Mentre a Gaza si consuma un’ecatombe quotidiana, il silenzio delle istituzioni internazionali e dei media occidentali appare sempre più come una complicità morale. Non è solo la devastazione fisica a preoccupare: è il vuoto narrativo che si sta creando intorno a una delle più gravi crisi umanitarie del nostro tempo. Un vuoto che legittima, giustifica, e in ultima analisi, perpetua.
Il genocidio che non si può nominare
I numeri parlano chiaro: migliaia di civili uccisi, infrastrutture sanitarie distrutte, l’accesso a cibo, acqua e cure ridotto a zero. Ma la parola “genocidio” resta tabù nel dibattito pubblico, specialmente nei palazzi del potere occidentale. Eppure, secondo la Convenzione ONU del 1948, ciò che avviene a Gaza potrebbe rientrare in quella definizione: atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.
La riluttanza ad usare questo termine non è casuale: riconoscere un genocidio implica l’obbligo legale e morale di intervenire. E questo, evidentemente, molti governi preferiscono evitarlo.
I media mainstream sono spesso più preoccupati di mantenere un’apparenza di equilibrio che di raccontare la verità. Titoli che mettono “Israele e Hamas” sullo stesso piano, frasi come “escalation del conflitto”, o “risposta militare”, servono a diluire la responsabilità, a spacciare per guerra ciò che in realtà è una punizione collettiva.
Quando le parole diventano eufemismi, la tragedia viene addomesticata, resa digeribile. Ma ogni volta che si edulcora una strage, si partecipa alla sua giustificazione.
Secondo l’OMS e la Croce Rossa, la situazione sanitaria a Gaza è catastrofica: ospedali fuori uso, personale medico decimato, neonati prematuri morti per assenza di incubatrici. L’accesso agli aiuti umanitari è bloccato o gravemente ostacolato. Interi quartieri sono stati rasi al suolo, costringendo milioni di persone a fuggire senza un posto sicuro dove andare.
Eppure, nonostante le denunce delle ONG, dei relatori ONU, di premi Nobel per la Pace, il mondo resta fermo. Come se la sofferenza di un popolo fosse un fatto locale, un rumore di fondo.
Ogni giorno che passa senza una condanna chiara, senza un’azione concreta, aggiunge un tassello al mosaico dell’impunità. Tacere significa permettere. Non vedere è una scelta. Chi oggi resta in silenzio, domani non potrà dire “non sapevamo”. La Storia ci ha già mostrato cosa succede quando il mondo guarda altrove.
Non serve essere esperti di geopolitica per riconoscere l’ingiustizia. Denunciare il genocidio a Gaza significa ribadire un principio fondamentale: nessuna vita vale meno di un’altra.
Ogni voce che si alza rompe il silenzio.
Immagine creata con AI
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