«Quasi non lo riconoscevo, è invecchiato tantissimo, è ‘na parola così gli è successo». Frasi, più o meno testuali, ascoltate in piazza nella più classica delle conversazioni pubbliche. Il distratto ascoltare, che non sa a chi si riferisce e cosa è accaduto, immediatamente può pensare solo ad una disgrazia, un incidente, una malattia grave. La «disgrazia» era, molto banalmente, la conseguenza di un comportamento tutt’altro che irreprensibile, e considerato penalmente rilevante, di un ex assessore.
Ogni azione ha una reazione e, nel momento in cui s’avviano denunce ed indagini, l’amministratore infedele dovrebbe essere normale ne vengano accertate responsabilità. Con quel che ne consegue.
Nella Regione di Fontamara così non è. E tutto diventa una disgrazia, colpa del fato, nessuno responsabile e tutti sempre vittime.
Smaltimento rifiuti in affanno, ponti che crollano, rotture nelle reti che lasciano migliaia e migliaia di cittadini senz’acqua anche per giorni interi, terremoti, valanghe come a Rigopiano, frane.
Mai responsabilità di nessuno, sempre colpa della sfortuna, sempre disgrazie che calano dall’alto. Come se ci fosse lassù qualcuno che si diverte a giocare a dadi con questo territorio e ogni tanto ne scaglia uno per divertimento. Nessuno responsabile, tutti solo sfortunati e disgraziati. E nel mezzo commozione, capelli strappati, dichiarazioni strappalacrime.
L’Italia è il paese del “io sono”, dell’identificazione sempre attiva. L’Abruzzo non è da meno, anzi è tra le più attive in questo retorico (ed ipocrita) esercizio. Siamo tutti terremotati, tutti vittime di valanghe e frane, tutti francesi, statunitensi, tedeschi, inglesi, ucraini, tutti familiari della Regina Elisabetta.
E, nelle scorse settimane, tutti orsi. È stato investito Juan Carrito, l’orso divenuto famoso anche a livello nazionale. Un secondo dopo la diffusione della notizia il povero Carrito ha scoperto di avere almeno un milione di familiari, tutti affranti e disperati. E sui social e sulla stampa l’allagamento da espressioni di cordoglio e tristezza «istituzionali» ha raggiunto livelli da straripamento del Rio delle Amazzoni.
L’Abruzzo si vanta di essere la Regione Verde d’Europa, la Regione con quasi il 40% del territorio tutelato. Piovono come non ci fosse un domani brand, simboli, loghi, progetti, convegni, marketing e chi più ne più ne metta su quanto è bello l’Abruzzo Verde. Sui monti e sulla costa, sulle bellezze naturali ovunque ti giri.
Oltre il brand poi si continuano a trovare progetti milionari per l’innevamento artificiale funzionale a impianti che di futuro sembrano avere ben poche, con un’inversione ad U rispetto al passato la stessa Regione ha di fatto dato assenso ad un metanodotto che (tra le tante «criticità») impatterà anche sull’habitat degli orsi, abbiamo avuto ormai nove anni fa un Parco Nazionale che dopo tre anni di ritardo (e dopo la presentazione di esposti da cittadini) in una sola notte ha costruito il proprio albo pretorio online pubblicando un numero impressionante di atti, un Parco Nazionale che non è mai nato e mai nascerà per il rimpallo e l’incapacità di assumere qualsiasi scelta politica e visione del territorio da tutto o quasi l’arco costituzionale che si è intervallato al governo di Regione, Provincia e Comuni, un hotel come quello crollato nella nevicata del 2017 in pieno Parco Nazionale, un recente report ha documentato che nei Comuni dei Parchi la raccolta differenziata dei rifiuti è a dir poco in affanno, un’area verde che andrebbe tutelata è da anni ogni estate preda di camper, fornellini da campo, musica a tutto volume e di tutto di più così tanto che da campo ormai da anni ambientalisti l’hanno ribattezzata proprio «camper».
L’elenco potrebbe continuare per pagine e pagine – la gestione delle dune sulle spiagge con sbancamenti e progetti sconcertanti negli anni, unito ad un «sentire popolare» che galleggia tra il «cazz ce ne frega di sta jerv» («cazzo ce ne frega di quest’erba») al «che palle, non si può toccare mai nulla, non si può fare nulla in questo paese» - ma torniamo a Juan Carrito. Un orso che viveva in pieno territorio di un Parco nazionale che ha come logo proprio l’orso.
Juan Carrito in questi anni è stato monitorato, catturato varie volte e munito di radio collare per seguirne gli spostamenti. Che gli fu tolto nel dicembre scorso perché, ha sottolineato lo zoologo ed esperto di fauna selvatica Paolo Forconi a Il Messaggero, «era troppo stretto e gli aveva procurato diverse ferite al collo e tanta sofferenza». Nei giorni scorsi, circostanza di cui mai si era avuta percezione e conoscenza da parte di chi lo ha «seguito», Juan Carrito era diventato cieco ad un occhio, «Una menomazione che sarebbe stata presente da tempo, da mesi o forse da anni, ma di cui non si sapeva nulla, nonostante le diverse catture del plantigrado durante questi tre anni» ha sottolineato la testata online Il Germe.
«Credo che i due parchi che si sono occupati della gestione di questo povero animale, Majella e Parco d'Abruzzo, soprattutto dopo quanto sta emergendo, debbano per trasparenza pubblicare online:-risultati della necroscopia; -relazioni di servizio e schede sulle catture subite da Carrito; -relazioni di servizio sulle eventuali operazioni di "dissuasione" con proiettili di gomma in cui sono emersi problemi che possono aver inciso sulla salute e sul benessere dell'animale; -visto che ci sono, pubblicare eventuali relazioni di servizio/necroscopie/segnalazioni di problemi al collo di altri orsi derivanti dal posizionamento di collari – ha sottolineato su facebook lo storico ambientalista abruzzese Augusto De Sanctis – sono informazioni ambientali e andrebbero divulgate periodicamente (D.lgs.195/2005)» evidenziando che – sempre nella Regione Verde d’Europa e dei Parchi – «emergono questioni “strutturali”, che sono quelle fondamentali, al di là del caso singolo, comunque importante».
WORDNEWS.IT © Riproduzione vietata
uploads/images/image_750x422_63de365866938.jpg
2023-02-06 16:53:03
3