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L’identità di Isernia in un edificio

by Marilena Ferrante
18 Marzo 2020
in L'Opinione
Reading Time: 8 mins read
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Architetto ed ingegnere, dottore di ricerca in Storia dell’Architettura e Restauro, la dottoressa Zullo ha insegnato Restauro in diverse Università e scritto diversi saggi e volumi sull’architettura storica, le tecniche costruttive ed il paesaggio.

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Tra i suoi scritti spiccano l’importante monografia sull’architetto di età umbertina Giulio De Angelis, il volume che ripercorre le vicende costruttive della cattedrale di Isernia e quello che fa luce sulla ricostruzione in Molise dopo il terremoto del 1805.
 

Dottoressa Zullo quale importanza riveste questo edificio storico per la nostra città e perché?

«La scuola San Giovanni Bosco ha un grande interesse storico per la città perché era parte di un programma di rinnovamento urbano che si voleva realizzare agli inizi del Novecento e ne rappresentava l’emblema e perché era il primo edificio pubblico realizzato fuori dalle mura urbane che racchiudevano il centro antico. Anticipava lo sviluppo della città verso la stazione e la zona più pianeggiante».  

 

Ci sa dire se ci molte fonti storiche  e bibliografiche intorno alla sua edificazione?

«I documenti relativi al lungo iter costruttivo dell’edificio sono conservati nell’Archivio Storico comunale. Si conservano disegni originali, relazioni e tutti quegli atti connessi che consentono di ricostruire ogni passaggio della sua realizzazione. Personalmente ne ho ripercorso le vicende in un saggio pubblicato su L’Almanacco del Molise del 2011. Qualche notizia si trova anche sui testi che trattano dell’opera del suo progettista, l’ing. Angelo Guazzaroni».

 

A quanto risale la sua prima pietra e poi la completa realizzazione?

«L’iter progettuale della fabbrica fu lungo: parte nel 1913 ma Guazzaroni fu costretto a rivedere la sua idea più volte, già nel 1916 e poi ancora nel 1919, nel 1925 e nel 1928. Per la realizzazione della scuola, infatti, era necessaria l’enorme somma di 2.300.000 lire, per cui nel 1928 il Provveditorato alle Opere Pubbliche per l’Abruzzo e il Molise, prese la decisione di realizzare solo un primo lotto, rimandando ad altri tempi il completamento dell’opera. Ridotta la spesa complessiva da 2.300.000 lire a 1.900.000 lire, con il primo finanziamento di 681.000 lire si scelse di realizzare come primo stralcio, parte del corpo anteriore e il braccio nord est, prospiciente l’attuale scuola media Giovanni XXIII, più economica per l’assenza del piano seminterrato. Non escludo che il lungo iter per la realizzazione della scuola, che vede i lavori al primo lotto iniziare solo nel 1931, per poi terminare nel 1934, si sbloccò anche per l’interessamento del molisano Michele Romano cha tra il 1925 e il 1926 fu sottosegretario alla Pubblica Istruzione. Mentre si lavorava, nel 1932 Guazzaroni consegnò anche il progetto per il secondo lotto conclusivo, tuttavia bocciato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che richiese che i calcoli statici delle strutture portanti -sebbene già approvati con il progetto iniziale- venissero modificati e rielaborati ex novo per la parte di fabbricato da eseguirsi nel secondo lotto. Il progetto fu approvato nel 1933 ma il secondo lotto fu consegnato nel 1937 e i lavori conclusi tra il 1940 e il 1941, pur senza la realizzazione della palestra coperta».

 

Da chi fu progettata e in che modo?

«Il progettista scelto non era uno qualsiasi, infatti di Angelo Guazzaroni si ricordano diverse realizzazioni in tutta Italia, alcune anche di notevole importanza. A Bari progettò l’Arena della Vittoria, impianto sportivo che voleva celebrare la “vittoria” dell'Italia durante la prima guerra mondiale. Al concorso per la sua realizzazione, avviato nel 1928 e aggiudicato nel 1931, Guazzaroni partecipò con il noto architetto Vincenzo Fasolo. A Roma, progettò la sistemazione delle vie di accesso al Colosseo dalla parte nord-est della città. Nella stessa città, con Marcello Piacentini, partecipò alla realizzazione dello Stadio del Partito Nazionale Fascista, denominato Stadio Torino dopo il disastro aereo di Superga e demolito nel 1957, in occasione della XVII Olimpiade, per far posto allo Stadio Flaminio. In realtà, l’impianto costruito lungo via Flaminia e denominato Stato Nazionale, era stato inaugurato nel 1911, in occasione delle feste per il cinquantenario dell’Unità d’Italia. Tuttavia, la sua limitata capienza -25.000 posti a sedere- lo fece cadere presto in disuso. Nel 1927, in linea con la politica sportiva del regime, si decise di ristrutturarlo, affidandone ancora il progetto a Piacentini e Guazzaroni che pensarono ad un complesso in grande stile, che prevedeva oltre al campo di calcio con tribuna coperta, una pista di atletica e una piscina scoperta. Sotto gli spalti i due progettisti ricavarono una piscina, una palestra, sale per il pugilato, la lotta, il sollevamento pesi e la scherma, oltre a servizi e uffici. La capienza complessiva dello stadio fu aumentata fino oltre a 30.000 spettatori e del complesso faceva parte addirittura un albergo di tre piani per gli atleti, con 600 posti ripartiti in 70 dormitori. Sicuramente però la maggior parte delle sue risorse fu impegnata nella progettazione di scuole, che realizzò in tutta Italia. La scuola San Giovanni Bosco fu pensata come un’opera fuori scala per la città di allora, che dominava con il suo importante volume l’intera zona, a riprova dell’alto valore simbolico che il regime attribuiva all’edificio. In particolare, l’edificio era pensato come un lungo corpo di fabbrica con due ali laterali caratterizzate da un leggero scatto in avanti, aule sui tre lati -divise tra uomini e donne-, scale negli angoli e servizi sulle testate di fondo. Il corpo più piccolo della palestra fronteggiava l’ingresso, costituendo un elemento indipendente che contribuiva a formare l’immagine di un edificio “a pettine” su due piani, tranne che per il lato sinistro, dove la naturale acclività del terreno consentiva la realizzazione di un seminterrato. Strutturalmente la scuola era inizialmente prevista in muratura e nonostante il progetto fosse stato già approvato, in seguito al terremoto della Marsica, nel 1916 Guazzaroni dovette rielaboralo prevedendo una struttura completa in cemento armato perché Isernia era stata inclusa tra i comuni a rischio sismico e con l’obbligo dell’osservanza delle norme antisismiche per le nuove costruzioni».

 

Quali particolari, nella sua ricerca storica l’ha incuriosita  e/o stupefatta di più?

«Sicuramente la gran cura che Guazzaroni metteva nel disegno dei  particolari. Disegnava praticamente tutto: decorazioni parietali, simboli, infissi, cancelli, ringhiere e finanche i dettagli di arredo quali gli appendiabiti».

 

E’ un’opera monumentale dunque, in una posizione centrale di Isernia, ci sono speranze affinchè ritorni al suo antico splendore per accogliere i bambini della nostra Isernia?

«Leggo dai giornali che c’è un progetto di restauro dell’edificio e che il Comune ha in corso la gara d’appalto per i lavori».

 

Come definirebbe questo corpo, ormai vuoto, nel cuore della nostra città?

«E' un edifico dal grande valore identitario per la nostra comunità oltreché storico ed architettonico. Una sorta di elemento di raccordo tra il vecchio e il nuovo. Un edificio destinato a raccogliere e rappresentare da sempre la speranza. La speranza di emancipazione della città agli inizi del Novecento alla ricerca di una modernità poi mancata, la speranza di tutti i bambini che l’hanno frequentata verso un futuro roseo, la speranza attuale di noi cittadini di veder rinascere una parte di città che, oggi più che mai, si presenta come una frattura tra il centro storico e la città nuova».

 

Per rispondere alle nostre domande la dott.ssa Zullo ha utilizzato alcuni passaggi di un suo scritto, dal titolo «La modernità mancata. Progetti urbani ad Isernia nel ventennio», contenuto nell'Almanacco del Molise 2011.

Le foto (prospetto principale e particolare del cancello d'ingresso) sono state estratte dall'opera citata.

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2020-03-18 18:59:10

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