Memoria e impegno, ricordo vivo di chi si è sacrificato per i più alti ideali e passioni e quotidiano impegno a cercare di proseguire sui suoi passi. Nulla o quasi è nobile come questo. È quanto di più importante e prezioso esista per la coscienza civile e la speranza di poter costruire un mondo migliore di quello che abbiamo trovato.
Memoria e impegno, parole cariche di significati e sensi concretamente praticate da tanti. Usate ma, purtroppo, anche abusate da troppi. L’Italia è, probabilmente, il Paese del record mondiale di retorica, cerimonie, commemorazioni. Eppure ci sono persone, eroi, che hanno dedicato tutta la vita alla giustizia, alla lotta contro il marcio, per lasciare la terra più pulita e giusta di come l’hanno trovato, persone che si sono scontrate con il Paese sporco e sono rimossi dalla coscienza e dalla memoria collettiva. Ci sono memorie che sono esaltate più o meno strumentalmente, altre che sono state piegate a biechi interessi delle squallide consorterie di questo Paese sporco e altre che sono state completamente cancellate.
Il mese di Aprile è il mese dell’anniversario di Roberto Mancini. Non ovviamente il commissario tecnico della Nazionale di Calcio, e già che probabilmente il 99% di chi legge questo nome pensi solo all’ex calciatore e oggi allenatore è più che significativo, ma il poliziotto che ha combattuto tutta la vita contro mafie e camorre. Da Roma fino alla sua Campania dove, tra i primi, documentò e denunciò gli imprenditori, i boss e i loro complici nel ventre marcio delle istituzioni che avvelenarono la Campania e gran parte dell’Italia intera. A fine anni novanta Roberto aveva già documentato e consegnato un’informativa su Cipriano Chianese, l’imprenditore potente amico dei potenti che è considerato tra gli «inventori delle ecomafie».
Un’informativa che per tantissimi anni, vergogna di Stato nel Paese dove gli scheletri negli armadi sono infiniti, rimase chiusa in un cassetto. Finché Alessandro Milita non la ritrovò riavviando le indagini e portando al processo che si è concluso all’inizio di quest’anno con la condanna definitiva per Chianese. All’interno delle istituzioni qualcuno nascose per lustri l’informativa di Roberto Mancini, altri scesero a patti con la camorra e gli imprenditori che ne erano le braccia (armate) economiche. Erano gli anni del commissariato all’emergenza rifiuti, gli anni in cui – come raccontò Rosaria Capacchione su Il Mattino – «lo Stato scese a patti con la camorra». Tra i protagonisti di quel commissariamento, mai indagato, senza mai aver avuto neanche un’indagine penale a carico e completamente estraneo ad ogni sviluppo giudiziario su quegli anni, ci fu Massimo Paolucci. Storico esponente del centro-sinistra campano, considerato molto vicino a Massimo D’Alema.
Mario Draghi nelle scorse settimane ha sostituito il super commissario per l’emergenza sanitaria Domenico Arcuri, discusso e ampiamente criticato in questi mesi. Il suo braccio destro, tesoriere del super commissariato, è stato dal 1° aprile dell’anno scorso Massimo Paolucci. In questi mesi tante volte Arcuri è stato criticato ed attaccato ma, fin quando non è intervenuta la magistratura, ben pochi hanno toccato realmente certi fili scoperti, hanno inanellato nomi e fatti. Uno è stato, minacciato anche di querela dallo stesso capo di Invitalia Arcuri, Nello Trocchia su Domani. Lo stesso Nello l’anno scorso fu il primo a nominare Paolucci e ad esprimersi sul suo ritorno in sella ad un commissariamento anni dopo quello all’emergenza rifiuti campana.
Il tesoriere, il braccio destro, del super commissario è un incarico di fortissimo peso, uno dei più decisivi nella più drammatica emergenza che l’Italia e il mondo stanno vivendo da decenni e decenni. Eppure sul suo nome è calato il silenzio più totale. Solo due tra i maggiori quotidiani italiani – in tutto il 2020 – lo hanno citato, gli hanno dedicato un articolo a testa e ne hanno criticato la nomina. Ma entrambi si sono fermati al pelo dell’acqua, al «gossip politico» accontentandosi di nominare il suo nume e mentore D’Alema. Quanto accadde vent’anni, la «terra dei fuochi», quel sistema imprenditoriale e politico di gestione – criminale e scellerata – è rimasta ancora una volta innominabile. Ancora una volta certe vergogne della storia di questa sempre più res-privata italica, certi scheletri negli armadi della vergogna dei palazzi del potere sono rimaste indicibili. Nel Paese della retorica e della memoria sparsa a piene mani. Lì dove non sono arrivate corazzate e grancasse può arrivare un piccolo vascello che naviga nel mare dell’informazione indipendente. L’indicibile per noi è il primo che va detto, scritto, gridato, urlato. La memoria e l’impegno sono questo prima di tutto per noi. Se grandi quotidiani non hanno mai citato il braccio destro dell’ormai ex super commissario, se nessuno ha ricordato gli anni dell’emergenza rifiuti, su queste pagine è possibile trovare vari articoli in cui è avvenuto.
Eccoli:
- Quando penso a Roberto Mancini mi viene in mente lo sguardo della moglie Monica
- Roberto Mancini, il poliziotto che scoprì la terra dei fuochi
- Il rivoluzionario contro la borghesia mafiosa e l’ipocrisia delle memorie morte
- Una legge contro inquinatori, devastatori ed eco camorre che ancora «non s’ha da fare»
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2021-03-27 11:53:12
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