Perché è fondamentale parlare di legalità nelle scuole?
“Perché i giovani rappresentano il presente. Senza consapevolezza, senza conoscenza dei fenomeni criminali e senza un’educazione civica solida, il rischio è quello di formare cittadini disinteressati o, peggio ancora, conniventi. Le mafie e la corruzione si nutrono dell’indifferenza. Parlare con gli studenti significa offrire loro strumenti per comprendere e reagire”.
Qual è il ruolo del giornalismo in questa missione?
“Il giornalismo ha il compito di informare, approfondire e denunciare. Oggi il rischio della disinformazione e delle fake news è altissimo, soprattutto tra i giovani, che spesso si affidano ai social per informarsi. È fondamentale offrire loro un’informazione corretta e indipendente, che smascheri le dinamiche di potere illegale e renda visibili le battaglie di chi ogni giorno lotta per la giustizia”.
Quali strumenti possono essere utilizzati per coinvolgere gli studenti?
“I metodi tradizionali, come le lezioni frontali, sono importanti, ma non bastano. Servono laboratori interattivi, incontri con testimoni diretti della lotta alla criminalità organizzata e casi concreti che li coinvolgano attivamente. La narrazione è fondamentale: raccontare storie di chi ha avuto il coraggio di dire no all’illegalità può ispirare e far comprendere che ogni scelta ha un peso”.
Quanto conta il linguaggio nel trasmettere messaggi di legalità ai giovani?
“Moltissimo. Bisogna saper comunicare in modo chiaro, diretto e coinvolgente. I giovani si annoiano con discorsi istituzionali e astratti, ma reagiscono quando si sentono coinvolti emotivamente. Raccontare storie, usare un linguaggio vicino a loro, proporre esempi reali è il modo più efficace per sensibilizzarli”.
Cosa manca nel sistema educativo italiano per rafforzare questa consapevolezza?
“Serve più spazio per l’educazione civica. Non basta parlarne un giorno all’anno o in occasione di eventi simbolici. La legalità deve diventare un argomento quotidiano, trasversale, che entri nei programmi scolastici in modo strutturale e non occasionale”.
Oggi i giovani sono più o meno sensibili ai temi della legalità rispetto al passato?
“Ci sono giovani molto attenti e impegnati, ma c’è anche tanta indifferenza. La differenza la fa l’educazione, la famiglia e l’informazione. Se un ragazzo cresce in un ambiente in cui la corruzione è normalizzata e la criminalità è vista come inevitabile, sarà difficile che sviluppi una coscienza civica. Per questo è essenziale lavorare con le scuole e con i media per contrastare questa mentalità”.
Le mafie stanno cambiando strategia? Come si possono riconoscere oggi?
“Le mafie non sono più solo coppole e lupara, ma aziende ben organizzate che si infiltrano nell’economia legale. Controllano appalti, riciclano denaro e usano strumenti finanziari avanzati. Oggi è più difficile riconoscerle, perché si nascondono dietro attività apparentemente lecite. Per questo l’informazione e la consapevolezza sono fondamentali”.
Quanto incide la disinformazione sulla percezione della legalità tra i giovani?
“La disinformazione è un problema enorme. Oggi i ragazzi leggono poco i giornali e si informano sui social, dove è più facile incappare in notizie false o manipolate. Le mafie e i poteri corrotti traggono vantaggio da questo caos informativo. Serve un’educazione ai media per insegnare ai giovani a distinguere le fonti affidabili da quelle inaffidabili”.
Qual è il compito del giornalismo nell’educare alla legalità?
“Il giornalismo deve andare oltre la cronaca e diventare uno strumento di conoscenza e denuncia. Non basta riportare i fatti: bisogna spiegarli, contestualizzarli e mostrare le responsabilità. Il nostro dovere è dare voce a chi combatte le ingiustizie e smascherare chi le alimenta”.
Qual è stato il caso più significativo che hai seguito?
“Ce ne sono tanti, ma quelli che mi colpiscono di più sono le storie di persone comuni che hanno avuto il coraggio di denunciare. Penso ai testimoni di giustizia, a chi si è ribellato alla criminalità organizzata rischiando la propria vita. Sono esempi che dovrebbero essere conosciuti da tutti, soprattutto dai giovani”.
Qual è il significato della storia di Lea Garofalo per i giovani che vogliono capire il valore della legalità?
“La storia di Lea Garofalo è un simbolo di coraggio e sacrificio. Lei ha scelto di denunciare la ‘ndrangheta, rinunciando alla protezione di un sistema mafioso che aveva sempre condizionato la sua vita. È stata uccisa per questa scelta, ma il suo esempio resta un faro per tutti. I giovani devono conoscere queste storie per capire che la legalità non è solo una parola, ma una battaglia quotidiana che richiede impegno e determinazione. Il suo sacrificio deve essere un monito: non si può restare indifferenti davanti all’ingiustizia”.
Nei tuoi libri affronti spesso il tema della legalità e della lotta alla criminalità organizzata. Quale messaggio vuoi trasmettere ai lettori, in particolare ai giovani?
“I miei libri nascono dalla necessità di raccontare storie di coraggio, di resistenza e di denuncia. Credo che il giornalismo d’inchiesta e la letteratura civile siano strumenti fondamentali per diffondere la cultura della legalità e sensibilizzare soprattutto i più giovani.
Con ‘Il coraggio di dire no – Lea Garofalo, la donna che sfidò la ‘ndrangheta’, ho voluto raccontare la storia di una donna straordinaria che ha sfidato l’omertà e ha pagato con la vita la sua scelta di legalità. È un libro che parla di coraggio, ma anche di solitudine e di tradimento, perché Lea Garofalo è stata uccisa da chi avrebbe dovuto proteggerla. La sua storia deve essere conosciuta nelle scuole, affinché i ragazzi comprendano il valore della giustizia e della libertà.
In ‘Testimoni di giustizia’, ho raccolto le storie di uomini e donne che hanno avuto la forza di denunciare la criminalità organizzata, rinunciando a tutto per un principio di giustizia. Non sono eroi, ma cittadini comuni che hanno detto no a un sistema di paura e soprusi. Il problema è che lo Stato, spesso, non li tutela abbastanza e questi testimoni si ritrovano soli, dimenticati. È un libro che vuole far riflettere sul prezzo della legalità e sull’importanza del sostegno istituzionale a chi decide di ribellarsi.
Con ‘Io ho denunciato’, ho dato voce a chi ha avuto il coraggio di opporsi alla criminalità, raccontando storie vere di denuncia, di resistenza e di speranza. Spesso chi denuncia viene lasciato solo, viene isolato, ma la loro testimonianza è fondamentale per cambiare le cose. Questo libro vuole essere uno strumento per far capire ai giovani che la denuncia è un diritto, ma anche un dovere morale.
Un altro libro molto importante per me è ‘Il veleno del Molise’, in cui ho voluto raccontare un’altra forma di criminalità, meno visibile ma altrettanto devastante: l’inquinamento ambientale. Il Molise, come molte altre regioni italiane, è stato avvelenato da decenni di sversamenti illeciti, rifiuti tossici e speculazioni che hanno compromesso il territorio e la salute delle persone. Questo libro è un’inchiesta che denuncia il silenzio e l’omertà intorno a un problema gravissimo. La criminalità ambientale è una delle nuove frontiere della corruzione e delle mafie, e i giovani devono essere consapevoli di come queste organizzazioni distruggano il futuro delle nuove generazioni.
Con ‘Una vita contro la camorra’, ho raccontato la vicenda di una persona straordinaria, che ha vissuto in prima linea la lotta contro la criminalità organizzata campana. Questo libro è una testimonianza importante, perché dimostra che esiste un’alternativa alla sottomissione e che il coraggio di ribellarsi può fare la differenza. È un’opera che vuole essere di ispirazione per chi, ancora oggi, vive sotto la minaccia delle mafie.
Infine, in ‘Una fimmina calabrese’, ho dato voce alla storia di una donna che ha sfidato le regole della ‘ndrangheta, una realtà in cui il ruolo delle donne è spesso segnato dalla sottomissione. Raccontare queste storie è fondamentale per far capire che la cultura mafiosa si può combattere, anche dall’interno, e che il cambiamento può partire da chi ha il coraggio di rompere gli schemi imposti da secoli di tradizioni criminali.
Il mio obiettivo è quello di sensibilizzare e far riflettere. I giovani devono sapere che esistono alternative e che anche una singola voce può fare la differenza. Scrivere di legalità non è solo raccontare storie, ma dare strumenti di conoscenza per costruire un futuro più giusto e libero dalla paura”.
Da presidente di Dioghenes APS, cosa significa per te organizzare un premio nazionale dedicato a Lea Garofalo?
“Organizzare un premio nazionale dedicato a Lea Garofalo non è solo un atto simbolico, ma un impegno concreto per mantenere viva la sua memoria e il valore della sua scelta. Lea non è stata solo una vittima della ‘ndrangheta, ma una donna che ha avuto il coraggio di spezzare un ciclo di violenza e omertà, scegliendo la legalità a costo della propria vita.
Il premio rappresenta un riconoscimento per chi, nella società civile, nel giornalismo, nelle istituzioni o nel mondo della cultura, porta avanti battaglie di giustizia, denuncia e resistenza alla criminalità organizzata. È un modo per premiare l’impegno di chi lotta contro l’indifferenza, per chi ogni giorno si batte per un’Italia più libera dalle mafie e dall’illegalità.
Da presidente di Dioghenes APS, ritengo che sia fondamentale creare spazi di riflessione e di sensibilizzazione, soprattutto per le nuove generazioni. Troppe volte storie come quella di Lea vengono dimenticate o raccontate solo in determinati contesti, senza far comprendere fino in fondo il loro impatto. Il nostro obiettivo è trasformare la sua storia in un monito, in un punto di riferimento per chi si trova di fronte a scelte difficili, per chi crede che denunciare sia inutile, per chi pensa che le mafie siano un problema lontano.
Il premio non è solo un tributo, ma un’azione concreta per rafforzare la cultura della legalità, per mostrare che la scelta di Lea Garofalo non è stata vana e che ci sono ancora persone disposte a seguire il suo esempio. Ogni anno, con questo riconoscimento, ribadiamo che la lotta contro la criminalità organizzata deve essere un impegno collettivo, che parte dalla consapevolezza e dall’educazione.
Dedicare un premio a Lea significa affermare che la sua voce non si è spenta, che il suo sacrificio ha lasciato un segno indelebile e che il coraggio di una donna può cambiare la storia“.
Qual è il messaggio che vorresti lasciare agli studenti?
“Non abbiate paura di farvi domande e di cercare la verità. La legalità non è solo rispettare le regole, ma avere il coraggio di dire no all’ingiustizia, di non accettare compromessi e di difendere la propria dignità. Ognuno di noi, nel suo piccolo, può fare la differenza. Siate folli!”.
La legalità parte dalla conoscenza e dall’impegno quotidiano di ciascuno. Studenti informati e consapevoli saranno cittadini migliori, in grado di riconoscere e combattere le ingiustizie.
L’incontro tra giornalismo, educazione e cultura della legalità è una delle chiavi per costruire un futuro più giusto.
studenti

De Chiara incontra gli studenti per formare i cittadini di domani
ISERNIA – L’educazione alla legalità si conferma un pilastro fondamentale nella formazione dei giovani. Presso l'Auditorium del capoluogo pentro,...
Paolo De Chiara: «Grazie a tutti per la bellissima riuscita di questo Premio»
"E' importante una scuola che ricorda Francesco (Ciccio) Vinci ammazzato dalla 'ndrangheta. Noi con questa III Edizione del Premio...
Paolo De Chiara si è aggiudicato il Premio Mattarella
Il libro, edito da Bonfirraro, narra la storia vera di un Testimone di Giustizia italiano che - con coraggio -...
Premio Mattarella: in finale il libro di Paolo De Chiara
L’Onlus Memoria nel cuore, ideatrice del convegno e del premio letterario giornalistico Piersanti Mattarella, è lieta di annunciare l’VIII...