«Il territorio dei miei sogni». Così è stato intitolato lo studio sul territorio del Gran Sasso effettuato tra il 2017 e il 2018 e coordinato dalla professoressa Lina Calandra della Facoltà di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila. «Ciascuno cresce solo se sognato» diceva Danilo Dolci e i «sogni» raccontati nello studio descrivono le potenzialità del territorio per crescere, la visione di chi la vive ogni giorno, le contraddizioni e i conflitti. Un ascolto attento e capillare che racconta il quadro di un lembo d’Abruzzo dove sono ancora radicati fenomeni clientelari, disillusione ma anche indignazione di fronte clientelismi e «politiche di corto respiro», fenomeni speculativi fino alla «mafia dei pascoli». E' questo, in sostanza, il quadro che emerge anche dall’intervista alla professoressa Calandra che abbiamo pubblicato lo scorso 22 aprile.
Abbiamo ricontattato la professoressa Calandra in occasione della pubblicazione finale dello studio «Comunicazione e partecipazione nel Parco della Majella», un’articolata relazione di 181 pagine ricca di testimonianze e fotografie, ascolto attento e oculato del territorio. L’elaborazione del Rapporto, riporta la relazione, ha visto quella che viene definita «incomprensibile e non motivata decisione» del Parco Nazionale della Majella di interrompere la collaborazione. «Preso atto della mancata risposta – leggiamo a pagina 11 – da parte dello stesso alla richiesta di chiarimento e di incontro trasmessa dal DSU in data 22.11.2019, si è deciso di procedere con l’elaborazione del presente Rapporto al fine di chiudere anche dal punto di vista amministrativo-contabile il rapporto di collaborazione tra Ente Parco e DSU».
Professoressa Calandra, ne avevamo già accennato nella precedente intervista, come l’interruzione ha influito sulla vostra ricerca e, a distanza di mesi, quale idea/riflessione si è fatta?
«Sulla ricerca in sé, la decisione del Parco non ha influito nel senso che la ricerca è libera e indipendente rispetto all’Ente Parco. In effetti, gli esiti della ricerca sono stati elaborati e ora sono in fase di diffusione. Come prima cosa, abbiamo elaborato e reso pubblica questa prima relazione, focalizzata sulla percezione che operatori e rappresentanti del territorio hanno riguardo al contesto socio-territoriale generale nel quale opera il Parco; a breve, invece, diffonderemo un video focalizzato sulle percezioni positive e negative riguardanti la presenza del Parco nel territorio. Infine, elaboreremo e diffonderemo una seconda relazione finalizzata all’analisi delle percezioni sulla presenza del Parco nel territorio. Invece, su quella che era la finalità principale del progetto nel quale era inserita la ricerca, ossia avviare un percorso di comunicazione e partecipazione per la formulazione condivisa di decisioni tra Parco e territorio, la decisione del Parco ha influito negativamente perché il progetto è stato interrotto proprio nel momento in cui si entrava nella fase operativa di confronto con il territorio, a partire dagli esiti della ricerca. Evidentemente l’Ente Parco ha optato per un confronto con il territorio a prescindere dagli esiti della ricerca. Nulla da obiettare, ovviamente; ma una serie di domande sorge spontanea: che l’abbiamo fatta a fare la ricerca? Perché questo enorme sforzo di intervistare direttamente 402 persone tra rappresentati istituzionali e operatori del territorio? Perché investire risorse pubbliche in qualcosa che poi si decide di non portare a termine? Come si fa, dopo due anni di collaborazione istituzionale regolata da una formale convenzione, a non fornire neppure una motivazione? Ma a prescindere dall’Ente Parco, la cosa mi fa riflettere sul ruolo delle università in progetti riguardanti il territorio: che cosa ci si aspetta dalla ricerca quando questa viene coinvolta in progetti riguardanti il territorio?»
La prima parte della relazione è dedicata all’approfondimento su come si è svolta la ricerca e sulle modalità dello studio.
«Il progetto nasce in riferimento alla tematica «orso» e alla necessità di avviare un processo di comunicazione su tale tema. A seguito di vari incontri tra le parti istituzionali, però, si è deciso di intendere tale processo nel mondo più estensivo possibile. È così che come finalità generale del progetto viene individuata quella di contribuire a colmare il vuoto di comunicazione che si è determinato negli anni tra Parco e territorio. Per un Parco, la presenza dell’orso pone il problema di assicurare la salvaguardia della specie (e di specifici habitat) in armonia con la presenza e le attività del’uomo. Il punto, però, sta nel “come” si cerca di realizzare tale armonia, ossia nel come si cerca di comporre le istanze di conservazione con quelle di valorizzazione del territorio. Ed è proprio in riferimento al «come» comporre i diversi interessi che si rivela importante disporre di una analisi approfondita delle dinamiche attoriali in atto sul territorio a partire dall'ascolto di chi lo vive».
L’orso è al centro del logo del «Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise» ed uno degli animali simbolo dell’Abruzzo. Il prossimo 30 luglio l’associazione Abruzzo Crocevia ha organizzato la presentazione pubblica del rapporto finale della ricerca a Pacentro, un incontro di «restituzione» al territorio e ai suoi protagonisti, dal titolo «L’orso non è un problema».
Sulla presenza dell’orso cosa è emerso dalla ricerca? Quali proposte?
«La problematica orso va intesa, più che altro, come un campanello d’allarme e come il sintomo di una disfunzione che certo non è la presenza dell’orso sul territorio. Quello che emerge dalla ricerca, infatti, è che l’orso, di per sé, non è un problema ed in ogni caso la sua presenza è tutto sommato gestibile. Nel complesso, l’atteggiamento prevalente nei confronti dell’orso non è di ostilità. Il problema, però, è che la presenza dell’orso, così come la presenza di altra fauna selvatica, si inserisce in contesti caratterizzati da inesistente, scarsa o inadeguata gestione del territorio, a più livelli e in più ambiti. Questo è quello che emerge forte e chiaro dalla ricerca: non c’è gestione del territorio, perché non c’è una politica, perché il quadro normativo non aiuta, perché le dinamiche di spopolamento e abbandono ormai fanno il paio con dinamiche predatorie».
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2020-07-28 19:23:45
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