«La notizia è totalmente falsa. Fiore D’Avino non è sul territorio di Somma Vesuviana». Dopo aver raccolto alcune testimonianze sul chiacchierato ritorno a Somma Vesuviana del collaboratore di giustizia Fiore D’Avino, abbiamo voluto sentire direttamente il suo avvocato, Antonio Bucci. Il quale ha categoricamente smentito questo ritorno. «Io sono il suo avvocato da circa quattro anni. Fiore D’Avino, negli ultimi quattro anni, né prima è mai tornato a Somma Vesuviana. Non ha interessi a Somma Vesuviana, le uniche vicende che lo hanno visto coinvolto e ne hanno costretto il rientro a Somma Vesuviana sono convocazioni davanti al Tribunale di Nola per una denuncia relativa a una falsa residenza, denuncia che ha portato a una indagine della Procura di Nola e che si è conclusa con un non luogo a procedere ai danni del mio assistito. Questo è stato il primo episodio in cui è tornato».
Mi scusi avvocato, può contestualizzare. In quale anno ci troviamo?
«Quattro anni fa. Questo è stato uno degli episodi che lo ha visto rientrare. Dopodiché è rientrato a Somma Vesuviana in quanto autorizzato dal Tribunale di Sorveglianza che lo aveva in custodia, purtroppo devo serbare segreto sulla località. Quindi è rientrato, è stato per un breve periodo, in quanto doveva essere vicino alla figlia».
Per quanto tempo?
«Per un paio di settimane, non di più. Dopodiché la sua condotta in Somma Vesuviana, per quelle due settimane, è stata esemplare, ha sempre rispettato gli obblighi imposti dal Tribunale di Sorveglianza che lo ha autorizzato. Dopodiché non è mai più tornato. È tornato soltanto in quanto convocato per colloqui presso il mio studio, quindi a Napoli. Tutte le volte che è tornato, è tornato sempre autorizzato dal Tribunale di Sorveglianza».
Mi faccia capire bene, sono quattro anni che Fiore D’Avino non rientra a Somma?
«L’ultima volta è tornato a Napoli…»
Ma l’ultima volta che è tornato sul territorio sommese?
«L’ultima volta che è tornato sul territorio di Somma, se non erro, è stato tre anni fa. Pochi giorni, ha rispettato gli obblighi, non ha avuto frequentazioni. Non ha mai ricevuto diffide. Non ha avuto contatti con nessuno. Ha avuto contatti con l’avvocato e con i familiari più stretti. Iniziamo a sfatare un mito di un suo interesse. Non ha alcun interesse a ritornare a Somma Vesuviana, anche perché Somma non è un contesto culturale che consente a un cittadino normale una serena gestione della vita di relazione, figuriamoci a una persona che, al momento, vive uno status di soggetto che sta espiando una condanna passata in giudicato agli arresti domiciliari con i relativi permessi necessari per lo stato di salute, sempre però nella zona protetta».
Quanti anni ancora restano da scontare?
«Su questo intendo non rispondere in quanto si tratta di dati sensibili relativi al mio assistito».
Parliamo di anni, mesi, giorni?
«No, non le dico niente su questo».
Qual è lo status del suo assistito?
«Lo status è di un cittadino che sta espiando una condanna definitiva e la sta espiando in maniera eccellente, senza mai aver ricevuto né diffide né aver mai contravvenuto agli obblighi di legge».
Conferma che il suo assistito non è più nel programma di protezione?
«È sempre nel programma di protezione».
Fiore D’Avino è un collaboratore di giustizia?
«Lo status di collaboratore di giustizia è uno status perenne. Non esiste l’ex collaboratore di giustizia. Le faccio un esempio: se domani mattina nasce un’indagine per fatti di trent’anni fa nei quali lui potrebbe essere convocato come testimone deve collaborare. Quindi quando si aderisce a un programma di collaborazione si aderisce tutta la vita, perché è una scelta di vita. Questa è la ratio della norma».
Certo. Una differenza sostanziale, ad esempio, con i testimoni di giustizia…
«No, attenzione. I testimoni di giustizia sono questa zona grigia, dove ci sono questi soggetti che, diciamo, assistono a un solo fatto e spontaneamente decidono di testimoniare alle autorità inquirenti quel singolo fatto. Ma non sono soggetti innestati all’interno delle dinamiche per le quali la loro attendibilità e credibilità è sottoposta al vaglio, non solo della Procura, ma anche delle difese dei soggetti sui quali loro emettono dichiarazioni. Il testimone di giustizia, è meglio che chiariamo questo aspetto, è un soggetto la cui attendibilità non è certa né accertata, perché non viene mai trasfusa in sentenze. Il collaboratore di giustizia è un soggetto la cui attendibilità viene certificata dalle sentenze relative alle indagini alle quali ha partecipato. È ben diverso».
Quindi quando lei parla di «zona grigia» si riferisce a questo ragionamento?
«Sì, il testimone di giustizia è una zona grigia. È una zona di comodo, diciamo, che viene utilizzata dalle Procure, perché spesso questi sono soggetti completamente esterni a delle dinamiche, sono semplici testimoni oculari. Non so lei vede i film americani, si parla di testimoni oculari. Questi sono i testimoni di giustizia, soggetti che vedono e dicono quello che hanno visto. La loro attendibilità è sottoposta al vaglio del dibattimento, mentre per il collaboratore ci sono molti più filtri, la dichiarazione del collaboratore supera una serie di vagli di attendibilità per diventare prova in un processo. La dichiarazione di un testimone non viene sottoposta ad alcun vaglio di attendibilità».
Ma il suo assistito è all’interno di un programma di protezione?
«Questo non posso rispondere per la tutela personale del mio assistito».
Lei prima ha parlato di Somma Vesuviana. Potrebbe essere pericoloso, per la incolumità, un eventuale rientro del suo cliente su quel territorio?
«Non lo so. Non sono un appartenente alle forze dell’ordine che controlla il territorio e che conosce le dinamiche del territorio. È ovvio che posso andare per un ragionamento logico, come lo può fare pure lei. È normale che un collaboratore di giustizia, a differenza di un testimone di giustizia, difatti lo Stato spende soldi e scorte per i testimoni di giustizia, che non servono a niente, mentre i collaboratori di giustizia, purtroppo, sono perennemente a rischio.»
Mi scusi, non ho capito. Che significa «lo Stato spende i soldi…»
«Lo Stato tende a tutelare i testimoni di giustizia, per il discorso che le facevo prima. I testimoni di giustizia sono soggetti la cui attendibilità è molto meno vagliata, è molto meno importante dal punto di vista processuale, salvo che non ci siano casi eclatanti. Usufruiscono di scorte…».
Secondo il suo punto di vista sono soldi spesi male?
«Secondo me per il testimone di giustizia sì. Perché il collaboratore di giustizia può essere molto più utile, essendo stato un soggetto che è passato per le dinamiche interne di sistemi che sono stati poi debellati dall’intervento delle Procure. Il testimone serve per un solo processo, il collaboratore passa per tutti i processi».
Chi è oggi Fiore D’Avino?
«Un cittadino italiano che sta espiando una condanna, come tutti i cittadini italiani sottoposti al vaglio della magistratura, che hanno accettato serenamente le condanne per i delitti, per i fatti per i quali sono stati sottoposti a processo. Fiore D’Avino è un soggetto che ha una condanna passata in giudicato e la sta espiando nel totale rispetto delle leggi».
Chi è stato Fiore D’Avino?
«Data la mia età anagrafica, fortunatamente, non lo so…».
Lei conosce le carte…
«Siccome sono carte processuali subentra la deontologia professionale».
Un mio collaboratore ha raccolto diverse testimonianze di cittadini di Somma Vesuviana che hanno confermato, esprimendo la loro preoccupazione, di aver visto su quel territorio il suo assistito Fiore D’Avino. Lei conferma la sua versione?
«Sono più preoccupato che sul territorio di Somma Vesuviana girino dei millantatori e degli spargitori di false notizie, piuttosto che un cittadino che sta scontando una condanna passata in giudicato, per giunta notevolmente controllato. A me, come avvocato e come cittadino, preoccupano molto di più i soggetti che spargono false notizie e possono innescare delle mine attraverso le falsità e le bugie che propinano continuamente nel pettegolezzo e sui social, rispetto a un soggetto che sta espiando una condanna. È molto più pericoloso un soggetto che dietro dei profili social, o con un perverso utilizzo dei social, sparge false notizie in giro. Per me è molto meno pericoloso un soggetto che sta espiando una condanna, sottoposto a dei controlli rigorosi in tutti i suoi spostamenti ovunque lui possa essere, rispetto a un soggetto che è a piede libero può creare una ghettizzazione o una discriminazione sociale ai danni, in questo caso, di un soggetto che non merita tale discriminazione. Fiore D’Avino se ha fatto del male lo sta pagando, se ne è assunto da solo le conseguenze. L’adesione al programma di collaborazione è soltanto uno slancio morale, anche giuridico, che ha consentito al Fiore D’Avino di espiare le sue colpe. Fiore D’Avino è un cittadino che sta espiando le sue colpe, mentre non espieranno mai le loro colpe coloro che spargono falsità e notizie false».
P.S.:
Per approfondire un’affermazione dell’avvocato Antonio Bucci (“Non ha alcun interesse a ritornare a Somma Vesuviana, anche perché Somma non è un contesto culturale che consente a un cittadino normale una serena gestione della vita di relazione, figuriamoci a una persona che, al momento, vive uno status di soggetto che sta espiando una condanna passata in giudicato agli arresti domiciliari con i relativi permessi necessari per lo stato di salute, sempre nella zona protetta”) abbiamo provato a contattare il primo cittadino di Somma Vesuviana, Salvatore Di Sarno. Ma non siamo stati fortunati.
E allora abbiamo contattato il vice-sindaco di Somma Vesuviana, Sergio D’Avino, poco entusiasta della nostra telefonata. Ecco la sua risposta: «Io non lo conosco nemmeno l’avvocato Antonio Bucci. Che parere devo dare. Ma che state dicendo? Io non so niente della questione di cosa state parlando… ma non dipende da me. Dovete parlare con gli avvocati, non con me». La conversazione telefonica si è interrotta improvvisamente e drasticamente.
Il parere dell’amministrazione è arrivato grazie alla dottoressa Rosalinda Perna, assessore alla Cultura (nella foto in alto), che ha gentilmente esposto il suo punto di vista: «Non condivido questa affermazione, perché Somma, essendo un territorio molto vasto, ha anche tanti problemi rapportati alla grandezza del territorio. Però ha anche tante associazioni, tante persone volenterose, ha anche tanta storia. Anche solo il camminare per Somma è fare cultura. Dissento da questa affermazione. I problemi, ovviamente, come sono a Somma sono in ogni altro paese e città. Bisogna essere uno spirito sensibile per poter vedere la cultura. Guardare le mura Aragonesi o anche entrare in una chiesa di Somma Vesuviana è fare cultura. È vivere la cultura. Invito l’avvocato a farsi una passeggiata per Somma, al di là magari dei problemi contingenti e quotidiani che ogni paese può avere. E lo invito a respirare la cultura che c’è a Somma. Sarò ben contenta di fargli respirare la cultura che c’è a Somma». Abbiamo approfittato della gentilezza dell’assessore Perna per chiedere se lei è a conoscenza della presenza del collaboratore nel suo territorio (presenza avvistata nelle scorse settimane): «Non l’ho visto. Ho avuto notizia, ma giusto come gossip. È stato detto come gossip, come notizia che si sapeva. Ma assolutamente, niente di certo. Si diceva. Ma a questa cosa non ho dato seguito, perché non essendo notizia certa. Voglio dire, di pettegolezzi se ne fanno tanti in paese». Ma cosa si diceva? «Che c’era. Ma non gliela confermo come notizia. È stata una cosa detta così, come chiacchiera di paese. Non mi sento di riferire una cosa del genere».
FOTO OSCURATA. La foto originale, che ritraeva il collaboratore di giustizia, è stata sostituita, a seguito della richiesta esplicita (arrivata con una pec il giorno 1 agosto 2020, alle ore 09:58) da parte dell'ex boss Fiore D'Avino.
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Per approfondimenti:
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2020-07-28 16:00:47
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