È stata superata abbondantemente una settimana dall’avvio formale della crisi di governo, il «Conte 2» sta finendo la sua esistenza politica con l’avvento di SuperMario Draghi, il banchiere «che ha fatto anche cose buone» e sul cui carro tutti – con l’eccezione di pochissime «voci fuori dal coro» - stanno affannosamente cercando di salire.
Si può quindi cominciare a trarre qualche bilancio di questi giorni di valzer e balli vari di palazzo. In questi giorni abbondanti sono piovute ore di trasmissioni televisivi, dibattiti e pagine di giornale. Abbiamo letto e ascoltato di tutto.
Eppure ci sono alcuni temi e alcune lineari e banali «verità indicibili», sussurrate al massimo da alcuni ma senza nessun riflettore e appassionate litigate da talk show. Qualcuno, col giubilo del solito quotidiano sempre pronto ad attaccare ed insultare i magistrati coraggiosi e con la schiena dritta, ha sostenuto che il governo è caduto sul tema della giustizia.
Un tema che lo accomuna ad altri governi precedenti. Torna a memoria il 2008 quando, nonostante tante critiche, discussioni, confronti accesi e torsioni, l’ultimo governo Prodi fu mandato a casa dall’allora Ministro della Giustizia Mastella gli tolse l’appoggio dopo l’arresto della moglie. Stato sociale, difesa del lavoro, impegni bellici internazionali. Tanti erano i temi sul tavolo, tante associazioni e movimenti erano scesi persino in piazza, in quegli anni s’involò per esempio l’affare F35 e iniziarono i primi accordi in Libia che hanno portato ai lager contro i migranti di cui abbiamo scritto più volte.
Ma il governo cadde per l’arresto della moglie di un alto politico.
La riforma della prescrizione fu uno dei punti su cui s’innescò la «crisi del Papeete» dell’estate abruzzese-romagnola di Salvini. L’altro furono le «Grandi Opere» e l’Alta Velocità a partire dalla più famosa di tutte: la Torino-Lione. Che poi sarebbe TAC, treno ad alta capacità perché già lustri fa emerse quanto sia fallimentare la scelta di puntare sul trasporto di persone e si è riciclato tutto il progetto sulle sole merci.
Era la metà degli Anni Novanta quando il libro «Corruzione ad Alta Velocità: viaggio nel governo invisibile» di Imposimato, Provvisionato e Pisauro raccontò, documentò e denunciò cosa si nasconde dietro quelle «paroline magiche». Ma davanti all’altare delle «Grandi Opere» non esiste più lotta alla mafia e alla corruzione, non esiste più il «legge, ordine e disciplina» (i colletti bianchi non sono Mimmo Lucano, insultato per accuse ormai sgretolate, e certi grandi affaristi non sono poveri cristi che cercano di sopravvivere a guerre, violenze, povertà), tutto viene spazzato via.
In questi giorni si è molto discusso delle conseguenze della crisi di governo, del dover attendere i tempi della nascita di un nuovo governo per determinati provvedimenti sui miliardi europei, sui ristori per alcune categorie economiche ed altri. Ma c’è anche un altro tema sul tappeto. O meglio ci sarebbe perché in questi mesi ben pochi ne hanno scritto. Ancor meno oggi. Sull’utilizzo dei fondi europei pagine e ore si stanno dedicando alle «svolte green», ad un «uso verde» e simili.
Nessuna di queste pagine e ore nel «dibattito» politico e nei talk show ha citato una proposta legislativa che, molto probabilmente, verrà spazzata via definitivamente: Terra Mia. Lanciata dal ministro dell’Ambiente Costa la prima volta già nel novembre 2018 e sparito all’ultimo momento dall’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri del 17 ottobre scorso. Due anni e mezzo fa la Lega frenò la proposta e impedì venisse concretizzata, in questi mesi di Conte-bis l’opposizione è arrivata da Italia Viva. Una proposta da «ministro Rambo» per i renziani, mai l’avrebbero votata e si sarebbero opposti nella maniera più tenace possibile. Una tenacia che si potrebbe spendere sicuramente su temi molto più importanti e vitali, ancor di più in tempi di emergenza sanitaria, economica e sociale, ma sono ben chiare le categorie e i settori sociali di riferimento di taluni nei palazzi.
«Terra Mia» prevederebbe l’inasprimento delle pene per i reati ambientali e il «daspo ambientale», ovvero il divieto di operare nei territori in cui si commettono reati che lo inquinano e devastano. In un Paese delle emergenze ambientali continue, dove paghiamo ancora devastazioni industriali di decenni fa, dove l’inquinamento e le ecomafie ammazzano migliaia di persone ogni anno, potrebbe apparire quasi scontato un provvedimento del genere. Sacrosanto e più che condivisibile.
Ma, come scrivemmo nell’ottobre scorso, è una legge che «non s’ha da fare». Le passerelle, i selfie, le commemorazioni e le belle parole nelle cerimonie si, ad ogni anniversario di tragedia piovono copiosi. Vera giustizia no. C’è chi ha esultato e continuare ad esultare perché la difesa dell’attuale prescrizione dei reati vince. Quanto accaduto qualche settimana fa al processo per la «strage di Viareggio», così come negli anni per la mega discarica di Bussi in Abruzzo, i processi per l’eternit a Casale Monferrato e un elenco sterminato di ingiustizie, dopo stragi, reati ambientali, femminicidi (però a marzo e novembre tutti in fila per foto, meme e bei discorsi contro la violenza sulle donne…) e altri ci raccontano la reale verità dietro le vuote e false parole di palazzo.
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2021-02-12 11:49:09
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