“L’elettroshock, signor Latremoliere, mi riduce alla disperazione, porta via la mia memoria, annichilisce la mia mente e il mio cuore, mi trasforma in qualcuno che è assente e che conosce di essere assente, e si vede per settimane ad inseguire il suo essere, come un uomo morto a fianco di uno vivo che non è più sé stesso, ma che insiste che l'uomo morto sia presente anche se non può più rientrare in esso.”
Queste sono le parole toccanti di Antonin Artaud al suo psichiatra Jacques Latremoliere. Artaud fu un raffinato esploratore dell’animo umano, inventore del teatro della crudeltà che trascorse alcuni anni internato in ospedali psichiatrici dove fu sottoposto a interventi di elettroshock.
La lacerazione interiore di Artaud lo portò a vivere fino in fondo l’esperienza del suo “male” per poter trovare la parola adatta a esprimere il suo vissuto sospeso tra la vita e la morte, riuscendo attraverso le sue opere a dar voce al suo malessere esistenziale e dandogli una valenza universale. Ciò di cui soffriva Artaud era la malattia dell’anima, il male oscuro, il cane nero, alcune delle tante perifrasi per definire la depressione, la malattia dei nostri giorni.
Si tratta di una patologia sulla quale, purtroppo, c’è ancora pochissima consapevolezza, nonostante il numero crescente di persone che ne soffrono. Un malessere che annienta: il vuoto e il freddo che tormentano, giorno e notte senza tregua e avvolge come un’ombra l’esistenza tutta, caricandola di sofferenza e annullando la percezione di essere vivi, perché la bestia nera, oscura e subdola stritola e soffoca l’interesse per la vita.
Si entra in una terra misteriosa dove non c’è niente e, lì, la persona depressa si sente sola e incompresa, circondata da esseri mostruosi dai mille tentacoli che vampirizzano la sua mente e da un susseguirsi di baratri in cui precipita senza esserne consapevole. Vie tortuose lastricate di irrealtà che dirigono inevitabilmente fuori strada ignorando la destinazione. La persona vaga smarrita come un naufrago in alto mare che non riesce a scorgere l’orizzonte, che non sa dove gettare l’ancora perché l’ha smarrita durante la tormenta delle sue ossessioni. Cerca qualcosa a cui aggrapparsi ma è lontana e non riesce a raggiungerla, infine non riesce a vederla perché una nebbia di pensieri fuori controllo l’ha resa invisibile. Il dolore è paralizzante, blocca la capacità di socializzare portando all’isolamento e all’estraneità dal mondo e dagli altri. L’impatto sulla qualità̀ di vita è dunque drammatico per la persona, invalidando le relazioni con il partner, i familiari, gli amici e i colleghi.
Ma la sofferenza della persona malata agisce soprattutto come onda d’urto nell’ambito familiare.
Chi vive a contatto con una persona depressa si trova quotidianamente in difficoltà, perché non sa bene come affrontare la situazione e soffre quasi quanto la persona malata. Gli diventa difficile scegliere il comportamento adatto, rischia di turbare il familiare pur volendolo rassicurare o di deprimerlo pur sperando di confortarlo. Inevitabilmente affiorano sensi di colpa dovuti alla sensazione di non fare abbastanza, frustrazioni connesse al non vedere apprezzati i propri sforzi, sentimenti di rabbia legati al rifiuto dell’aiuto e infine un senso d’inadeguatezza e di impotenza. L’elemento centrale dei problemi psichici, in generale, è la solitudine del “malato” e di coloro che gli stanno accanto che spesso sono esclusivamente i familiari. E in un periodo pandemico, come questo che stiamo vivendo, di difficoltà oggettiva per tutti, per queste persone è un antro infernale.
Infatti, se la paura fa vacillare le certezze anche negli individui che godono di un equilibrio psicologico stabile, per questi soggetti “deboli” i contorni attuali assumono l’immagine di un’eruzione vulcanica che sommerge anche l’ultimo lembo di realtà. E vergognoso è il silenzio assordante delle istituzioni sul disagio mentale. Sulla depressione, così come sui disturbi mentali in generale, grava ancora oggi una radicata stigmatizzazione fondata su stereotipi e luoghi comuni, spesso infondati, che sono molto difficili da estirpare, come pericolosità̀ e inguaribilità. In questo quadro l’intervento dello Stato sarebbe di fondamentale importanza, potenziando i servizi (come hanno fatto paesi del nord Europa dalla Svezia alla Finlandia) e non operando tagli selvaggi ai costi riservati alla malattia mentale.
È cosa nota che, l’indebitamento e la disoccupazione contribuiscono fortemente a questo malessere e quindi oggi più che mai si dovrebbe prestare attenzione a questo rischio, considerando lo scenario di crisi economica in cui inevitabilmente ci muoveremo.
È pertanto necessario agire, al fine di eliminare lo stigma, migliorando la conoscenza delle problematiche che riguardano la salute psichica e mutandone contestualmente la percezione. Un’efficace lotta allo stigma dovrebbe iniziare da un cambiamento culturale e di atteggiamento, perché ricordando un’affermazione di Franco Basaglia “Non so che cosa sia la follia. Può essere tutto o niente. È una condizione umana.” Da aggiungere che è una condizione umana di sofferenza e dunque merita sensibilità e risorse.
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2020-06-10 12:07:11
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