L’Associazione Antimafie e Antiusure Dioghenes APS vuole tenere viva la memoria nei confronti di Lea Garofalo, la fimmina massacrata e bruciata in un bidone dalla mafia calabrese a Milano il 24 novembre del 2009, attraverso il coinvolgimento degli studenti delle scuole italiane di ogni ordine e grado (mediante un concorso letterario e fotografico) e con l’individuazione di personaggi che si sono distinti tramite la loro professione e il loro impegno, dando un serio contributo alla lotta alle mafie e al contrasto della mentalità mafiosa.
Con il Premio Nazionale dedicato a Lea Garofalo, si intende valorizzare, attraverso le competenze delle scuole italiane, i temi legati alla educazione alla legalità, alla inclusione sociale e culturale.
Senza dimenticare le azioni di donne e uomini che, nel silenzio generale, contribuiscono con azioni concrete ad una forma di resistenza attiva. Il coraggio e la passione rendono ancora viva questa battaglia (da vincere).
La I edizione del PREMIO, ideata ed organizzata da Dioghenes APS, con il contributo della testata giornalistica online WordNews.it, ha come finalità la diffusione della storia di Lea.
Lea ha conosciuto la ‘ndrangheta da vicino: come tante donne, ha subìto la violenza brutale della mafia calabrese. Ha denunciato quello che ha visto, quello che ha sentito: una lunga serie di omicidi, droga, usura, minacce, violenze di ogni tipo. Ha raccontato la ‘ndrangheta che uccide, che fa affari, che fa schifo!
È stata uccisa perché si è contrapposta alla cultura mafiosa, che non perdona il tradimento – soprattutto – di una fimmina.
A 36 anni è stata rapita a Milano per ordine del suo ex compagno, dopo un precedente tentativo di sequestro in Molise, a Campobasso. L’hanno brutalmente interrogata, malmenata e poi assassinata. Per questo, sei vigliacchi – in primo grado – sono stati condannati all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Milano. Per difendere sua figlia si è messa contro il convivente, i parenti, il fratello Floriano. Rincorreva una nuova vita: senza minacce, senza intimidazioni, senza aggressioni. Non c’è stato il tempo, la reazione animalesca è arrivata e nessuno ha saputo offrirle aiuto.
Le mafie, sino ad oggi, hanno ucciso più di 150 donne. Solo grazie alle fimmine è possibile immaginare un futuro diverso per questo Paese, un futuro senza il puzzo opprimente di queste organizzazioni criminali, che possono tutto per la loro immensa potenza economica e militare. Per i loro legami secolari con la politica e le Istituzione. Ma con Lea e con Denise non hanno potuto nulla. Gli assassini sono stati condannati all’ergastolo. Al carcere a vita. Il clan Cosco è stato distrutto da due donne Lea in vita si è sentita «una giovane madre disperata», stanca di chiedere aiuto, di chiedere protezione.
Nessuno, come in tante altre occasioni, ha mai chiesto scusa. Nessuno ha mai telefonato alla madre di Lea, la signora Santina. Il suo memoriale è stato pubblicato solo dopo la sua morte. In questo strano Paese succede sempre tutto dopo.
«Ho bisogno d’aiuto, qualcuno ci aiuti»
Signor Presidente della Repubblica, chi le scrive è una giovane madre, disperata allo stremo delle sue forze, psichiche e mentali in quanto quotidianamente torturata da anni dall’assoluta mancanza di adeguata tutela da parte di taluni liberi professionisti, quali il mio attuale legale che si dice disponibile a tutelarmi e di fatto non risponde neanche alle mie telefonate.
Siamo da circa sette anni in un programma di protezione provvisorio. In casi normali la provvisorietà dura all’incirca un anno, in questo caso si è oltrepassato ogni tempo e, permettetemi, ogni limite, in quanto quotidianamente vengono violati i nostri diritti fondamentali sanciti dalle leggi europee.
Il legale assegnatomi dopo avermi fatto figurare come collaboratrice, termine senza che mai e dico mai ho commesso alcun reato in vita mia. Sono una donna che si è sempre presa la responsabilità e che da tempo ha deciso di rompere ogni tipo di legame con la propria famiglia e con il convivente. Cercando di riniziare una vita all’insegna della legalità e della giustizia con mia figlia.
Dopo numerose minacce psichiche, verbali e mentali di denunciare tutti. Vengo ascoltata da un magistrato dopo un mese delle mie dichiarazioni in presenza di un maresciallo e di un legale assegnatomi, mi dissero che bisognava aspettare di trovare un magistrato che non fosse corrotto dopo oltre un mese passato scappando di città in città per ovvie paure e con una figlia piccola, i carabinieri ci condussero alla procura della Repubblica di C. (Catanzaro, nda) e lì fui sentita in presenza di un avvocato assegnatomi dalla stessa procura.
Questi mi comunicarono di figurare come collaboratore, premetto di non aver nessuna conoscenza giuridica, pertanto il termine di collaboratore per una persona ignorante, era corretto in quanto stavo collaborando al fine di arrestare dei criminali mafiosi. Dopo circa tre anni il mio caso passa ad un altro magistrato e da lui appresi di essere stata mal tutelata dal mio legale.
Oggi mi ritrovo, assieme a mia figlia isolata da tutto e da tutti, ho perso tutto, la mia famiglia, ho perso il mio lavoro (anche se precario) ho perso la casa, ho perso i miei innumerevoli amici, ho perso ogni aspettativa di futuro, ma questo lo avevo messo in conto, sapevo a cosa andavo incontro facendo una scelta simile.
Quello che non avevo messo in conto e che assolutamente immaginavo, e non solo perché sono una povera ignorante con a mala pena un attestato di licenza media inferiore, ma perché pensavo sinceramente che denunciare fosse l’unico modo per porre fine agli innumerevoli soprusi e probabilmente a far tornare sui propri passi qualche povero disgraziato sinceramente, non so neanche da dove mi viene questo spirito, o forse sì, visti i tristi precedenti di cause perse ingiustamente da parte dei miei familiari onestissimi! Gente che si è venduta pure la casa dove abitava, per pagare gli avvocati e soprattutto, per perseguire un’idea di giustizia che non c’è mai stata, anzi tutt’altro! Oggi e dopo tutti i precedenti, mi chiedo ancora come ho potuto, anche solo pensare che in Italia possa realmente esistere qualcosa di simile alla giustizia, soprattutto dopo precedenti disastrosi come quelli vissuti in prima persona dai miei familiari.
Eppure sarà che la storia si ripete che la genetica non cambia, ho ripetuto e sto ripentendo passo dopo passo quello che nella mia famiglia è già successo, e sa qual è la cosa peggiore?
La cosa peggiore è che conosco già il destino che mi spetta, dopo essere stata colpita negli interessi materiali e affettivi arriverà la morte!
Inaspettata indegna e inesorabile e soprattutto senza la soddisfazione per qualche mio familiare è stato anche abbastanza naturale se così si può dire, di una persona che muore perché annega i propri dolori nell’alcol per dimenticare un figlio che è stato ucciso per essersi rifiutato di sottostare ai ricatti di qualche mafioso di turno. Per qualcun altro è stato certamente più atroce di quanto si possa immaginare lentamente, perché questo visti i risultati precedenti negativi si è fatto giustizia da solo e, si sa, quando si entra in certi vincoli viziosi difficilmente se ne esce indenni tutto questo perché le istituzioni hanno fatto orecchie da mercante!
Ora con questa mia lettera vorrei presuntuosamente cambiare il corso della mia triste storia perché non voglio assolutamente che un giorno qualcuno possa sentirsi autorizzato a fare ciò che deve fare la legge e quindi sacrificare se pur per una giustissima causa la propria vita e quella dei propri cari per perseguire un’idea di giustizia che tale non è più nel momento in cui ce la si fa da soli e, con metodi spicci.
Vorrei Signor Presidente, che con questa mia richiesta di aiuto lei mi rispondesse alle decine, se non centinaia di persone che oggi si trovano nella mia stessa situazione. Ora non so, sinceramente, quanti di noi non abbiamo mai commesso alcun reato e, dopo aver denunciato diversi atti criminali, si sono ritrovati catalogati come collaboratori di giustizia e quindi di appartenenti a quella nota fascia di infami, così comunemente chiamati in Italia, piuttosto che testimoni di atti criminali, perché le posso assicurare, in quanto vissuto personalmente che esistono persone che nonostante essere in mezzo a situazioni del genere riescono a non farsi compromettere in nessun modo e ad avere saputo dare dignità e speranza oltre che giustizia alla loro esistenza.
Lei oggi, signor Presidente, può cambiare il corso della storia, se vuole può aiutare chi, non si sa bene perché, o come, riesce ancora a credere che anche in questo Paese vivere giustamente si può nonostante tutto! La prego signor Presidente ci dia un segnale di speranza, non attendiamo che quello, e a chi si intende di diritto civile e penale, anche voi aiutate chi è in difficoltà ingiustamente! Personalmente non credo che esiste chissà chi o chissà cosa, però credo nella volontà delle persone, perché l’ho sperimentata personalmente e non solo per cui, se qualche avvocato legge questo articolo e volesse perseguire un’idea di giustizia accontentandosi della retribuzione del patrocinio gratuito e avendo in cambio tante soddisfazioni e una immensa gratitudine da parte di una giovane madre che crede ancora in qualcosa vagamente reale, oggi giorno in questo paese si faccia avanti, ho bisogno di aiuto, qualcuno ci aiuti.
Please!
Una giovane madre disperata
A BREVE IL PROGRAMMA COMPLETO.
Il PREMIO NAZIONALE LEA GAROFALO è Patrocinato dalle Istituzioni locali.
Il BANDO sarà reso disponibile a settembre.
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Una strada per Lea Garofalo a Pagliarelle (Crotone)
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NERVOSISMO. Il linguaggio mafioso noi lo rispediamo al mittente, come la bella parolina utilizzata: «grandissimo figlio di puttana». Con una necessaria puntualizzazione: le nostre madri non hanno generato e allevato "bestie" mafiose. Rispediamo tutto indietro, con sdegno. Ovviamente, ci scusiamo con le bestie (quelle nobili). Il nostro termine è appositamente utilizzato per schifare questa gentaglia, assassini senza onore. Per dirla alla Sciascia: quaquaraquà.
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Una strada per Lea Garofalo a Pagliarelle (Crotone)
LEGGI:
- Il ritorno della bestia Carlo Cosco
OMICIDIO LEA GAROFALO. Il suo assassino è ritornato per quattro ore in paese, a Pagliarelle (Crotone). Ufficialmente per fare visita a sua madre "moribonda". La donna, Piera Bongera, solo qualche giorno prima è stata vista arzilla e serena in un supermercato. Cosa hanno in mente questi criminali? Perchè sul territorio è rientrato anche il cugino Vito Cosco, implicato nella strage di Rozzano? Per l'avvocato Guarnera: «Hanno preparato l'ambiente per dare un segnale allo stesso ambiente».
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2022-08-11 16:33:46
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