La pubblicazione finale dello studio «Comunicazione e partecipazione nel Parco della Majella», coordinato dalla professoressa Lina Calandra del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila, ha dato voce al territorio: ben 402 le interviste realizzate direttamente con chi lo vive e ne conosce vicende, dinamiche e vicissitudini quotidiane. «Le belle idee hanno bisogno di un collante» leggiamo nella relazione e «la percentuale più alta di risposte si concentra sul tema della politica (30%)».
Chiamata in causa e riconosciuta necessaria dalle persone intervistate, ma ferocemente criticata per gli interessi di partito e di cordata, le clientele e una totale mancanza di visione: «Io spero nell’estinzione dei “dinosauri”, di quelli che sono decenni che tengono in scacco questi territori. C’è campanilismo di maniera e non ce la possiamo fare così. Si deve liberare il sistema mentale, la colpa è del sistema incancrenito» e «la politica, per scendere a compromessi con i vari gruppi di pressione (ambientalisti, amministrazioni locali, ecc.) non emana leggi adeguate alla gestione del territorio» leggiamo nelle dichiarazioni riportate a pagina 53 della pubblicazione.
Professoressa Calandra, le persone intervistate considerano anche gli ambientalisti e amministratori (cioè i politici stessi) gruppi di pressione? Emergono in queste e in molte pagine della ricerca clientelismo, affarismo, mafie, pessima gestione pubblica (quando può esser definita tale): un gruppo di pressione viene identificato in coloro che chiedono il rispetto del territorio e si oppongono a interventi dall’impatto negativo e devastante? Come può essere possibile?
«In questo che apparentemente può sembrare un paradosso, una contraddizione, e che tu giustamente metti in evidenza, trae nutrimento la conflittualità ambientale che in genere investe le aree protette. Spiegare tale apparente contraddizione è assai complesso perché si intrecciano vari piani di ragionamento. Un primo piano è quello ideologico, nel quale vediamo contrapporsi due diverse e distinte visioni (ideologie, appunto) dell’ambiente: l’una centrata prevalentemente (o addirittura esclusivamente) sul concetto di natura come sistema fisico-biologico rispetto al quale l’uomo deve limitare al minimo (o addirittura del tutto) il suo intervento; l’altra centrata prevalentemente sull’idea di natura (ma anche di territorio) come mera estensione spaziale nella completa disponibilità dell’uomo per lo sfruttamento delle risorse.
Queste visioni, agli antipodi l’una rispetto all’altra sul piano ideologico, sono in realtà molto simili di quanto si possa pensare sul piano politico perché entrambe fondano le prassi su logiche di sistema, astratte e universalistiche. Per l’abitante di uno specifico territorio, che in quel territorio vive e opera e nel quale magari spera possano vivere anche i suoi figli in salute e benessere, entrambe le visioni sono percepite come ostili, ingiuste, cattive perché le prassi che ne derivano, in entrambi i casi, non contemplano la sua logica, ossia una logica di contesto. E siccome poi il mondo è sempre più complesso di quello che le categorie e gli schemi che ci costruiamo ci consentono di capire, succede pure che quelli che sembrerebbero su posizioni contrapposte e inconciliabili alla fine si ritrovano dalla stessa parte».
Queste sono alcune delle tante risposte che pongono l’attenzione sui «gruppi di pressione» e sulla conduzione da parte della politica: dichiarazioni spontanee e autentiche di chi vive il territorio e che racconta meglio di chiunque altro quel che succede e le sue dinamiche. Testimonianze che fanno emergere lo stesso quadro desolante e sconcertante di cui ci siamo occupati nei giorni scorsi.
«C’è un’eccessiva politicizzazione del territorio, politicizzazione significa che il territorio viene sfruttato solo ai fini delle campagne elettorali: questo modo di operare è di molto peggiorato negli ultimi tempi». «Le soluzioni che si danno rispondono solo alla logica dell’appartenenza politica, e non per risolvere i problemi». «Quando c’è la politica di mezzo non succede niente di buono. Poi, qui ad Ateleta siamo l’ultimo Comune della Provincia dell’Aquila e non sanno neanche che esistiamo!».
«Qui funziona così: ognuno va per conto suo! Un comune guidato dal centrodestra è una cosa e uno guidato dal centrosinistra è un’altra. Vi faccio un esempio: Casoli, Civitella, Lama e Palombaro hanno dei sentieri storici. Sono state fatte riunioni tra i sindaci per la valorizzazione della Linea Gustav ma alla fine Palombaro è stato fatto fuori perché “di destra”. Oppure: si è parlato dell’Unione dei Comuni ma Palombaro doveva essere escluso: vi sembra un ragionamento da amministratori?! Se non si prendono iniziative per superare certi comportamenti di bandiera, non si può andare avanti».
«Morto zio Remo, l’Abruzzo non ha più avuto un politico. Prima con zio Remo c’era la democrazia, poi è arrivata la sinistra… Ora ci sono i volponi, non politici, che piazzano gente, gli amici o quelli che li ricattano: se tu, per esempio, mi metti quello che fa l’agricoltore a pulire le strade, vuol dire che stai sotto a lui…».
«Su questi territori c’è chi decide ma tu neanche capisci chi è. Sono gruppi, decidono, non si legittimano nemmeno dal punto di vista politico. Seguono il potere e gli affari. E certi politici sono d’accordo». «La politica qui ha distrutto il territorio. Qui comanda il potere industriale che condiziona quello politico. Almeno prima gli industriali erano del territorio, ora vivono fuori. La classe politica è debole». (pagina 54)
«La politica è fatta dalle famiglie numerose. Se vanno a votare loro, fanno numero e se stanno bene quelle famiglie va bene tutto. Da 20 anni ci sono i soliti, non c’è possibilità di cambiare. E non si è fatto niente: sempre le solite famiglie e il gruppo che sta intorno a loro. Pure per il lavoro funziona così: lavora solo chi ha votato quel partito e quel sindaco, gli altri non lavorano. Funziona così». «Il problema è che gli enti pubblici sono visti solo come mucche da mungere. Le cose si bloccano anche per questo, per lo strapotere di certi sindachetti locali i quali difendono solo le loro piccole cose personali, o per farsi pubblicità: piccoli Ras locali, ognuno per il proprio comune. E non interessa valorizzare in maniera omogenea il territorio. Poi, si finanziano le cose ma quelle cose non vengono realizzate e non si sa che fine fanno i soldi: prima o poi andrò alla Corte dei Conti!». «I campanilismi sono un ostacolo e continuano ancora a persistere». (pagina 56)
«Le idee ci stanno, ma non vengono realizzate perché ci vuole sempre un aggancio politico per realizzarli: c’è clientelismo. Se non stai dalla parte giusta sei fuori da tutto ma non dovrebbe essere così. Il Presidente D’Alfonso è di Lettomanoppello». «I raccomandati alla Regione o alla Provincia prendono i contributi, gli altri si arrangiano. Non c’è tutela e uguali diritti per i più vulnerabili». (pagina 58)
– Il clientelismo (nel settore forestale e ambientale). “L’ultima Giunta regionale ha operato male nel settore: è andata dietro alle lobby. Sono queste che hanno chiesto lo smantellamento della competenza forestale. (pagina 63)
Emerge un quadro desolante quasi da bande senza visione, clientelismo e consorterie politiche che dominano, nonchè una politica debole e decisioni prese da ben altri potentati ma – allo stesso tempo – si rimpiangono i tempi della vecchia DC. Può essere corretta come sintesi? In maniera più articolata cosa emerge e nel dettaglio cosa si deve raccontare?
«Faccio fatica a pensare a una possibile sintesi, perché faccio fatica a capire che cosa sia successo, quando, a che livello. Quello che abbiamo visto e toccato con mano, ma soprattutto quello che abbiamo potuto cogliere negli occhi e nei gesti delle persone è che la politica frena, frusta, blocca o, all’opposto, proietta in uno stato poco sano di privilegio, di impunità, di esaltazione.
Nel mezzo, tra questi due opposti, c’è la vita reale delle persone comuni. Frequento poco il mondo della politica e quando cerco di farmi un’idea non posso fare a meno di pensare alle parole che diverso tempo fa mi donò un vecchio saggio di uno sperduto villaggio della Guinea: la politica è l’arte di tenere insieme le persone in un territorio senza ricorrere alla violenza o alle lusinghe, ma attraverso il dialogo. Ecco, quello che si dovrebbe raccontare nel dettaglio è la lunga serie di occasioni di dialogo perse, non per recriminare ma per imparare».
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2020-08-25 18:56:25
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