Che l'informazione televisiva rimanga saldamente circoscitta nell'isola ecologica delle porcherie gratuite. Non sia mai che ambisca a qualcosa di meglio. La televisione, il mezzo attualmente più utilizzato dagli italiani per ricevere un'informazione il quanto più possibile chiara e imparziale, è in gran parte strumento inefficace e deviante. Roba da netturbini in pettorina arancione, costretti ad ammassare qua e là rifiuti organici e materiali ingombranti, fake news e notizie riciclate. Una cloaca a cielo aperto, anzi a schermo piatto, dove, al di là di qualche sparuta eccezione, si esercita tutto fuorché il dovere all'informazione.
Ricordate i cari vecchi confronti televisivi? Quando nelle trasmissioni politiche e nei talk show i partiti e i leader si affrontavano sui temi più scottanti stando l'uno difronte all'altro, con la sola forza delle argomentazioni a supportare le proprie idee.
C'era una volta il contraddittorio in tv, ma ora non c'è più. Lontani, lontanissimi i tempi del Berlusconi vs Occhetto, che facevano presagire la nascita di un bipolarismo all'americana. Ma persino lo scontro Prodi-Berlusconi del 2006 sembra una prassi perduta nel tempo, pura preistoria televisiva.
I format dei giorni nostri non contemplano più lo scontro one to one tra esponenti dei partiti. Il politico è la grande star, solista issato sulla scena televisiva, libero di dire qualsiasi cosa senza più l'incombenza di dover dimostrare a tutti i costi l'attendibilità delle proprie fandonie.
Le trasmissioni si sono ridotte a uno show in cui il conduttore intervista il politico, il quale sciorina il suo lungo monologo senza contraddittorio. E più il giornalista è bravo (eventualità questa sempre più rara) più aumenta la probabilità che vi siano anche domande scomode. Che potrebbero anche essere inesistenti o, peggio ancora, falsamente scomode. Il duello è tutto giornalista vs politico, ma ancora più spesso giornalista vs giornalista, eliminando direttamente il terminale ultimo. Come se i rappresentanti politici non fossero in grado di reggere il confronto nemmeno con le proprie idee.
Ed è un vero peccato, perché i soggetti politici e istituzionali occupano tanto spazio nei palinsesti televisivi. Secondo i dati Agcom, nel periodo marzo-aprile di quest'anno, hanno registrato un tempo di parola pari al 45% nei programmi extra-tg (241 ore i soggetti politici, 85 quelli istituzionali).
E se si escludono le conferenze fiume del premier Conte, apparso peraltro una sola volta nella trasmissione Accordi&Disaccordi a marzo, i politici più presenti in tv sono Giulio Gallera, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, già prima delle rimostranze presentate al Capo dello Stato per la scarsa considerazione (secondo loro) degli editori.
Ma perché si assiste ogni giorno di più alla scomparsa del faccia a faccia televisivo? Perché al confronto tra più fazioni contrapposte si sostituisce l'eco delle parole di uno solo?
La questione sembra secondaria, ma non lo è affatto. Specie in tempi in cui siamo sommersi dalle fake news e ci sentiamo più a nostro agio nella filter bubble dell'informazione, la bolla di filtraggio entro la quale lasciamo passare solo quello che si adatta al nostro modo di pensare. Con un risultato disastroso per la coscienza civica.
È il patibolo dell'onestà intellettuale, il deprezzamento del diritto all'informazione sancito dalla Costituzione.
Perché si è arrivati alla crisi del contraddittorio? Ci sono ragioni tecniche e ragioni più specificamente politiche.
È innanzitutto un problema del politico di turno, che poi diventa un problema del conduttore, che infine viene fatto ingoiare comunque allo spettatore.
Secondo Enrico Mentana, che di face to face televisivi ne sa qualcosa, "i duelli tv sono come gli incontri sentimentali, se non si è tutti d'accordo non si fanno". La verità è che sempre più spesso i politici accettano l'invito solo se in studio non ci sono avversari. Perché gli slogan son belli solo fin quando c'è il rimbombo della tua sola voce a propagarli. E perché la tua libertà di spararla grossa si argina lì dove inizia quella dell'altro.
Ma c'è anche un'altra ragione, che riflette il disordine politico di questa fase storica. Il sistema partitico è diventato una mischia senza argini, in cui spesso mancano punti di riferimento, voci autorevoli, fronti veramente contrapposti. E soprattutto, idee che non siano campate in aria.
"Il pluralismo politico e istituzionale non è l'ospitata a turno di rappresentati politici, con l'occhio al cronomentro", ha fatto notare Antonio Nicita (Agcom) in un'intervista di ormai due anni fa. "Nessuno può imporre un invito, sebbene vi sia un indubbio dovere morale per chi sta al governo di informare e di esporsi alla critica. Ma si può restare fedeli al format, trattando tutte le forze politiche allo stesso modo e, ad esempio, lasciando una sedia vuota con il nome dell'invitato, spiegando le ragioni della mancata partecipazione."
Sarebbe uno stillicidio di seggiole vuote, ma renderebbe perfettamente l'immagine di una classe politica che, più di tutto, ha paura del confronto. Perché è vero che le fake news e le balle colossali sono facili da smascherare, ma è altrettanto vero che non tutti quelli che guardano la tv hanno voglia di farlo. E, in ogni caso, fino alla smentita ufficiale il politico può crogiolarsi nella luce dei riflettori.
Altra cosa è invece essere sbugiardati in diretta nazionale. Sarebbe un'ecatombe di like perduti che nessun politico vuole rischiare.
Perciò va bene così. Il format "io parlo – senza sapere esattamente di cosa – e voi ascoltate" è quello più confacente all'attuale classe politica, con buona pace del diritto all'informazione.
Anche perché, altrimenti, si scoprirebbe che dietro gli slogan non c'è quel mondo attraente che vogliono farci credere. Al contrario, si scoprirebbe che dietro gli slogan non c'è proprio niente. Solo altri slogan cuciti sul niente.
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2020-06-08 18:31:39
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