Un’Iniziativa del Presidio di Libera Tornareccio, “Roberto Mancini”, con la partecipazione della classe III della Scuola secondaria di Tornareccio 2019/2020 e dell’Amministrazione Comunale. Wordnews ha incontrato Mariella Tieri, responsabile del Presidio, per saperne di più:
Perché una panchina rossa?
«Una donna uccisa dalla violenza di un uomo lascia un vuoto che non può essere dimenticato. La panchina rossa, colore del sangue, diventa quindi emblema del posto occupato da quella donna che non c’è più, portata via dalla violenza. Si tratta di un simbolo fisico che diventa contemporaneamente un luogo per diffondere consapevolezza su questo preoccupante fenomeno e segno tangibile di impegno quotidiano alla sua lotta. La violenza alle donne solo da pochi anni è diventato tema e dibattito pubblico: esiste la violenza domestica esercitata soprattutto nell'ambito familiare, attraverso minacce, maltrattamenti fisici e psicologici, atti persecutori o stalking, percosse, abusi sessuali, delitti d'onore, uxoricidi. La violenza economica, ovvero il controllo del denaro e dell'attività lavorativa da parte del partner. Le donne sono esposte nei luoghi pubblici e sul posto di lavoro a molestie ed abusi sessuali. Altre forme di violenza sono le mutilazioni genitali femminili o altri tipi di mutilazioni fisiche, l'uso dell'acido per sfigurare, lo stupro di guerra ed etnico. L'Italia non è immune da questa piaga. Bisogna lavorare molto sui giovani che devono crescere nel rispetto della persona, dell'opinione altrui ma anche nel rispetto del corpo e dei sentimenti degli altri».
Perché la panchina rossa è stata intitolata a Lea Garofalo? Quale significato ha questa panchina?
Abbiamo intrapreso un percorso di sensibilizzazione sul problema. Dallo spettacolo "Ferite a morte" con la lettura di brani tratti dal libro di Serena Dandini, alla proiezione del film "Lea" di Marco Tullio Giordana. E abbiamo fortemente voluto che l'installazione della panchina rossa nel nostro paese venisse intitolata proprio a Lea Garofalo. Lea, figlia di un boss della 'ndrangheta calabrese, dopo una gioventù passata nel terrore di agguati e vendette, scoprì ben presto cosa volesse dire essere la compagna di un mafioso. Decise che quella non era la vita che voleva per sua figlia Denise. Divenne quindi testimone, entrando così nel programma di protezione insieme alla figlia. Questa scelta non fu accettata dall'ex compagno, che ne orchestrò il rapimento e l'omicidio. Oggi Lea, una delle poche donne a ribellarsi alla 'ndrangheta, viene ricordata come un esempio di coraggio e indipendenza. Dopo aver fatto condannare gli assassini di sue madre, Denise ha iniziato una nuova vita lontano dalla Calabria, con un altro nome. Lea non si è arresa. Lea ha combattuto ed ha vinto la sua battaglia. Alla fine, pur pagando con la propria vita, ha ottenuto quello che voleva, fare della propria figlia una donna che non si piega.
Perché il vostro presidio è intitolato a Roberto Mancini e che assonanza c'è tra Mancini e Lea Garofalo?
Ogni presidio viene intitolato ad una vittima innocente delle mafie e per questo abbiamo iniziato a fare ricerca. La scelta è ricaduta sul nome del poliziotto Roberto Mancini "vittima del dovere” (30 Aprile 2014, 53 anni), un uomo che ha fatto il proprio lavoro con coscienza e senso civico, un uomo che nell’esercizio del proprio dovere è morto di tumore a causa delle indagini che conduceva sulla Terra dei Fuochi. Roberto Mancini, da poliziotto, aveva scoperto prima degli altri, i rifiuti tossici, quando nessuno conosceva ancora la triste realtà di quella che è poi balzata all'onore delle cronache come la "Terra dei Fuochi". Ciò che accomuna le due figure è il coraggio di lottare contro una realtà che forse non lì ascoltava abbastanza e la voglia di cambiamento.
"Qui siede chi non guarda se non con gli occhi dell'amore,
chi non possiede ma abbraccia,
chi non giudica ma accoglie,
e chi non fa spazio alla violenza"
Maria Cristina Folino
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2020-03-08 12:40:23
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