Boati nella notte, improvvisi bagliori e tuoni che squarciano il buio e il silenzio. Della notte e dei materassi di piume.
Quei materassi che si girano sempre, comunque, ovunque. Che pesano sulle incoscienti coscienze dei senz’anima e gettati nei luoghi più degradati delle periferie, rifugio del “mondo di sotto”. Sono i boati dei fuochi d’artificio, sono i boati di spari che s’alzano al cielo e gridano arroganza, prepotenza, violenza, sfregio della civiltà e della società.
I fuochi d’artificio sono da sempre simbolo di festa, allegria, aggregazione, gioia.
Li hanno trasformati nella negazione di tutto questo, l’hanno trasformato nel simbolo delle minacce al cuore di una società che si possa definire tale. Rubati nel loro significato alle persone oneste, dignitose, civili, generose, alla gioia per diventare i bastoni del loro potere. Criminale, efferato, sguaiato, mafioso. In piena pandemia, la drammatica primavera del 2020, mentre l’Italia e tutto il mondo piangeva i morti e venivano feriti al cuore da questa terribile minaccia loro, personaggi a cui non va riconosciuta nessuna dignità e la cui stessa esistenza è un’offesa alla dignità, mostravano tutto il loro volto. Sfidavano le persone oneste, sfidavano lo Stato, sfidavano la società, si organizzavano e approfittavano – vigliaccamente e squallidamente – della debolezza e delle difficoltà di tutti per far avanzare la loro sistematica, delinquenziale, criminale, mafiosa realtà. È agli atti, è tutto nell’archivio di questo giornale.
Maggio 2020. Fuochi d’artificio diffusi in tutti i sistemi criminali
22 luglio 2020. Fuochi d’artificio, l’arroganza dei sistemi criminali
https://www.wordnews.it/fuochi-dartificio-larroganza-dei-sistemi-criminali
1° gennaio 2021. I botti dell’arroganza e della prepotenza, a Pescara «sembra di stare a Gaza però senza la dignità di Gaza»
31 dicembre 2021. I botti indegni ed eversivi della criminalità. Documentiamo e denunciamoli insieme
4 gennaio 2022. Fuochi d’artificio di capodanno, anche in Abruzzo ordinanze violate
https://www.wordnews.it/fuochi-dartificio-di-capodanno-anche-in-abruzzo-ordinanze-violate
Questi sono solo alcuni degli articoli in cui abbiamo documentato e denunciato quel che è accaduto, e accade ancora. A Pescara, Villa del Fuoco e non solo, e in altri centri sulla costa abruzzese.
La prima volta in cui raccontammo la simbologia mafiosa di questi fuochi criminali fu intervistando il sociologo Leonardo Palmisano che da tanti anni studia, approfondisce, documenta e racconta i sistemi criminali pugliesi e non solo. Uno dei primi, fondamentali, preziosi, documentati, libri d’inchiesta sulle mafie nigeriane è stato il suo “Ascia Nera” quando quasi nessuno le anche solo nominava in Italia.
Dopo quell’intervista abbiamo raccolto testimonianze, foto, video, visto, analizzato e raccontato cosa stava accadendo. Ma le risposte nella “regione camomilla”, anche di quella società “civile” (a chiacchiere) che si definisce impegnata e attiva, sensibile e tante altre belle paroline (vuote come le loro inutili, autoreferenziali e sterili pseudo-attività), furono negare, minimizzare, sorridere, irridere, far finta di niente, accusare di sensazionalismo e di esagerare. Ignorare nella stragrande maggioranza. Nei mesi scorsi dopo un maxi blitz a Rancitelli, con svariati arresti, per la prima volta è stato contestato il 416bis ad appartenenti a famiglie rom (i cognomi li facciamo da quasi quattro anni) da sempre egemoni in narcotraffico, racket, intimidazioni, violenze e altri reati.
Un’operazione delle forze dell’ordine, un’inchiesta della magistratura, la ricostruzione di crimini, reati, aggressioni, violenze, intimidazioni concretizzava il quadro che sulle pagine di questo giornale abbiamo raccontato sin dal primo giorno. Pagine le cui radici affondano in anni di impegno, approfondimento, documentazione, denuncia con associazioni e giornali negli anni e che non si proclamano “antimafia” (nascondiglio di tanti parolai che l’hanno sfruttata per far carriera, soldi, affermarsi) ma guardano e cercano di agire nella carne viva della società.
Un ricorso ha portato i fatti di sette mesi fa all’attenzione della Corte di Cassazione, il 29 novembre sul quotidiano Il Centro sono usciti alcuni stralci della sentenza dei giudici. Una pronuncia che, a partire dai fuochi d’artificio e alle violenze e dalle intimidazioni, sancisce esattamente quel che abbiamo denunciato e si è ricordato (in parte perché sono decine e decine gli articoli) qui sopra.
Sparare i fuochi per «affermare la propria predominanza sul territorio», un gruppo criminale su cui si possono richiamare «pertinenti indici fattuali propri delle organizzazioni di stampo mafioso», «un sodalizio radicato su una parte del territorio cittadino dotato di una propria forza di intimidazione» che «ha acquisito quei connotati di immanenza e di inquinamento del tessuto economico-sociale tipici dei consessi di stampo mafioso», un’organizzazione con un capillare controllo del territorio volta anche a «neutralizzare, mediante sistematiche intimidazioni, danneggiamenti e con l’uso della violenza, qualsiasi iniziativa volta a riaffermare l’autorità dello Stato», iniziative criminali che hanno creato di fatto uno stato contro lo Stato.
Parole della Corte di Cassazione che confermano, attestano, sanciscono denunce di anni e anni. Si sveglierà la “regione camomilla”? Negazionisti, riduzionisti, coloro da anni infastiditi e sguaiatamente offensivi perché lo si denuncia da tanti anni ora dovrebbero iniziare a farsi esami di coscienza. Se ne hanno una. Una sentenza che è diventata pubblica negli stessi giorni in cui ad Elice è stato sgominato una “roccaforte dello spaccio”(copyright Il Centro) che garantiva lusso, potere, violenza intimidatrice che è arrivata fin dentro le mura del carcere di Pescara. E nelle stesse ore (com’era la favoletta dell’isola felice?) ha coinvolto anche Teramo un’operazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari nei confronti di pregiudicati « ritenuti responsabili, in base agli elementi acquisiti nel corso delle indagini, di due omicidi, di un tentato omicidio, di porto e detenzione di armi da guerra e di armi comuni da sparo, di favoreggiamento e ricettazione, consumati nel 2017, nel quartiere Japigia di Bari, tutti delitti aggravati dall’obiettivo di agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso clan Palermiti» (fonte Rete8.it).
E sono questi anche i giorni, in conclusione, della conclusione del violento anno di soggetti dalla «pericolosità sociale da infrenare» (parole testuali dell’Arma dei Carabinieri) nel comune che ospitò il terzogenito scrittore di Totò Riina. Fu emesso un divieto di dimora in tutta la Provincia di Chieti per il principale soggetto, provvedimento cancellato mesi dopo. Come abbiamo raccontato mesi fa ponendo domande ben precise a chi dovrebbe avere il compito e il dovere di tutelare la sicurezza e l’ordine pubblico: se quella stagione ricomincia, se ci saranno altre violenze, se onesti cittadini verranno colpiti anche gravemente, qualcuno di loro se ne assumerà la responsabilità e la colpa? Fino a quando questi soggetti potranno inquinare e far sentire il loro peso violento su piazze e strade? «[…]Sono convinti di essere onnipotenti, impuniti, prepotenti e autorizzati a far tutto.
L’abbiamo visto a Roma, con i loro parenti Casamonica, ma è un comportamento diffuso ovunque siano presenti. Ostentano il loro sfarzo e le loro gesta anche sui social network, come facebook: ristoranti di lusso, auto di grossa cilindrata, armi da fuoco, banconote di taglio alto o frasi contro gli “infami”, le forze dell’ordine e chi li denuncia. Perché chi denuncia, chi non accetta la loro presenza e le loro “gesta” rompe una sorta di codice di omertà e rassegnazione che considerano un loro “diritto acquisito” […]egemonizzano le cronache giudiziarie e sono protagonisti, spesso nel silenzio e nell’accettazione, di scorribande e prepotenze. Entrano in un locale, consumano alcolici a fiumi e alzano sempre più il livello del chiasso e dei bagordi, impadronendosi letteralmente di locali, dove nessun avventore rimarrebbe. Questi soggetti poi proseguono la serata, o ancor meglio la nottata, rompendo la quiete con musica a tutto volume sparata dalle autoradio compiendo ogni sorta di vandalismo e bagordi di ogni tipo. Le cronache locali, dal canto loro, non si interessano di questi soprusi e mantengono un silenzio che sa di accettazione e omertà e ormai è diventato quasi usuale affermare che chi apre un locale pubblico deve augurarsi che tali soggetti non arrivino, altrimenti la chiusura è certa.
In questa Gomorra di provincia incontrano fornitori e clienti del narcotraffico, pianificano altri reati, intimidiscono e picchiano persone che possono essere colpevoli anche solo di esser loro antipatici o non aver avuto il comportamento che loro gradiscono». Questi sono alcuni passaggi dell’articolo (https://www.wordnews.it/il-ghetto-pescarese-e-la-gomorra-dabruzzo) in cui nel gennaio 2010 abbiamo denunciato questo “peso violento”, queste presenze criminali e delinquenziale, sguaiate, volgari e indegne.
Quasi quattro anni dopo la situazione è solo peggiorata, le loro arroganza e prepotenza sono avanzate durante la pandemia e si sono rafforzate. Sono i Casamonica d’Abruzzo, sono criminali da trattare come i loro parenti mafiosi, con gli stessi connotati e caratteristiche. Come si denuncia da anni, nel silenzio, nell’accettazione, nel vigliacco conformismo anche di supposti impegnati, e ha sancito la Corte di Cassazione. Chi tace e accetta, chi nega e guarda altro, è complice sempre più.
2023-12-01 18:59:49
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