Le mafie non sono state sconfitte: si trasformano, si adattano, si infiltrano nell’economia legale e nella politica, trovando complicità nelle istituzioni e nei silenzi dello Stato. A oltre 30 anni dalle stragi di Capaci e via D’Amelio, le verità su trattative, depistaggi e collusioni restano in parte sommerse, lontane da una piena trasparenza.
La lotta alla mafia non è solo compito delle forze dell’ordine o della magistratura. È una sfida che coinvolge le coscienze libere, i cittadini informati, e soprattutto le nuove generazioni consapevoli. È a loro che si rivolge il convegno all’Università del Molise.
Il nodo è politico, come denunciava Paolo Borsellino. Le organizzazioni mafiose sono nate insieme all’Unità d’Italia e hanno trovato spazio proprio dove la politica ha fallito, dove ha scelto la convivenza invece dello scontro.
Nel 2025 dobbiamo scegliere: vogliamo commemorare ancora, vestirci da Falcone e Borsellino per un giorno all’anno, o vogliamo agire ogni giorno? Perché la mafia si sconfigge solo eliminando la mentalità mafiosa, che non appartiene solo ai mafiosi, ma anche agli eletti e, spesso, agli elettori.
Il più grande errore dello Stato? Trattare con le mafie. Negli anni ’90, pezzi deviati dello Stato hanno stretto patti criminali, passando sul cadavere di Paolo Borsellino. La memoria è importante, ma non basta commemorare: serve fare un passo in più, servono scelte coraggiose.
Per rendere la memoria uno strumento concreto di cambiamento, dobbiamo prendere esempio da chi ha lottato davvero, 365 giorni all’anno. Falcone, Borsellino, Giancarlo Siani, e tanti altri non erano eroi, erano professionisti che facevano semplicemente il loro dovere.
(Il servizio è stato realizzato dalla testata molisana TLT Molise, dalla collega Alessandra Potena)
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