Era il 17 febbraio del 1992, sono trascorsi esattamente trent’anni. Tutto inizia con l’arresto in flagranza di reato di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio ed esponente di punta del PSI milanese di allora. Nel suo ufficio irrompe il pm Antonio Di Pietro con alcuni carabinieri, proprio mentre il manager stava ricevendo, dalle mani di un imprenditore, una mazzetta da sette milioni di lire: le banconote erano state precedentemente segnate per essere riconosciute.
Chiesa pretendeva una tangente del 10% sul valore dell’appalto concesso; dopo un primo silenzio iniziò a collaborare dal carcere, permettendo agli investigatori di far luce su un sistema diffuso, in cui la mazzetta era oramai una specie di “tassa” da pagare se si voleva partecipare alla grande torta degli appalti. Un sistema collaudato, quello delle tangenti, nel quale tutti i soggetti avevano qualcosa da ottenere: gli imprenditori pagavano per aggiudicarsi gli appalti, i politici chiedevano per ottenere fondi da versare al partito e nei propri conti correnti, magari all’estero. Mani Pulite verrà così chiamata da quel momento la vastissima indagine portata avanti dalla procura di Milano guidata dal procuratore capo Francesco Saverio Borrelli; sotto di lui il pool formato da Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo, Francesco Greco.
Dopo Milano molte altre procure furono interessate dalle inchieste su “Tangentopoli”: un sistema consolidato a tal punto che, nel bilancio delle aziende, una quota di fondi neri era preventivata proprio per versare le mazzette ai politici. “Un mariuolo isolato” così Bettino Craxi, leader del Partito socialista, cercò di scaricare Chiesa dopo l’arresto, pensando di salvare il resto del partito.
Ma non fu così, qualcosa cambiò definitivamente e da quel giorno iniziarono a cadere molte teste: le indagini sempre più vaste, i numerosi arresti, le confessioni spontanee da parte degli imprenditori che si recavano dai magistrati e (come raccontato da Antonio Di pietro) iniziavano a parlare già al citofono della Procura. Da lì una vera e propria valanga travolge i partiti di governo, moltissimi politici, un paese intero. La Prima Repubblica implose, così come i partiti storici. Gli avvisi di garanzia raggiunsero quasi tutti.
Interrogati dall’uomo di punta dell’inchiesta, il dottor Di Pietro, i segretari dei maggiori partiti raccontavano la loro versione dei fatti, ma solo una parte di verità, pur di salvare il salvabile. Restano impresse nella nostra mente (tra le tantissime immagini di quegli anni) le dichiarazioni di Bettino Craxi, una vera e propria “confessione” circa il finanziamento illecito ai partiti e la sua fuga all'estero per qualcuno considerata ancora oggi un obbligato esilio; o la salivazione azzerata di Arnaldo Forlani (segretario della DC) che tra un “non ricordo” e “non sapevo”, tradiva una difficoltà palpabile; e ancora i divani imbottiti con le banconote del tesoretto di Duilio Poggiolini, direttore del servizio farmaceutico nazionale.
Un terremoto politico e giudiziario destò l’opinione pubblica:i cittadini iniziarono a scendere in piazza, ad osannare i magistrati di Milano divenuti, loro malgrado, simbolo di legalità e giustizia; un popolo intero pretendeva finalmente pulizia nelle istituzioni.
Quotidianamente la stampa pubblicava notizie di corruttela e malaffare. I politici rappresentavano il male assoluto, ogni volta al loro apparire in pubblico si sfiorava il linciaggio (l’episodio del lancio di monetine contro Bettino Craxi, all’uscita dell’Hotel Raphael di Roma, spiega benissimo il clima che si respirava).
Mentre i partiti tradizionali crollarono, la magistratura era la sola a raccogliere consensi; in un vero e proprio risveglio collettivo, i cittadini chiedevano finalmente di cambiare quella gestione corrotta e deviata della cosa pubblica.
Sono trascorsi trent’anni, cosa resta di quella stagione?
Qualcuno parla di rivoluzione mancata, altri di indagini falsate e portate avanti da magistrati “giustizialisti” o “comunisti” accecati dalla notorietà. Oggi possiamo solo dire che poco è cambiato; la politica in quell’occasione non ha voluto fare sul serio, non c’è stata la volontà di ripulirsi, di modificarsi, di rimettere l’etica e il buon senso al centro della gestione democratica.
Dopo due anni di inchieste, con i partiti tradizionali ormai devastati dagli arresti, un nuovo soggetto politico fece capolino nello scenario italiano.
Era il 1994 quando avvenne la famosa discesa in campo dell’imprenditore Silvio Berlusconi: una campagna mediatica mai vista prima, un "nuovo" modo di fare politica, un’immagine assolutamente diversa, la capacità di bombardare quotidianamente gli italiani grazie a spot elettorali e video patinati trasmessi dalle reti Mediaset (le sue!).
Un popolo convinto di poter cambiare, desideroso di mandare a casa la vecchia classe dirigente, ma allo stesso tempo vittima del potere televisivo ed economico del nuovo guru di Arcore, cadde nella più grossa trappola politica mai vista prima.
Milioni di italiani incoronarono re il peggior politico di tutti i tempi. Costretto a “sporcarsi “ le mani dopo le disavventure giudiziarie del suo referente politico (non c'era più Bettino Craxi a garantire profitti e copertura politica al capo del Biscione), Berlusconi fu costretto al grande passo. Il susseguirsi di leggi ad personam, normative volte a depenalizzare la corruzione e il falso in bilancio, la creazione di un sistema normativo a garanzia dei reati dei colletti bianchi e il depotenziamento dell’azione della magistratura, spinsero i magistrati di Milano a minacciare le dimissioni.
Conflitti di interessi, collusioni mafiose e tutto quello che è emerso in vent'anni di berlusconismo, hanno fatto il resto.
Dopo anni di consenso e di sostegno anche i magistrati sono stati dimenticati: costretti a difendersi nelle aule di Tribunale da ogni tipo di accusa, da eroi nazionali sono stati additati come responsabili della caduta della Prima Repubblica.
La magistratura è stata accusata di aver invaso la sfera di competenza della politica: come se perseguire i reati fosse la causa del problema e non l’effetto! Ma si sa, siamo un popolo volubile e spesso irriconoscente.
Dopo 30 anni ci resta solo una certezza. Le tangenti non sono mai venute meno e la mazzetta resta il miglior modo per ottenere qualcosa: un appalto, un posto di lavoro, la priorità in una visita medica. Il popolo che gridava “Milano ladrona, Di Pietro non perdona!”, accalcandosi fuori dai Palazzi di Giustizia, adesso è stanco, non chiede più onestà e pulizia, al massimo reclama un ingresso allo stadio o in discoteca.
C’è chi sostiene che la classe politica sia lo specchio della società. In parte è vero, la stragrande maggioranza degli elettori non pretende molto, ha memoria corta e si innamora facilmente del “salvatore” della patria, dell’uomo forte al comando. La passione politica è cosa rara e si tende a delegare ai professionisti del mestiere che vivono "di politica" (non per la politica), occupando da sempre le aule parlamentari.
Vero è che l'onestà non si può imporre per legge, dovrebbe essere sapientemente trasmessa alle nuove generazioni. Il rispetto delle regole, l’osservanza delle leggi, il riconoscimento dei diritti, dovrebbero essere l’humus sul quale far crescere le ragazze e ragazzi che saranno le donne e gli uomini di domani.
Gli anniversari servono per ridestare ricordi sopiti, per non cancellare il vissuto e per evitare gli errori del passato. Buon anniversario quindi a chi porta nel cuore il 1992 e a chi, nonostante tutto, riesce a mantenere le Mani Pulite.
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