Quante volte sentiamo dire che, per una concreta lotta alle mafie, è fondamentale un lavoro su più fronti, una serie di iniziative diverse, una nuova idea di società, ma il tutto finalizzato allo stesso obiettivo: sconfiggere la criminalità. Occorrono delle buone leggi, il lavoro della magistratura e delle forze dell'ordine, la denuncia da parte delle vittime, una rinnovata cultura che faccia crescere le generazioni del futuro nel solco della legalità e della giustizia.
Oltre a questo, come ci hanno ampiamente insegnato Falcone e Borsellino, resta indispensabile il contributo dei collaboratori di giustizia, i cosiddetti “pentiti” che scelgono di abbandonare la vita precedente, tagliare legami con le cosche di appartenenza per iniziare una nuova esistenza. C'è chi lo fa per un serio pentimento personale, chi per opportunismo, chi perché teme di essere ucciso o per più motivazioni combinate insieme.
La famiglia Mancuso è una delle cosche più potenti di Vibo Valentia, una delle famiglie di 'ndrangheta più influenti al mondo, tanto da far dire al collaboratore “ La mia famiglia ha sui 700-800 affiliati. Rinascita Scott manco la prende la mia famiglia, la sfiora”
Emanuele Mancuso è il primo ed unico pentito del clan e le sue dichiarazioni sono alla base del processo Rinascita Scott che si sta svolgendo a Lamezia Terme.
Lo abbiamo intervistato diverse volte. «Ho deciso di collaborare con la giustizia proprio in prossimità della sua nascita anche con la speranza di offrirgli un futuro diverso, lontano dal contesto sociale e criminale di mia appartenenza.»
Queste le parole del collaboratore che sta cercando di riottenere la piena capacità genitoriale, ora limitata; attualmente sua figlia Helen, di quattro anni, è sottoposta a regime di protezione e vive insieme alla madre in una casa famiglia, in località protetta. Scrive la Procura Generale di Roma rispetto al suo percorso di collaborazione: «Mancuso Emanuele si è emancipato dalla originaria appartenenza criminale e dai valori che ne erano alla base. Il decorso temporale, iniziato dalla sua collaborazione di oltre 4 anni, conduce ad un giudizio favorevole sul suo percorso.»
La sua collaborazione, come attestato anche dalla procura distrettuale di Catanzaro – si legge sempre nel dispositivo – è risultata efficace e consolidata così da impedire una regressione allo stile di vita del contesto familiare originario rispetto alla scelta di vita intrapresa con la collaborazione.
La stessa Procura, in un atto depositato il 6 maggio scorso, specifica che “non sussiste più alcuna ragione che impedisca ad Emanuele Mancuso di riprendere la gestione genitoriale con conseguente revoca della disposta sospensione della responsabilità genitoriale". Nonostante questo la minore continua ad avere rapporti con la famiglia Mancuso tramite la madre Nensy Vera Chimirri: la donna non ha mai interrotto i rapporti con i rappresentanti del clan e utilizzerebbe la figlia per far desistere l’ex compagno dal pentimento.
Già condannata per condotte aggravate dall’articolo 416 bis e imputata per il reato di estorsione, ha sempre cercato di persuadere l’ex compagno dalla collaborazione cercando di riportarlo alla vita criminale e alle condotte delittuose.
Preoccupato per le condizioni della figlia, che nei rari incontri con il padre manifesta atteggiamenti di rifiuto e difficoltà a relazionarsi con lo stesso, ne chiede la custodia esclusiva per allontanarla dalla madre e soprattutto dall’ambiente malavitoso che la minore sarebbe costretta a frequentare. La bambina, che vive in struttura protetta ed è affidata ai servizi sociali, continua di fatto a vivere con la madre.
In diverse occasioni avrebbe manifestato comportamenti e pronunciato frasi (avrebbe chiamato il padre "uccello canterino", parole naturalmente ascoltate da altri) che fanno pensare ad una mancata vigilanza sulla stessa da parte dei Servizi sociali oltre alla totale incapacità genitoriale da parte della madre; a quest’ultima, tra l’altro, è stato revocato il programma di protezione per le condotte poste in essere.
Emanuele Mancuso torna a parlare e a denunciare questa assurda situazione: vede pochissimo sua figlia e le rare volte gli incontri avvengono in condizioni difficili e poco compatibili a favorire il rapporto padre-figlia.
La piccola continua a vivere nell’orbita di quella famiglia di 'ndrangheta dalla quale lui si è dissociato. I suoi famigliari non desistono da questa battaglia per l'affidamento. I boss del clan di Limbadi ripudiano chi parla con la magistratura e lo Stato, non perdonano e soprattutto non dimenticanoora. I suoi famigliari lo considerano un traditore infame, un indegno, un ribelle: inaccettabile per la malavita.
Emanuele Mancuso chiede allo Stato, e alle istituzioni competenti, di tutelare al meglio sua figlia, allontanandola definitivamente dalla famiglia di origine per strapparla ad un futuro altrimenti già segnato. La collaborazione di Mancuso – che le autorità definiscono efficace e consolidata – lo ha portato a scegliere una vita differente, quella che vorrebbe garantire alla sua bambina.
Nascere in una famiglia di mafia, di 'ndrangheta, di camorra, non è una colpa; lo diventa il non voler recidere quel cordone, accettando di vivere con montagne di denaro sporco di sangue; accettare di restare in certi ambienti fatti solamente di delitti, omertà, violenza e morte. Tutelare i bambini, i ragazzi, le nuove generazioni, cercando di guidarli in un percorso di salvezza e affrancamento dalle organizzazioni criminali, è necessario per formare una nuova generazione di cittadine e cittadini.
E’ l’unica strada percorribile per una società che vuole riscattarsi e sperare in un futuro diverso. I cittadini devono impegnarsi al fianco dello Stato e delle forze dell’ordine. Dobbiamo crescere figli onesti e innamorati della legalità. Occorre anche dare risposte concrete a chi collabora e fa dichiarazioni importanti alla magistratura impegnata nella lotta alle mafie.
Nei prossimi mesi verrà trasmessa dalla Rai una lunga intervista Di Emanuele Mancuso.
LEGGI ANCHE:
- La battaglia del collaboratore di giustizia calabrese
- Parla Mancuso, l'ex rampollo di 'ndrangheta: «Per mia figlia sono disposto a fare un macello»
- «Chiedo Giustizia»: l'appello del collaboratore Emanuele Mancuso per sua figlia
- «Io sul libro paga della cosca Mancuso? Soltanto illazioni»
- «Facciamo nostro il grido di allarme del collaboratore Emanuele Mancuso»
- «I Mancuso sono ‘ndranghetisti e massoni»
- Il collaboratore Mancuso: «Il clan è fortemente legato alla politica e alla massoneria»
- Mancuso: «Che mia figlia sia in mano alla ‘ndrangheta è palese in quanto emerge dagli atti»
uploads/images/image_750x422_629dc73c5e6a3.jpg
2022-06-06 15:48:33
11