con i magistrati, quando queste sono fondamentali anche per la presenza dello Stato, sotto tutte le sue forme, nel territorio.
Non poteva mancare la parte, portata a galla da numerose indagini, dei legami tra mafia, massoneria, imprenditoria e politica e da qui la sua denuncia di mettere e applicare i codici etici all’interno dei partiti.