La sopravvissuta alla Shoah accusa Netanyahu e difende la dignità palestinese: “Non si può uccidere in nome di Dio. È tempo di dire no.”
“Netanyahu sta provocando uno tsunami di antisemitismo”. Queste parole, potenti come fendenti, non sono state pronunciate da un attivista radicale o da un contestatore di professione. Le ha dette Edith Bruck, scrittrice, poetessa, donna ebrea sopravvissuta all’Olocausto, oggi 94enne. Le ha dette con la forza della memoria, con la voce della verità, con il coraggio di chi ha vissuto l’indicibile e oggi non riesce più a tacere di fronte all’orrore che si ripete.
Intervistata dal Quotidiano Nazionale, Bruck ha messo in discussione l’operato del governo israeliano, denunciando con parole nette la disumanità delle azioni militari su Gaza e l’uso distorto di Dio per giustificare la violenza:
“Usare Dio per uccidere è una cosa mostruosa. Lo hanno fatto tutti, anche i nazisti.”
Una voce fuori dal coro, dentro la storia
Edith Bruck non è solo un simbolo della memoria, è una testimone vivente della brutalità del secolo scorso. Deportata ad Auschwitz, ha visto l’inferno in terra. E proprio per questo, oggi, vede nell’indifferenza e nella brutalità dei bombardamenti su Gaza un’altra forma di abisso.
“Le vite dei palestinesi a Gaza vengono trattate come vite di serie B. È ora di creare uno Stato palestinese, a quel punto cambierebbe tutto.”
Parole limpide, cariche di dolore e dignità. E un atto politico altissimo.
“È tempo di ribellarsi. Anche nell’esercito”. Bruck non si limita a un appello morale: chiede azioni concrete. Chiama alla responsabilità gli israeliani, i militari, la società civile, che a suo avviso dovrebbero ribellarsi quotidianamente contro la violenza e l’indifferenza.
“Non solo il sabato. Ogni giorno. Anzi, giorno e notte. Anche assediando la casa-bunker di Netanyahu.”
Una presa di posizione che scuote e divide. Perché Edith Bruck non accetta il ricatto morale per cui criticare Israele significherebbe essere antisemiti.
“Accusate anche me di antisemitismo ora, se avete il coraggio.”
Non c’è retorica nel suo sguardo. Solo una lucida denuncia:
“Quando uscii dal campo mi dissi: povero Dio, in nome tuo hanno ucciso milioni di persone.”
Una frase che richiama la follia di ogni fondamentalismo, religioso o politico. Che condanna ogni uso distorto della storia per giustificare la violenza sul presente.
Bruck chiede umanità, verità, giustizia. Chiede uno Stato palestinese, chiede che le vite smettano di essere contate come numeri secondari in un dramma geopolitico che dura da troppo.
Il coraggio di Edith Bruck è una luce in mezzo al buio delle macerie. Un appello a non tradire la memoria. Un invito a guardare il dolore di oggi con gli occhi del passato, per evitare di diventare carnefici nella convinzione di essere ancora vittime.
Perché la Shoah non è una giustificazione eterna, ma una responsabilità.
E come dice Bruck:
“Il momento di ribellarsi è adesso.”