Dopo la sentenza della Corte di Assise di Taranto del 31 maggio e le durissime richieste di condanna in primo grado (con oltre 280 anni di carcere), per gli ex proprietari dell'Ilva di Taranto, i fratelli Riva, per dirigenti, consulenti e politici (3 anni e mezzo la pena per Nichi Vendola), a Taranto si attende la sentenza del Consiglio di Stato che si pronuncerà sulla chiusura degli impianti dell'area a caldo del sito siderurgico.
Dopo anni di negazionismo, si parla finalmente di disastro ambientale; Taranto già nel 2005 era al centro di alcuni studi per l’elevato numero di malati e vittime per gravi patologie respiratorie e oncologiche e per l’altissima concentrazione di diossina. “Taranto era una questione che era sfuggita all'attenzione della politica, della comunità scientifica e delle associazioni che si occupavano di ambiente”, così esordisce il professor Alessandro Marescotti, uno dei fondatori di PeaceLink, associazione che si occupa da sempre di tutela ambientale.
La sentenza è un primo importante passo che può realmente fare la differenza per un territorio devastato dall'inquinamento dovuto alla produzione dell’area industriale che sta proseguendo, nonostante sia oramai acclarato il nesso tra emissioni nocive e le gravi patologie che colpiscono soprattutto la popolazione residente a ridosso del sito siderurgico, altissimo il numero dei bambini malati e deceduti in questi anni.
“Nulla è stato fatto” dice Marescotti che auspica l'immediata chiusura dell'area a caldo dato che in tutti questi anni nulla è stato fatto per mettere a norma gli impianti. Una città’ considerata sacrificabile e dove i dati non vengono neanche presi in considerazione.
Con Marescotti abbiamo anche affrontato il tema di una produzione che oramai non garantisce più profitti e sul fatto che, allo stato attuale, pensare ad ulteriori investimenti in nuove tecnologie (in vista anche dei fondi europei) non avrebbe più senso, perché non ci sono più profitti, ma solo gravi perdite.
2021-06-09 19:18:00
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