Ho il privilegio di conoscere Normanno Soscia. La sua casa è un labirinto saggio. O forse una fortezza di memorie filosofiche. Ne ha studiato l’incrocio dei venti e la rincorsa della luna al sole per ridefinirne le alture, la giostra dei pianori, le amare eventualità dello sguardo e i resoconti dell’ombra. Più che una casa un approdo, come asilo robusto che fa da riparo alle rotte ventose o ai traini di piombo e ocre che traversano il cielo dirottando sul Tirreno – come baia all’occhio – ogni malaugurio. E corona di salite collinari tutto attorno. E i piccoli orti a fare da schermo o da frenata ai pendii ripidi. Non c’è volta che non sbagli direzione allontanandomi – anziché approssimarmi – tra i viali paralleli della piccola città. Allora lui, Normanno, si fa “segno scudiero” sulla rampa della collina e restituisce fiato e serenità all’ospite. Lo studio è un quadrilatero irregolare imbevuto di luce; quella arrogante che accoltella l’alba e risale, esuberante, le pareti della valle; quella affaticata – alle ore del vespro – che trova giaciglio lunare nella lingua di mare.
L’ordine luminoso delle cose – capillare – sembra fare da avanguardia ad ogni successivo racconto, visivo e poetico. Ogni oggetto, ogni reperto, vive in un proprio alveo: di luce, di età, di storia. Alcuni di essi – come innaturali modelli in posa – sono i protagonisti delle scorribande ancestrali di Soscia pittore. Lui li affida, benevolmente, alle campiture, amplificandone l’esito, il volume, il celebrato o l’inservibile trascorso.
Poi, come sfiniti, intorpiditi, assetati, saltano giù dalla tela muovendo i passi – incerti – verso i loro ripari: un minuscolo piedistallo, una brunita scrivania, un ripiano di pietra, innumerevoli scatole minute. Sono s-oggetti dormienti ora, in attesa che il loro generoso “padrone” ne invochi di nuovo la presenza radunandoli per un’altra avventura, per un inedito giro di giostra. I reperti. Numerosissimi, precari, esili, rinvenuti, difesi. Come se una “memoria onirica” facesse da madre prodiga ad una figliolanza stipata; ne ascoltasse il sollievo custodendone il tempo. Senza giudizio alcuno, pregando ignara per il loro destino, per la loro insolita sopravvivenza.
Mi vien da pensare, guardando la pittura di Normanno Soscia – e i suoi occhi – ad un paradosso spiazzante. In verità, la “ressa” di figure ed oggetti, di affollate sembianze, di simbolici cospetti, sembra nascondere un più profondo intendimento, ovvero quello di “celare e preservare”, in quel caotico susseguirsi di ritmi formali e cromatici, un più intimo e personale “sentire”. Come a creare un “tumulto” quasi cinematografico o narrativo per occultare – in un mondo parallelamente inquieto – l’essenza (il senso) della propria genia. Di artista e di uomo. Un camuffamento perfino plateale fatto di processioni imminenti, di comunità di giostrai, di un bestiario sull’orlo di una crisi nervosa, di costellazioni bambinesche, di tribali riti melodiosi. Tutto ad innescare una “pandemia” strepitante di volti improbabili, di corpi altrettanto inverosimili, di cromie abbaglianti e al contempo cieche. Lui, l’artista, a tirare i fili e a dare forma ad un universo comunque struggente, immaginifico, straordinariamente mimetico. Ecco, mi pare quasi – è il mio sentire – che nel sottosuolo di quei cortili fantastici, lui, l’artista, mantenga viva la sua natura per nulla lieta e dissimuli – in verità – nelle presumibili metafore del suo sguardo pittorico quella che è invece la dimensione greve, inquieta, rigorosa del suo essere uomo. Una pittura, quella di Normanno Soscia, che all’occhio smemorato e veloce di molti sembra “recapitare dispacci” di rassicurante letizia, di echeggianti coreografie, di ironiche affabulazioni. Ma che in verità – lasciando alla sosta tutto il tempo del ripensamento e della deduzione – è luogo altro, indistinto, lontano.
E ripenso ai suoi inamovibili “equilibristi” su esili spaghi di biacca e di vermiglio; alle “coppie” che ridefiniscono in una ipotetica stretta, un nuovo esemplare di umanità; ai “profili” bifronte che suggeriscono sguardi solo in apparenza rincuoranti. Ecco, Normanno Soscia, capace di rivelare, nei cortili appartati della sua straordinaria pittura il certo e l’inganno.
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2020-04-24 11:58:17
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