È noto che il summit sarà incentrato sulla guerra in Ucraina (si attende domani il collegamento di Volodymyr Zelenskyy, su invito del cancelliere tedesco Olaf Scholz), sugli effetti della crisi energetica, sul cambiamento climatico. Inoltre è prevista una sessione dedicata alla sicurezza alimentare e all’uguaglianza di genere insieme ai leader di India, Indonesia, Sudafrica, Senegal e Argentina.
Sorge in molti una domanda: il G7 quanto è determinante e, in particolare, che ruolo ha l’Italia nel contesto? Guardando solo il PIL a parità dei poteri d’acquisto (PPA), molti di questi non farebbero più parte del gruppo. L’Italia, per esempio, ha perso il suo posto nel ranking mondiale tra più potenti per PIL PPA più di 20 anni fa, lasciando spazio alla Russia.
Una situazione dalle prospettive fosche per il nostro Paese e sicuramente lontane rispetto allo stesso periodo dello scorso anno quando il Fondo Monetario Internazionale annunciava nuove stime di crescita del Pil all’insegna di un cambiamento non eclatante, ma che considerava l’effetto combinato del successo delle campagne vaccinali nei Paesi più sviluppati e delle politiche economiche espansive messe in atto per rilanciare l’economia.
Le prospettive per l'Italia che sembrava migliorassero confliggono oggi con la devastante crisi che colpisce il mercato del lavoro e dell’impresa. E se le imprese vanno in default le possibilità di lavoro si esauriscono ineluttabilmente. Sul mi soffermo sui dati relativi alla crisi delle imprese recentemente emersi.
L’impatto dell’aumento del costo delle materie prime è risultato rilevante per il 76,5% delle imprese intervistate e determinerà per la maggior parte delle aziende del campione tensioni sulla gestione finanziaria dell’azienda generando un impatto negativo sui margini (EBITDA) pari al -17,1%.
Dal report “Italia delle Imprese”, (studio realizzato da Allianz Trade in collaborazione con Format Research e pubblicato in questi giorni) emerge che l’indicatore del clima di fiducia rispetto alla propria impresa in prospettiva nel 2022 rispetto al 2021 sul totale del campione è pari a -4,5.
Lo stesso dato è comunque visto in lieve rialzo nel 2023 registrando +11,8. Lo stato delle imprese è stato rilevato analizzando l’impatto della crisi internazionale, tenendo in considerazione cinque grandi fattori di rischio: l’aumento del costo energetico, i problemi delle catene di approvvigionamento globali, l’aumento dei costi delle materie prime, l’accesso al credito e i relativi costi ed infine la ripartenza dei mancati pagamenti e i default aziendali.
Tali dinamiche delle imprese sono state clusterizzate in dieci settori del Made in Italy.
La crisi in atto ha inferto un duro colpo al livello di fiducia delle imprese italiane sia nell’andamento del proprio settore di attività economica, sia nell’andamento della propria impresa. Il “rischio del credito”, ovvero il “rischio di insolvenza dei creditori” costituisce in qualche modo un ritorno sullo scenario economico dopo diversi anni di relativa quiete in questo senso. Il primo segnale in questo senso è costituito dal peggioramento dell’indicatore relativo al ritardo nei pagamenti da parte dei clienti. L’indicatore composito relativo al 2022 sul 2021 segna -14,3, la prospettiva del 2023 sul 2022 è pari a -4,2.
È interessante notare come la pressoché totalità dei settori di attività economica considerati fanno registrare un valore di segno negativo.
Le imprese che hanno visto aumentare i tempi di pagamento da parte dei propri clienti, ovvero con pagamenti oltre le date contrattualmente stabilite, sono risultate nel 2022 il 17,1%.
Tra queste oltre il 27% ha assistito a ritardi nei pagamenti di oltre 30 giorni, il 37% circa, a ritardi fino a 60 giorni, il 16% a ritardi fino a 90 giorni, e quasi il 20% a ritardi nei pagamenti superiori ai 90 giorni.
Il peggioramento del rischio del credito è evidente anche con riferimento alle “perdite” vere e proprie, ossia a quando “il cliente paga meno o non paga affatto”. Con riferimento al mercato domestico il rischio di perdite parziali sui crediti è aumentato nel 2022 rispetto al 2021 secondo l’11,6% delle imprese, mentre il rischio di perdite totali (default) è aumentato per il 10,2% delle imprese. Sui mercati internazionali il rischio di perdite parziali è aumentato secondo l’8,2% delle imprese, mentre il rischio dei default è aumentato per il 7,4% delle imprese.
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2022-06-26 18:43:29
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