La Striscia di Gaza è sprofondata in una crisi umanitaria senza precedenti. La decisione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di interrompere la fornitura di energia elettrica all’enclave palestinese ha trasformato una situazione già drammatica in un vero e proprio incubo. Se il blocco totale imposto fin dall’inizio della guerra aveva già portato al collasso il sistema sanitario e compromesso la distribuzione di beni essenziali, l’assenza totale di elettricità ha azzerato ogni possibilità di resistenza per la popolazione civile.
Ospedali al buio, incubatrici spente, sistemi di ventilazione inutilizzabili. Le pompe idriche sono ferme, l’accesso all’acqua potabile diventa quasi impossibile mentre i rifiuti si accumulano nelle strade, alimentando il rischio di epidemie. Senza comunicazioni molte famiglie non sanno più nulla dei propri cari, dispersi sotto le macerie o bloccati in zone ormai inaccessibili.
Questa non è una guerra contro un esercito ma contro uomini, donne e bambini intrappolati in una striscia di terra sempre più ridotta in cenere. Netanyahu ha giustificato la sua decisione come una strategia per indebolire Hamas e costringerlo a negoziare ma di fatto ha trasformato Gaza in una prigione senza via di fuga dove la sopravvivenza è appesa a un filo.
La risposta dell’Occidente è, come sempre, tiepida e ambigua. L’Unione Europea si limita a dichiarazioni di preoccupazione ma senza mai adottare misure concrete per fermare la carneficina. Gli Stati Uniti, pur invitando Israele a “limitare le vittime civili”, continuano a garantire un sostegno politico e militare pressoché incondizionato rendendosi complici di una politica di annientamento.
L’Italia, dal canto suo, mantiene un atteggiamento prudente. Pur avendo espresso solidarietà ad Israele dopo l’attacco di Hamas, il governo italiano evita di prendere una posizione netta sulla questione umanitaria. Le poche dichiarazioni rilasciate parlano di un “auspicio per la pace” e di “tutela dei diritti umani” ma nei fatti non si registra alcuna azione concreta per fare pressione su Netanyahu.
Dall’altra parte dell’Atlantico, Donald Trump, cavalca la retorica del sostegno incondizionato ad Israele adottando politiche fortemente filo-israeliane, come il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele e l’annullamento degli aiuti umanitari ai palestinesi. Ora utilizza la crisi in Medio Oriente per rafforzare la sua immagine di leader deciso e conservatore.
Le accuse di genocidio contro Israele diventano ogni giorno più forti. Organizzazioni internazionali come Amnesty International e Human Rights Watch denunciano da tempo le violazioni del diritto internazionale parlando apertamente di crimini di guerra e pulizia etnica. La Corte Internazionale di Giustizia è stata chiamata a valutare se le azioni israeliane configurino un tentativo sistematico di eliminazione del popolo palestinese.
Israele respinge ogni accusa sostenendo che le sue operazioni militari siano volte esclusivamente ad eliminare Hamas e a garantire la sicurezza dei propri cittadini. Ma la realtà dei fatti racconta un’altra storia. Migliaia di civili, compresi donne e bambini, sono stati uccisi. Interi quartieri sono stati rasi al suolo. I sopravvissuti vivono in condizioni disumane, senza accesso a cibo, acqua e cure mediche.
Se questa non è una forma di sterminio deliberato, allora cosa lo è?
La crisi di Gaza non è un evento isolato ma l’ultimo capitolo di un conflitto che dura da oltre settantacinque anni. Il popolo palestinese ha vissuto decenni di occupazione, espropri e violenze. Ogni tentativo di autodeterminazione è stato represso con la forza. La comunità internazionale ha sempre assistito, spesso complice, quasi sempre inerme.
Oggi, il mondo si trova davanti a un bivio: continuare ad ignorare questa tragedia, nascondendosi dietro a sterili dichiarazioni diplomatiche, oppure agire concretamente per fermare l’escalation.
Ma il tempo sta scadendo. Ogni giorno che passa, Gaza diventa un cimitero a cielo aperto. La questione non è più se la comunità internazionale interverrà ma se lo farà prima che sia troppo tardi.
La luce a Gaza si è spenta. Ora resta da capire se il mondo avrà il coraggio di riaccenderla.
Immagine creata con AI