Dare valore alla libertà, questo il messaggio che alla fine del racconto, Alberto Malinghero, 87 anni, ha voluto lasciare alle nuove generazioni. Ha vissuto la guerra da ragazzo, dai 6 agli 11 anni, e ne ha un ricordo vivido: “Con la mia famiglia abbiamo abitato a lungo a Lecco dove ho svolto tutte le scuole elementari, poi nel ’43, con la caduta di Mussolini, siamo tornati a Milano”.
Il 25 aprile è scolpito nella sua mente: “Abitavo in zona Greco ma andavo a scuola al Cattaneo, quindi percorrevo ogni giorno un bel po’ di strada: ho subito capito che quella mattina stava succedendo qualcosa. Il tram non passava e l’edicola accanto alla fermata era chiusa: vicino ho notato un cumulo di giornali bruciati. Poiché il 3 non arrivava mi sono recato a piedi a scuola: ero in ritardo ma come tutti i miei compagni che stavano vivendo la medesima situazione”.
I ricordi si succedono, come quello del preside che avvisa di andare nei sotterranei perché è scattato l’allarme per le bombe: ore interminabili, senza mangiare né bere e poi l’annuncio di andare a casa quindi il pensiero di percorrere di nuovo quelle strade bombardate e pericolose, non poter avvisare nessuno e non sapere cosa stesse accadendo.
Poi, finalmente, l’annuncio: i partigiani stavano entrando in città e da lì a poco avrebbero accettato la resa dei tedeschi che avrebbero lasciato i luoghi da loro occupati senza esplosioni né danni: la richiesta era poter tornare a casa senza essere imprigionati. “Alla sera è stato bellissimo: ero abituato a vedere le luci spente a causa del coprifuoco previsto per le 20: invece quel giorno eravamo tutti nelle strade e Milano era uno scintillare di luci ovunque. Noi bambini eravamo euforici perché non avevamo mai visto così la città”. Il periodo della guerra, delle sofferenze, delle fatiche e delle privazioni è scolpito nella mente di Alberto che ricorda la povertà nel quotidiano, il pane nero, il tagliare gli alberi di nascosto per avere legna con cui scaldarsi: “Il carbone era troppo caro però una volta mio padre scambiò per sbaglio la sua valigia con un’altra persona: quando la aprimmo la trovammo piena di carbone e fu festa”.
Una vita spezzata dal terrore della guerra costellato di ricordi terribili “Mi ricordo che vedevo lanciare dalle camionette dei bigliettini con numeri di telefono o indirizzi nella speranza che qualcuno contattasse le famiglie dei prigionieri” ma anche piccole gioie miste a sorrisi: “Ero in vacanza e quando Mussolini decadde vidi i preti con i quali ero partito per la montagna, gettare i busti del duce dalle finestre”.
E’ la solidarietà la cosa che ha colpito di più un giovane Alberto: quella di chi donava i vestiti dei propri cari ai partigiani che dovevano tornare a casa e dovevano liberarsi della divisa, un dono che, si sperava, sarebbe stato fatto anche al proprio familiare lontano.
Alberto è un cittadino bollatese,una cittadina in provincia di Milano, attivo volontario dell’Anpi di zona e che instancabilmente racconta la sua storia a chiunque glielo chieda: “La libertà- dice- è preziosa e te ne ricordi quando non la hai”.
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2021-04-23 16:03:12
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