Fa freddo in Norvegia, ma non quanto il gelo che pervade lo stato d’animo dei tifosi italiani. Sconfitta per 3-0 a Oslo, sconfitta netta, senza alibi, senza anima. Un’altra tappa tragica di un percorso destinato a portare gli azzurri verso l’anonimato calcistico. E il terzo Mondiale di fila da spettatori, più che una minaccia, rischia di diventare un rituale. I padroni di casa, organizzati, aggressivi e con più idee, hanno dominato tatticamente e mentalmente.
- L’Italia? Passiva. Come quella vista in Germania un anno fa.
- Luciano Spalletti ha provato a dare un’identità, ma dopo un periodo di esperimenti, turnover e dichiarazioni ispirate più alla speranza che alla tattica, la squadra sembra ancora un assemblaggio confusionario. L’ennesimo cantiere aperto del nostro calcio.
- I giocatori? Forse la cosa più grave è che nessuno sembra davvero indignato. Donnarumma cerca di salvare il salvabile, il blocco nerazzurro non si ritrova.
- Il resto? Passano, si intravedono e poi tornano nell’ombra. La generazione d’oro non c’è e quella d’argento ha perso il proprio smalto.
In questo gruppo mancano i leader, manca il carisma, manca la qualità, quella vera. Perché se la Norvegia ha Odegaard, Haaland, Sorloth e Nusa, noi ancora stiamo qui a domandarci il perché Acerbi (37 anni), ha declinato la convocazione.
In cima alla piramide non può di certo mancare Gabriele Gravina. Il presidente della FIGC, capace di restare aggrappato al suo trono nonostante tutto. Con lui al timone, abbiamo visto fallimenti e ricostruzioni effimere.
Il calcio italiano è invaso da problemi evidenti e ignorati: settori giovanili impoveriti, club soffocati da interessi economici, allenatori spremuti e dirigenti più attenti ai salotti che alle dinamiche di campo. Qui si parla di uno sport che non offre più talento, passione e idee, in cui si preferisce il compromesso al cambiamento, la nostalgia al coraggio.
Mentre le altre nazioni si evolvono, corrono, noi restiamo impantanati nei ricordi di Berlino 2006, a cullarci nelle notti magiche che ora sembrano solo incubi costanti.
Se non andremo al Mondiale, l’italiano medio almeno guarderà il torneo per esclamare
“ma se ci fossimo stati noi…”.
D’altronde, il vero sport nazionale è questo: vivere di ricordi, rincorrere i rimpianti, omaggiare i campioni passati e dare la colpa alla classe arbitrale.
immagine creata con IA