«Ragazzi che hanno fatto una cazzata», a Carnevale anche noi da ragazzi «si andava a caccia di ragazze», solidarietà agli arrestati per gli stupri di Capodanno a Milano, il femminismo ha «rotto il cazzo».
Questa cloaca immonda è comparsa in questi giorni su facebook, commento ad un post su facebook di un consigliere comunale del vastese. Che condivide il cognome con una nota marca di birre, ma neanche un ubriaco naturale si avvicinerebbe neanche da lontano al livello che da troppi anni condividiamo, e il nome col primo martire della cristianità. Che probabilmente si rivolta nella tomba ogni volta che costui, non un cittadino qualsiasi ma uno che dovrebbe rappresentare la collettività con alto senso della civiltà e del rispetto della legge, apre bocca o tocca una tastiera.
Personaggio che da troppi anni cerca di insinuarsi in ogni piega della società, paladino della legalità e di ogni lotta così tanto che – tanto per dirne una – due anni fa la possibilità di isolare il condominio di Vasto dove era scoppiato un focolaio covid dopo un funerale a Campobasso (e lo spaccato sociale anche criminale che c’era dietro quel focolaio l’abbiamo ampiamente raccontato all’epoca) si spinse in paragoni con Auschwitz e si disse pronto a fare di tutto contro.
Ma ormai non stupiscono più personaggi di tal portata, ci chiediamo ormai esausti, sconcertati ed indignati oltre ogni livello quando (e se mai accadrà) chi lo pompa e gli dona ogni spazio mediatico – lo stesso che nega a realtà sociali e denunce civili reali – chiederà scusa per la vergogna. Da parte nostra ci rifiutiamo di alimentare questo circo barnum.
Ma non è questo il punto dirimente ed importante su cui quest’articolo vuole soffermarsi. Ma sul copione mediatico e sociale che, anche in questi giorni, continua ad essere perpetrato. Un copione immondo e vigliacco che perseguita ed insulta vittime e si schiera con potenti e oppressori. Quello del patriarcato, del maschio centrismo, della cultura dello stupro che giustifica ogni atto di stupratori, molestatori, femminicidi. Considerando colpevoli le vittime ovvero le donne violentate, stuprate, molestate, perseguitate in quanto donne.
Isteriche vengono definite le femministe e le donne che si oppongono a stupri, molestie ed abusi. Il linguaggio descrive e plasma la società e questa parola ne è emblema. Isteria viene dal greco antico hysteron, utero.
Alla base di questa parola la convinzione che solo le donne potessero essere affette da nevrosi e che la radice fosse la posizione dell’utero. Bastava un rapporto sessuale con penetrazione fallica, un uomo padrone e si risolveva. Senza di lui la donna sarebbe incompleta, non sarebbe fino in fondo donna, e quindi nevrastenica, isterica.
Donne considerate solo come oggetti a disposizione degli appetiti, perversi e depravati, di un padrone fallocentrico. Millenni dopo là siamo rimasti, la cultura dello stupro, il giustificazionismo di ogni abuso, molestia, violenza, dell’orrore pornografico e dello stupro a pagamento parte da lì.
La persecuzione contro le vittime, contro le donne che subiscono i crimini efferati di tutto questo, è continua ed imperversa ad ogni angolo di questa società patriarcale e vigliacca. Abbiamo già raccontato nei mesi scorsi quanto è costretta a subire, considerata colpevole di essere stata vittima di molestie e revenge porn e di essersi ribellata ad ogni crimine e copione patriarcale, Ilaria Di Roberto. Scrittrice, attivista, artista, femminista radicale.
Una ribellione e un percorso di liberazione, consapevolezza, vita, Ilaria l’ha raccontato nel suo libro «Tutto ciò che sono». Libro che ci ha raccontato in una videointervista e di cui ha letto alcuni brani.
«Tutto ciò che sono», è uscito il nuovo libro di Ilaria Di Roberto
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L'appello alle donne: «tornate ad essere libere»
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«Tutto ciò che sono», una rivalsa per le donne vittime della violenza patriarcale
Gli ultimi episodi contro Ilaria sono del 17 gennaio, non molte ore fa. «Dopo due anni di mera reclusione, stamattina mi sono concessa il lusso di andare a fare una camminata in campagna – ha raccontato su facebook – A distanza di mezz'ora ricevo un messaggio da mia madre, la quale mi avvisa che ancora una volta qualcuno si è divertito a mettere gli escrementi sul nostro pianerottolo e che ovviamente, a detta di alcuni membri del condominio, le imputate saremmo noi. Se non è deumanizzazione questa».
Poche ore dopo il secondo episodio con il ritrovamento, accanto alla precedente scritta dei mesi scorsi in cui le si è persino testualmente augurato la morte, di una nuova scritta offensiva. «Guardate l’abiettezza, il degrado, l'arretratezza mentale di una comunità che ritiene che una vittima di Revenge Porn porti sfiga quanto un gatto nero – ha denunciato Ilaria su instagram pubblicando la foto di questa nuova scritta – sono stata rivittimizzata e deumanizzata dalla mia comunità, dall'opinione pubblica e dalla giustizia italiana che anziché accorrere in mio aiuto, condannando i miei carnefici, sta indagando su di me. Nonostante più di 20 denunce, sono stata perquisita, ostracizzata, picchiata, violata nella mia intimità, diffamata, hackerata, molestata, aggredita verbalmente, ingiuriata, accusata di cercare notorietà utilizzando la mia vicenda come pretesto per sbarcare il lunario, trattata come fossi la peggiore delle criminali e invogliata per due volte consecutive al suicidio».
Un clima di persecuzione, isolamento, colpevolizzazione della vittima, complicità di fatto con i carnefici, aggressioni e omertà perpetrata – nell’indifferenza di chi dovrebbe intervenire – ripetutamente a cui non sono estranei neanche coloro che dovrebbero non tacere mai, denunciare, documentare, essere principi di civiltà, libertà, indipendenza. Ovvero gran parte della stampa, soprattutto locale, che dopo aver colpevolizzato lei e dato ampio spazio al peggio del peggio e al fango che gli è stato scagliato ignora e silenzia quanto continua a subire. E con motivazioni sconcertanti, omertose, complici di questo clima vergognoso si sta rifiutando persino – di fatto omertà da una parte, boicottaggio dall’altro – di pubblicare la notizia dell’uscita del libro «Tutto ciò che sono». Il fango e la colpevolizzazione di una vittima per lor signori è notizia, che una donna si auto determini, e rappresenti una ribellione quotidiana alle violenze patriarcali e anzi ha una vita, esprima dei talenti straordinari, sia libera, indipendente, autonoma, è una persona artista e scrittrice no.
La piazza nei pressi della casa di Ilaria a Cori, provincia di Latina, è intitolata ad Alessandro Marchetti. Ingegnere autore di importanti brevetti di elicotteri, Marchetti fu prezioso nella storia del volo dell’uomo ma, lì dove viene ricordato, non si vola ma si scava sempre più in basso. In nome di quella persecuzione millenaria, di quel perpetrare la più schifosa, immonda, vigliacca, sempiterna oppressione.
Quella contro le donne solo perché donne, quelle contro chi si ribella e non accetta di essere un oggetto offerto ai peggiori criminali della storia. A Ilaria esprimiamo tutta la nostra solidarietà e il nostro sostegno.
E la disponibilità a continuare a disertare certi copioni e ruoli, a schierarci con chi denuncia e lotta, contro chi non china la testa, chi rivendica sacrosantamente il suo diritto alla vita e all’auto affermazione di se stessa.
Ad una ragazza che viene insultata, perseguitata, offesa, isolata, dileggiata per aver denunciato, perché è se stessa e non quello che l’ipocrita, bigotto, vigliacco, maschilista pensiero di paese vorrebbe imporre. L’estate scorsa fu anche aggredita, trovò escrementi con insulti ed istigazione al suicidio nella cassetta della posta, «Ilaria sei una pornostar devi morire» furono le parole che le scagliarono scrivendole sul muro sotto la cassetta della posta. Ad una ragazza che per le violenze psicologiche e i due casi di revenge porn subiti il suicidio lo ha tentato in passato due volte.
Per le donne vittime di violenza essere sopravvissute è considerata una colpa in questa società
«Non siamo un sesso debole, siamo sopravvissute»
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«Quanto subisco è il quotidiano di ancora troppe donne», come una lama tagliente nel ventre molle di una società che si arroga ancora il diritto di autodefinirsi civile arrivarono le sue parole dopo i terribili fatti dell'estate scorsa. Una società dove qualsiasi donna può essere in pericolo solo perché donna, in cui il patriarcato e il maschilismo continuano ad essere egemoni.
Un’egemonia terrorista criminale in cui i carnefici vengono legittimati e difesi e le vittime si cerca di ridurre al silenzio, confinarle in un copione mediatico funzionale al patriarcato stesso. Così funzionale che chi sopravvive ad una violenza – fisica o psicologica – a stupri, molestie, abusi, revenge porn viene condannata, disprezzata, colpevolizzata, emarginata.
L’anno scorso sotto un post facebook in cui denunciò quanto accaduto si perpetrò una sorta versione paesana del notallmen. Quella egoistica, assurda, inconcepibile mentalità maschio centrica per la quale davanti uno stupro, una molestia, un abuso, un femminicidio non si esprime nulla di solidale verso la vittima ma si pensa solo a pavoneggiarsi e a se stessi. Certo non tutti gli uomini uccidono, squartano, violentano, si fanno guidare solo e soltanto dal basso ventre, stuprano, molestano. Ma questo per le vittime delle violenze maschili cosa cambia? Davanti alla cultura dello stupro, imperante e in agguato nelle pieghe più svariate della società, e di millenni di patriarcato cosa cambia? Nulla, la verità vera è solo quello. Esercitarsi in affermazioni del genere non cambia nulla, non toglie un solo lapillo all’inferno in terra quotidiana, al terrorismo che le donne subiscono solo in quanto donne. Autoassolve, auto consola e sposta interesse ed attenzione dalla vittima a se stessi. O si diserta e ci si oppone realmente ogni giorno, mettendoci volto e faccia concretamente, o dietro ogni notall si nasconde una complicità di fatto.
Tutto questo nel Paese di feste, panchine, scarpe rosse scenografiche ai carnefici si offrono solidarietà e giustificazionismi e le vittime sono considerate colpevoli. Se sopravvive e si ribella almeno due volte.
Sopravvivere è una colpa e, ancor di più, si viene giudicate e condannate per qualsiasi gesto, anche solo quello di respirare. A cui si aggiungono i comodi «portatori di ogni soluzione possibile» (tanto non sono loro a subire) à la carte.
Frasi come non ci pensare, lasciati scivolare tutto addosso, cerca la pace interiore, non odiarli e simili sono all’ordine del giorno. Ti picchiano, ti insultano, ti trattano come se fossi un oggetto che si deve offrire alle grinfie di perversi depravati immondi, vieni stuprata nel web o per strada? Se ti rimangono cicatrici nell’anima e nel corpo, se stai male e vivi l’inferno in terra, la colpa – alla fine della fiera – è tua. Ovviamente fino alla prossima panchina rossa, alla prossima passerella mediatica, al prossimo influencer vip dietro cui si corre come scimmiette e pecorelle, alle prossime scarpette rosse scenografiche.
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«Tutto ciò che sono», è uscito il nuovo libro di Ilaria Di Roberto
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(si può acquistare su tutti i principali bookstore online e sul sito della casa editrice qui https://www.europaedizioni.com/prodotti/tutto-cio-che-sono-ilaria-di-roberto/ )
L'appello alle donne: «tornate ad essere libere»
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2022-01-20 19:00:25
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