Dice il dottor Nino Di Matteo, consigliere del CSM intervistato dal giornalista Saverio Lodato, nel libro “I nemici della giustizia" edito da Rizzoli:
“Non ho nulla da temere, né da sperare. Né rendite di posizione da difendere, né carriere da inseguire. Ci sono tanti opinionisti interessati, ma sono numericamente surclassati,e di tanto, da cittadini che sono solo ansiosi di capire di cosa stiamo parlando. Vede la giustizia sta a cuore a ciascun italiano. Di qualsiasi credo religioso,politico o culturale. Perché di giustizia si nutrono i sacri valori della libertà, dell'uguaglianza.del rispetto di ogni persona. Solo persone abituate a vivere senza giustizia avranno di essa una visione interessata e di parte”
Sono parole che danno fiducia e trasmettono speranza, nonostante tutto. Nella lunga intervista rilasciata a Lodato, Di Matteo parla della magistratura, della bufera che si è abbattuta su parte di essa, del Csm, della riforma Cartabia, fortemente criticata, dei referendum promossi dalla Lega in materia di giustizia e del processo sulla trattativa Stato-mafia.
Tanti sono i temi toccati dal magistrato che non ha mai esitato a dire la sua anche quando “hanno tentato in ogni modo di metterlo sul banco degli accusati” dopo la sentenza di appello sulla trattativa e le assoluzioni di molti degli imputati condannati, anche pesantemente, in primo grado.
La Corte di Assise aveva accertato la responsabilità di tutti gli imputati (mafiosi, politici, appartenenti alle istituzioni), spiegando le ragioni di quella clamorosa sentenza in 5552 pagine. In attesa delle motivazioni della sentenza di appello, di segno opposto alla precedente, dice ancora il dottor Di Matteo:
“Nessuna Sentenza,nessuna motivazione assolutoria nei confronti degli imputati, potrà cancellare i fatti oggettivi che sono emersi nel dibattimento in primo grado. E sono fatti da far tremare i polsi, che resteranno scolpiti nella storia non solo giudiziaria del nostro Paese (…) e che il popolo italiano ha il dovere di conoscere”.
Fatti e circostanze gravissime emergono dal processo sulla trattativa, portando alla luce vicende che hanno rischiato di rimanere per sempre nel buio di quell’oblio nel quale avrebbero voluto lasciarle uomini appartenenti alla mafia e alla criminalità organizzata, uomini in divisa ai vertici del Ros o comunque riferibili a quella parte deviata dello Stato che non ha esitato a tradire i suoi migliori rappresentanti, mantenendo rapporti costanti e dialoganti con Cosa nostra nel periodo delle stragi avvenute nel biennio 1992-1993.
Uno dei nomi “eccellenti” di questo storico processo resta quello di Marcello Dell’Utri.
Assolto in appello, ma già condannato in altro procedimento con sentenza definitiva a sette anni (pena scontata in carcere) per concorso esterno in associazione mafiosa. Fondatore ed ex senatore di Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi, Dell’Utri era l’uomo che trattava con la mafia siciliana; palermitano, "amante della cultura", è stato riconosciuto il garante del patto tra Milano e Palermo.
Per 18 anni (dal 1974 al 1992) dicono i giudici: “Marcello Dell’Utri è stato garante dell'accordo tra Silvio Berlusconi e Cosa nostra; in quel lasso di tempo siamo in presenza di un reato permanente”.
Secondo la Cassazione “l’accordo, quello tra Berlusconi e Cosa nostra, con la mediazione di Dell'Utri c’è stato, si è formato nel 1974 ed è stato attuato volontariamente e consapevolmente”
Perchè vi raccontiamo ancora una volta tutto questo? Semplice: perché il nostro Paese tende ad avere la memoria corta, perché c’è chi sostiene che Silvio Berlusconi non sia stato mai condannato personalmente per fatti di mafia. Perché in questi giorni c'è chi, con una imbarazzante e preoccupante leggerezza, parla di un Berlusconi statista e che potrebbe rappresentare al meglio il paese, magari andando proprio a ricoprire il tanto agognato ruolo di Presidente della Repubblica.
Sembra uno scherzo, eppure in queste ore molti seguaci del caimano di Arcore non mostrano alcun pudore nello spendere parole di encomio per l’uomo che, come sancito da una sentenza definitiva, ha pagato in maniera cospicua e costante i boss siciliani, fino al 1992 quando già era Presidente del Consiglio.
Boss del calibro di Salvatore Cancemi e Giovanni Brusca parlano di un “asse Fininvest-Cosa nostra”, dell'interessamento personale di Totò Riina attivo sin dai primi anni ‘90 nel coltivare rapporti con i vertici delle società che facevano capo a Berlusconi. Fiumi di denaro versati dall’imprenditore brianzolo per assicurare sicurezza personale per sé e la propria famiglia.
E ancora: Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi risultano indagati, dalla Procura di Firenze, nell'inchiesta sulle stragi del 1993.
Da Tajani a Letta (Gianni), dalla Moratti fino all'ultimo dei forzisti è tutto un incensare il capo-partito. Non mancano al coro gli alleati Salvini e Meloni: almeno a parole spingono anche loro per la candidatura, pur se in maniera tiepida e con quel filo di imbarazzo che, inevitabilmente, trapela nel sostenere, di fronte ai propri elettori, la candidatura di un condannato per frode fiscale, pluri prescritto, indagato come Berlusconi.
Che strano paese è il nostro. Se da un lato un cospicuo numero di cittadini si ritrova nell'azione e nelle parole di giganti come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, nella penna di Peppino Impastato e Pippo Fava; se in migliaia abbiamo riempito le strade di Roma per difendere lo stesso Nino Di Matteo dalle ripetute minacce di morte; se ci dichiariamo al fianco di Nicola Gratteri che sta portando avanti il più grande processo alla ndrangheta… poi sembriamo accettare di buon grado che si possa anche solo parlare di una candidatura al Colle di tale infimo livello.
Una candidatura inaccettabile innanzitutto dal punto di vista morale e sociale, prima che politicamente inappropriata.
Restiamo convinti che non accadrà mai. Eppure fa ribrezzo e preoccupa anche solo farne accenno; possiamo forse leggerla come una sorta di “riabilitazione” data l'età importante del soggetto in questione. I suoi appassionati sostenitori, molti dei quali per becero tornaconto personale, cercano così di ripulirlo da tutto il fango che inesorabilmente ne scalfisce la figura. Un uomo a tratti ridicolo, a tratti inquietante, un politico che verrà ricordato per le imbarazzanti uscite nei consessi internazionali, per le troppe leggi ad personam, per la patetica parentesi della nipote di Mubarak, per l'igienista dentale trasformata in consigliera regionale.
Ha ragione Dacia Maraini quando dice che il berlusconismo è la più grande catastrofe culturale del nostro tempo “che ha introdotto la cultura del mercato, quella in cui tutto si compra e si vende, dai senatori alle minorenni”.
E allora vogliamo sperare nelle parole di Nino Di Matteo che ha scritto il libro “I nemici della giustizia” per parlare direttamente ai cittadini, al popolo italiano, “perché di giustizia si nutrono i sacri valori della libertà, dell'uguaglianza, del rispetto di ogni persona”. Per parlare a tutti coloro i quali hanno bisogno di credere in un paese che ha voglia di riscattarsi, di credere in una giustizia giusta, in una politica degna, in una società più sana.
Di seguito proponiamo un passaggio dell’intervista rilasciata da Nino Di Matteo a Lucia Annunziata, nella trasmissione In Mezz’ora.
CLICCA QUI per seguire la puntata.
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IL PAESE SENZA MEMORIA e SENZA VERGOGNA. Il Caimano torna di moda. Nel Paese orribilmente sporco arrivano proposte scellerate da parte di personaggi scellerati: non vedevano l’ora di riabilitare l’ex Cavaliere di Arcore. Una rovina per questo Paese, altro che statista. Quando ci libereremo politicamente di questi personaggi? Quando potremo chiudere una parentesi trentennale vergognosa? È un Paese alla rovescia: gli onesti diventano delinquenti e i delinquenti continuano a passare per martiri.
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2022-01-04 18:29:42
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