Appesa ai rami di un albero una gabbia.
Nella gabbia un merlo.
Che visione triste.
Le ali di quel merlo ridotte ad accessori inutili.
Solo saltelli, non voli.
Eppure le sue ali sono lì per spiccare voli, sono lì attaccate al suo corpo per voli liberi
in cieli liberi.
Ora sono solo decori per la vista di altri, al merlo non servono più.
Saltellerà per il resto della sua vita in una gabbia.
Dimenticherà i voli, dimenticherà il soffio del vento sulle penne, dimenticherà di
essere un merlo.
Con il tempo diventerà un automa.
Aspetterà il becchime, aspetterà l’acqua, aspetterà che il suo carceriere per chissà
quale attacco di umanità ponga la gabbia sotto i rami di un albero e non sul solitario
balcone.
Il merlo merita l’ergastolo.
Ha desiderato troppo di volare, di vivere la sua vita da merlo, di essere libero.
Libero.
E allora il suo carceriere gioisce nel possedere un uccello in gabbia.
Forse per qualche remoto flusso del subconscio mette un uccello in gabbia per fargli
scontare colpe che non ha.
Laura pensa che gli uccelli in gabbia siano animali disgraziati, fra i più sfortunati.
Più delle giraffe e dei leoni negli zoo.
Gli uccelli in gabbia sono esseri immiseriti dalla mano dell’uomo.
Hanno ali, ali meravigliose e miracolose.
Fragili e forti.
E belle.
Hanno davvero troppo.
Allora l’uomo deve privarli di questi doni.
Ha costruito gabbie.
E vi ha messo dentro uccelli.
Uccelli, creature libere.
Creature con ali.
Ali.
Troppa invidia.
E allora l’uomo che cammina ma non vola che cosa ha pensato?
Di mettere quelle ali in gabbia.
Di far dimenticare agli uccelli il volo e di far usare ad essi solo le zampe.
Di ridurli ad esseri insignificanti.
Niente ali, niente voli.
Non sono più uccelli.
Creature alla mercé di uomini.
Al merlo, a quel merlo chiuso dentro una gabbia appesa al ramo di un albero
Laura pensa spesso.
Immagina di aprire la porta di quella maledetta gabbia.
Ora il merlo vola, fugge via da quel luogo di costrizione.
Vola vola.
E con lui tutte le migliaia di uccelli in gabbia.
Finalmente liberi.
Liberi.
(da Guasti-2011, raccolta di racconti)
Il racconto è un pensiero dolente rivolto agli uccelli in gabbia “fra i più sfortunati e disgraziati” scrivo nel racconto, ma dedicato anche a tutti gli animali che con purezza, affetto e modestia accompagnano la nostra esistenza.
Una riflessione particolare va rivolta ai cani legati alle catene, ai randagi e alla loro vita di stenti, a
tutti gli animali che nell’orrore degli allevamenti intensivi vivono il loro incolpevole inferno in terra. Nella sofferenza e nel disagio di questi mesi stravolti dalla pandemia dovremmo essere capaci di diventare persone migliori e mettere in atto sentimenti di fratellanza e la capacità dell’aiuto rivolti agli altri esseri umani ma anche agli animali, creature senzienti, alle piante e a tutta la natura che chiede salvezza.
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2021-05-24 09:16:58
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