Partiamo ancora una volta dall'ennesimo fatto di cronaca di pochi giorni fa. A Lecco un padre uccide i suoi due gemelli di 12 anni e prima di suicidarsi scrive un messaggio alla moglie: «non li vedrai più».
Tanti, troppi oramai gli episodi che vengono definiti femminicidi, ma altro non sono che l'omicidio della propria compagna o moglie o, in questo caso, la distruzione della stessa attraverso l'uccisione dei figli.
Abbiamo intervistato il dottor Carmelo Bartolo Crisafulli sociologo criminologo e bioeticista che da sempre studia e si occupa del fenomeno.
Dottor Crisafulli, cosa accade nella mente di questi soggetti, cosa c'è dietro tanta violenza?
«I casi sono singoli, mai generalizzare perché ogni storia nasce da personaggi differenti con il loro vissuto alle spalle. In questo caso un giovane padre con famiglia, moglie, due ragazzi gemelli però abbiamo ancora pochi dati che emergono dalla cronaca e facciamo soltanto supposizioni. Non credo mai al raptus, all'azione del momento. Qui, nella tragedia di Lecco, la condotta criminale è assolutamente dimostrabile cosi come la premeditazione. Una violenza assoluta che vede nei due bambini le vittime dirette, ma che fa diventare vittima la madre pur se sopravvissuta e le famiglie dei due coniugi, interessate a tale tragedia».
Questi fatti sono sempre più frequenti in particolare gli omicidi di donne, siano esse mogli o fidanzate. Cosa accade in queste famiglie?
«Le persone non sono preparate al matrimonio o alla convivenza. Decidono soltanto di vivere insieme, ma non funziona se prima non vengono "fissate" determinate condizioni da rispettare alla lettera. Il rapporto matrimoniale necessita di alcuni punti fermi dai quali non si può e non si deve prescindere; nei miei corsi prematrimoniali spiego alle coppie presenti, che due persone che si mettono insieme dovrebbero stabilire da subito regole certe di convivenza poiché nonostante ci sia un forte legame sentimentale, si resta estranei per sempre. Altra cosa è l'amore per i figli e nipoti, perché in tal caso vi è il vincolo di sangue: ma fra coniugi la determinazione di punti essenziali per la gestione del rapporto a due è basilare per la sussistenza del rapporto stesso. Penso, innanzitutto, al regime della divisione dei beni: si deve partire da qui, poi durante il matrimonio si potrà decidere se avere o meno proprietà in comune. E' necessario poi scegliere il proprio ruolo all'interno della famiglia: se lavorare o restare a casa; fondamentale inoltre è individuare un luogo certo, la casa dove ritrovarsi, il luogo della famiglia. Il matrimonio e la convivenza, sono perennemente insidiate da fattori esterni: i problemi economici, l’interferenza delle rispettive famiglie, le tante difficoltà della vita e se non vengono posti paletti inamovibili diventa difficile mantenerli intatti nel tempo».
Torniamo alle tragedie familiari che quasi ogni giorno la cronaca racconta. È ormai acclarato che la punizione e la detenzione non sono deterrenti. Di cosa parliamo quindi: situazioni che nascono dal malessere individuale e sociale, dalla crisi dei valori o da una innata propensione al male?
«La punizione e il castigo nascono in pedagogia e vengono inflitti per correggere e far crescere un soggetto da rieducare: qui non c'è nessuno da rieducare. Si scatena l'annientamento vero e proprio: io, pensa il soggetto che uccide, voglio l'annientamento della mia compagna, la voglio distruggere. Quando scatta questo nell'individuo, nulla lo fermerà. Non condivido l'idea che una maggiore diffusione delle armi faciliti i delitti e questo perché, chi ha deciso, lo farà comunque: lo farà a mani nude, lo farà con un coltello, lo farà perché in lui si è scatenato l'odio che lo muove e quindi l'arma diventa relativa.
Da criminologo quando mi reco sulla scena del delitto mi accorgo subito dai dettagli di che tipo di delitto si tratta: quando ad esempio la persona ha deciso di annientare e desidera la morte della vittima dietro c'è il perverso meccanismo del “non sei più innamorata di me allora non amerai nessun altro”; oppure quando c' è la gelosia (pensiamo all'utilizzo dell'acido) scatta l'idea del nessuno dovra' più guardarti».
Se la punizione e il carcere non solo deterrenti, resta l'aspetto essenzialmente culturale ed educativo volto al rispetto delle diversità di genere e della libertà altrui: cosa si può fare per prevenire queste disgrazie?
«Innanzitutto occorre ascoltare le donne, accoglierle: le situazioni per molte sono difficili, magari si trovano senza reddito, senza una casa, senza un aiuto concreto per allontanarsi dal compagno violento. Spesso le famiglie di origine si mostrano contrarie alla separazione e per questo non appoggiano le vittime nel loro percorso di allontanamento. Sicuramente la realizzazione di strutture di accoglienza per una soluzione temporanea e di emergenza aiuterebbe a scappare e salvarsi, ma occorre un lavoro di équipe che affianchi poi le vittime nella fase successiva sino alla denuncia.
Occorre poi ripartire dalla scuola primaria, mi sento di dire che le ultime due generazioni oramai le abbiamo perse… possiamo solo rimediare. Occorre reintrodurre l’insegnamento della educazione civica, lavorare per una conoscenza a 360 gradi, che vada dalla Costruzione alle regole di convivenza civile, per imparare a rapportarsi con il prossimo. Insegnare nella scuola, ma anche all'interno della famiglia e fuori da essa, organizzando corsi con personale competente: un lavoro difficile ma necessario se si vuole mettere mano a questo tragico ed irrefrenabile fenomeno della violenza in famiglia.
Soprattutto al Nord si sta anche cercando di lavorare per il recupero dei soggetti violenti, prendendosi in carico il maltrattante (intervenendo in caso di eventuali patologie), in un percorso di affiancamento alle famiglie nelle quali iniziano a manifestarsi segnali di avvertimento prima dell'evento eclatante».
Dott. Crisafulli, perché questi uomini odiano tanto le donne?
«L'uomo vorrebbe comandare per sua natura e mal tollera l'uguaglianza con le donne: la donna emancipata dà fastidio, una compagna che ha studiato, che ha la propria professionalità e un ruolo riconosciuto all'interno della società, alcuni uomini proprio non la digeriscono: questo riguarda in particolare uomini ai quali è stato trasmesso il messaggio che alcune mansioni siano strettamente di competenza "femminile" e legate quindi al ruolo di moglie o compagna; ecco perché è necessario lavorare sulle generazioni future con un programma svolto dai professionisti del settore, un percorso sicuramente complesso ma non più rinviabile».
Si parla tanto di femminicidio, di violenza sulle donne. Non passa giorno senza una notizia di violenze o di uccisioni. Questo ultimo episodio è tanto drammatico da levare il fiato: un padre che toglie la vita ai suoi bambini. E lo fa per punire lei, sua moglie, la madre dei suoi figli. Per annientarla e condannarla alla peggiore delle punizioni: la morte delle sue creature.
Di fronte all'odio immenso che ha mosso questo uomo, non ci sono parole adeguate, ma soprattutto le parole non servono più. Serve agire subito.
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2020-06-29 19:12:10
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