Nel marasma della guerra, con l’informazione occupata solo dalla cronaca bellica, dopo due anni di pandemia in cui si è parlato solamente di vaccini e quarantena, il paese va avanti.
E se economicamente e culturalmente stiamo toccando punte di assoluta decadenza, in una prospettiva tutt’altro che positiva, c’è come sempre un “settore” che invece resta produttivo e in continua evoluzione: quello relativo alle mafie e a tutto ciò che ricade nell’orbita del malaffare e delle organizzazioni criminali.
Chi resta attento e non si fa narcotizzare da false informazioni o da una televisione che quotidianamente opera per imbambolare il pubblico con programmi al limite dell’ebetismo, avrà letto le dichiarazioni del magistrato Nino Di Matteo, consigliere del Csm.
«Poco più di due settimane fa, aprendo le pagine dei quotidiani nazionali, a proposito di scelte che dovranno essere fatte sui candidati sindaci a Palermo, ho letto che in quel giorno avevano preso posizione, per cercare di orientare le scelte dei partiti su alcuni candidati, da una parte l’ex senatore Dell’Utri, che si diceva in quegli articoli essere stato inviato dall’onorevole Berlusconi in Sicilia per risolvere il problema della candidatura, e dall’altra parte l’ex Presidente della Regione Cuffaro, che cercava di orientare la scelta verso candidati graditi a lui e alla sua parte politica».
E ancora: «Sono due soggetti che hanno scontato la loro pena e che quindi hanno diritto di esprimere le loro opinioni. Sono interdetti da pubblici uffici, quindi non possono assumere in prima persona incarichi politici o incarichi pubblici. Ma io pensavo questo: nel 2022, a trent’anni delle stragi, la nostra realtà politica è ancora condizionata da soggetti che sono stati condannati per mafia. Non che sono stati indagati, ma condannati. E non mi dà nemmeno tanta specie e paura questo, ma l’accettazione di questa situazione come normale. Il fatto che nessuno, o pochi, sottolinei questa situazione di fatto che non è uno stigma perenne nei confronti dei soggetti che hanno scontato la loro condanna, ma è una constatazione. Oggi viene accettato che il candidato, o uno dei candidati a sindaco di questa città, venga deciso con l’apporto fondamentale di un soggetto, Marcello Dell’Utri, che una sentenza definitiva dice essere stato il garante e primo artefice di un patto intervenuto tra l’allora imprenditore Silvio Berlusconi e Cosa nostra. Queste sono sentenze definitive, ma fa comodo a tutti ignorarle, ignorare i fatti».
In questo tempo così incerto, la sola arma che rimane a noi cittadini, per incidere sulla gestione della cosa pubblica, è quella del voto: recarsi alle urne per scegliere politici capaci, onesti e onorevoli per il ruolo ricoperto. O almeno così dovrebbe essere. Tuttavia anche quella matita così preziosa con la quale mettere un segno sul nome prescelto, appare spuntata: in Sicilia (ma non solo in Sicilia), come denuncia Di Matteo, le trattative politiche (mafiose?) continuano ad essere portate avanti da individui condannati per mafia con sentenza definitiva.
Ricordiamo a chi ha memoria corta che Marcello Dell’Utri, fondatore di Forza Italia e braccio destro di Silvio Berlusconi, è stato condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, pena scontata, ed è attualmente indagato per le stragi del 1993 proprio insieme al noto cittadino di Arcore. In vista delle prossime amministrative siciliane, sarebbe stato inviato da Berlusconi sull’isola proprio per dirimere la questione candidature: mai scomparso dalla scena politica, Dell’Utri “vanta” il ruolo di mediatore in quel patto scellerato tra Berlusconi e la mafia siciliana, che è alla base della condanna.
Un altro molto attivo sempre in tema di elezioni sembrerebbe essere Salvatore Cuffaro, noto politico siciliano sia per le varie peripezie politiche (ha attraversato negli anni diversi gruppi politici) che per la condanna definitiva a sette anni di reclusione per favoreggiamento a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio.
Pur non potendosi impegnare in prima persona, in quanto interdetti dai pubblici uffici, questi “personaggi” restano in prima linea per indirizzare il voto su politici di riferimento da loro prescelti.
Com'è possibile tutto questo?
Perché i cittadini non si indignano più e la politica non cerca di porre un limite a tale scempio?
Tra poche settimane ci saranno numerose iniziative per ricordare le stragi di mafia del 1992: decine, centinaia di politici si prodigheranno per farsi notare in banalissime celebrazioni durante le quali verranno sciorinate dichiarazioni trite e ritrite, frasi vuote di contenuti e di progettazione.
Una falsa antimafia di facciata pronta ad approvare in Parlamento leggi che devastano il lavoro di magistratura e forze dell’ordine, mandando in fumo anni di indagini e di processi.
In questo paese non cambia nulla.
Chi denuncia viene abbandonato, messo all’angolo, zittito: sono tanti i cittadini che si espongono per denunciare la mafia, il malaffare, le inevitabili collusioni con la politica: uomini e donne che sono pedine fondamentali nella lotta alle mafie e che, con le proprie testimonianze, si espongono pericolosamente, restando spesso senza tutela.
Magistrati lasciati soli, spesso contrastati, minacciati da appartenenti alla criminalità e non supportati adeguatamente dalle istituzioni.
Leggi che, anziché mantenere il pugno duro contro chi si macchia di determinati reati, sembrano essere studiate appositamente per rendere vana la normativa antimafia.
Se il lavoro della magistratura non appare più sufficiente per porre un argine alla costante infiltrazione della criminalità organizzata all’interno delle istituzioni, della finanza, dei luoghi che contano, la sola alternativa resta una azione politica chiara ed efficace.
Ma se a Palermo, attualmente in fibrillazione per la nomina della nuova amministrazione comunale, si muovono indisturbati in cerca di soluzioni politiche, e non solo, personaggi che con la mafia hanno per anni convissuto (ricoprendo spesso ruoli di primo piano in quella zona grigia tra malavita e politica istituzionale) è chiaro che niente potrà cambiare.
Se i cittadini onesti non potranno incidere con il proprio voto; se le liste saranno ancora una volta piene di prestanomi in stretto rapporto con i clan; se la politica appare inquinata e permeabile, la soluzione tarda ad arrivare.
Se è vero, com'è vero, che il primo tassello nel contrasto alle mafie rimane il cambio culturale per la formazione di cittadine e cittadini cresciuti alla luce dei valori della legalità, è necessario uno scatto in avanti da parte della società civile tutta.
Non basta coltivare la memoria: occorre attuare gli insegnamenti di chi ha dato la vita per cambiare il paese, di ha creduto nella giustizia e nel rispetto delle regole; c’è bisogno che tutto il sangue versato non vada perso.
I tanti governi che si sono susseguiti negli anni non hanno mai realmente considerato prioritario il tema della legalità nel programma politico, anzi.
Se c’è stata la possibilità di accogliere le istanze e i suggerimenti di chi molto potrebbe fare, la politica ha preferito non ascoltare e, al contrario, scegliere nomi non “ingombranti” e meno incisivi.
Molto probabilmente il grido di allarme di Nino Di Matteo cadrà nell’oblio anche questa volta.
Ma se la politica ci ha abituato a questo atteggiamento grave e spesso complice, quello che fa più male è il silenzio della stragrande maggioranza della società civile e dell’informazione: alcune notizie non possono passare sotto silenzio, devono farci male e suscitare in noi la più forte delle reazioni.
Non possiamo desistere o abbandonare, lo dobbiamo per omaggiare la memoria di chi non c’è più e per darci una chance a vivere un’esistenza per la quale valga la pena resistere.
«Credo che l’opinione pubblica abbia non soltanto il diritto ma, oserei dire, il dovere di essere informata sui processi che sono stati celebrati e che non vengono raccontati dalla grande stampa. L’opinione pubblica deve essere informata e chi ha un ruolo all’interno dello Stato, della magistratura e delle forze di polizia, ha il dovere di non fermarsi.»
Nino Di Matteo
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2022-03-31 19:14:28
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