Nessuno può sapere cosa si nasconde dietro i tornanti della vita, basta un attimo e tutto cambia o si spezza. Il 31 gennaio 2009 un tornante della vita di Giuseppe Gatì nascondeva un terribile destino (e un filo scoperto in un’azienda agricola) lo strappò alla vita. In tutto il 2009 furono 1.050 le persone che persero la vita sul lavoro, 790mila gli infortuni. Nell’anno appena trascorso, i morti sul lavoro sono stati 1.089, gli infortuni oltre 641mila, dati che l’INAIL ha reso noto proprio oggi. Statistiche che devono far riflettere, ma che passano nell’indifferenza (e nell’omertà).
Giuseppe Gatì non chiuse mai gli occhi davanti a quel che ci circonda e nella sua troppo breve vita (24 anni) si impegnò a denunciare e combattere le mafie e le ingiustizie. Un mese prima della sua morte, il 29 dicembre 2008, Vittorio Sgarbi (allora sindaco di Salemi) presentò un suo libro ad Agrigento. Allora, come oggi, Sgarbi impazzava in televisione e sui giornali con attacchi nei confronti dei giudici che lottano contro la mafia, allora contro Giancarlo Caselli (come nei giorni scorsi contro Nicola Gratteri) e in difesa di personaggi come Mannino e Andreotti. Giuseppe Gatì si presentò e gli urlò contro «Viva Caselli, Viva il pool antimafia». Un gesto coraggioso, duramente represso dal servizio d’ordine. Non era consentito mettersi «contro uno che era stato onorevole e ministro», che aveva «smosso queste acque putride e stagnanti che ci stanno soffocando» come scrissero i suoi amici.
Nelle settimane precedenti Sgarbi aveva sostenuto che la mafia non esiste più (parole ripeture il 17 giugno 2011 durante il festival di Taormina, il 6 agosto 2011 e il 3 aprile 2014 come riporta il sito del Movimento delle Agende Rosse)
L’epilogo dell’amministrazione comunale di Salemi targata Sgarbi è noto: nell'aprile del 2012 viene sciolta per infiltrazioni mafiose. Si legge nella relazione del Ministero dell’Interno: «il sindaco ha precise responsabilità», «formazione degli atti fuori dalle sedi istituzionali, libera determinazione fortemente ostacolata, applicazione di facciata dei protocolli di legalità», «l’amministrazione, col sindaco e vicesindaco, non ha posto alcun argine al condizionamento esercitato dall’on. Giammarinaro», ex deputato andreottiano della DC e al centro del rapporto della direzione anticrimine locale Salus Iniqua.
Giuseppe aveva scelto di difendere la sua terra, di seguire i sentieri della giustizia e della libertà per ribellarsi «contro questa società sporca e meschina».
«E’ arrivato il nostro momento, il momento dei siciliani onesti – scriveva Giuseppe Gatì – che vogliono lottare per un cambiamento vero, contro chi ha ridotto e continua a ridurre la nostra terra in un deserto, abbiamo l’obbligo morale di ribellarci». La sua ribellione si spezzò tragicamente il 31 gennaio 2009, il suo ricordo non si può fermare ad un compianta memoria. Sono passati ormai undici anni e su questi due lustri è necessaria una profonda riflessione. Erano gli anni in cui un’ampia ribellione civile scosse questo Paese, in cui era ben chiara la connessione tra mafie di ogni tipo, politici corrotti e imprenditori senza scrupoli, in cui i pupari erano chiamati con nome e cognome. E l’indignazione montava, fiorivano blog e vera contro informazione, in cui cittadini attivi documentavano, denunciavano e si ribellavano davanti a quel che accadeva a L’Aquila dopo il terremoto o nelle stanze del Potere, in cui i cittadini liberi e onesti si schieravano senza se e senza ma con giudici come De Magistris, Forleo, Ingroia, Di Matteo e farlo non era considerato un atto di illiberale manettarismo ma impegno per la libertà.
Undici anni dopo troppo spesso gli uomini liberi sono messi all’angolo, insultati e attaccati, schierarsi con chi documenta e denuncia le valanghe di merda di questo Paese è oggetto delle più scriteriate e vergognose messe all’indice.
Giuseppe Gatì oggi non c’è più. Ma possiamo ricordarlo e, così come fece lui, lottare perché quell’impegno prosegua.
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2020-01-31 16:46:55
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