Il dramma è di Elena e Diego, i due gemelli dodicenni uccisi dal padre, poi suicida.
Due bambini che fino alla sera prima di essere uccisi dalle stesse mani paterne che li avranno centinaia di volte accarezzati, giocavano spensierati in cortile della casa in montagna dove stavano trascorrendo qualche giorno di vacanza con il padre, in fase di separazione dalla madre.
Inverosimile ma vero.
Un caso che in poche ore è rimbalzato all’impazzata sul web attraverso l’esercito corazzato dei social di tutte le testate che, nell’ossessione dell’onnipresenza e della velocità della luce, hanno titolato tutto ed il contrario di tutto in poche ore, attribuendo a questa carneficina la parola “dramma” inputandolo ora al padre ora alla madre in maniera a dir poco approssimativa, noncuranti del fatto che il vero dramma è da attribuire a due bambini innocenti ed ingiustamente martoriati.
Arrivare a questo assurdo è sintomo di un’informazione che nel nostro Paese davvero non funziona più e che ha come conseguenza un popolo di lettori che non pensa bensì subisce distrattamente un impatto mediatico distorto.
Un effetto da non sottovalutare poiché può seriamente contribuire all’aggravarsi del fenomeno della violenza di genere armando la mano di molti altri uomini che, se portati all’esasperazione, potrebbero trovare sfogo nella premeditazione e messa in atto di stratagemmi finalizzati a raggiungere un delirante e penoso momento di “gloria” familiare prima e pubblica poi, rendendosi così gli unici artefici di un ultimo gesto che sugelli il destino della propria famiglia, nel bene o nel male.
L’uomo viene descritto da conoscenti ed amici come un buon padre di famiglia, un’etichetta ch’egli stesso sembra essersi voluta attaccare addosso, basti guardare le ultime foto postate sul suo profilo Facebook in cui era sorridente in gita da solo con i “suoi” figli, uno stereotipo dunque che non gli consente né impeti né raptus bensì l’alternativa di un agghiacciante, lucido e premeditato sterminio familiare a sua firma.
In tal senso, è fondamentale una corretta ed imparziale informazione da parte degli organi di stampa ai fini della presa di coscienza dell’intera società in merito alla reale situazione in cui molte donne si trovano, cercando inoltre di cambiare prospettiva d’immagine sostituendo le pietose foto di donne inermi e vittime raggomitolate su se stesse in terra, martoriate di lividi con quelle dei propri carnefici: c’è bisogno che l’opinione pubblica guardi in faccia questi uomini e cominci a prendere una posizione a supporto del lavoro instancabile degli addetti ai lavori a supporto del contrasto alla violenza di genere.
La firma che Mario Bressi (nella foto) appone alla sua carneficina attesta in realtà la sua profonda debolezza, frustrazione ed inferiorità nei confronti della moglie dalla quale si stava separando, sicuramente consapevole di una rottura seria e definitiva. Questi uomini sono spesso insospettabili, eppure la portata della loro violenza ha un potenziale altissimo, coadiuvata da una folle lucidità latente.
Quando l’esercizio del “diritto di possesso” dell’uomo sulla propria donna e sui propri figli viene messo seriamente in discussione dalla determinazione della donna stessa, ciò genera lo sgretolamento dell’ego spropositato di un uomo internamente dilaniato, apparentemente sano ma emotivamente disturbato che andrebbe sicuramente fermato prima di arrivare a commettere una strage di famiglia di questa portata.
Necessarie in tal senso sono pene esemplari serie e certe, che possano arrestare la crescente ondata di fenomeni di violenza che sta di fatto corrodendo la parte buona dell’essere donna in questo tempo.
La triste verità è che siamo tutti, nel momento in cui assistiamo inermi ad una strage come questa, spettatori del lento agonizzare della vittima di questa storia, l’unica morta vivente, obiettivo del
nostro carnefice: l’inconsolabile Daniela, che diventerà il fantasma di se stessa, uno zombie che resta in piedi per forza d’inerzia sostenuta da un corpo che non le appartiene più: un’ergastolana di cuore, un cuore che resterà per sempre stretto nelle sanguinose catene della sofferenza per aver perso la ragione di vita di ogni genitore: i propri figli.
Cristina Salvio
Presidente Associazione MERIDA, impegnata nella prevenzione e contrasto alla violenza di genere
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2020-06-30 12:27:44
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