C’è stata un’esplosione alla “polveriera”. È la frase che di casa in casa ha attraversato tutta Casalbordino esattamente tre mesi fa, il 13 settembre. La “polveriera”, così viene definito in paese lo stabilimento della Esplodenti Sabino.
Un nome che rimanda alla storia dell’azienda e ad epoche lontane, le “polveri” non si lavorano più come decenni fa e la società oggi è impegnata in lavorazioni molto più sofisticate e di alto livello ma il nome è rimasto sempre quello. Un’esplosione alla “polveriera”, sono morti tre lavoratori.
Un deja vu di tre anni fa, una frase che ha sapore d’antico: un’espressione quasi ottocentesca che racconta un pezzo di novecento nel cuore del terzo millennio. Una frase che riassume la storia e trasmette il rapporto tra Casalbordino e quello stabilimento sulla collina a pochi passi dal mare. Guardato con timore da alcuni, punto di riferimento e fonte di reddito per tanti.
Sono alcuni decenni che lo stabilimento è sorto ma nella memoria collettiva e nel sentire comune “c’è sempre stata”. Frase che sintetizza una caratteristica dell’animo comune: quel che è non si può mai cambiare, il mondo va solo accettato senza fiatare. E alcuni non vorrebbero che si fiati mai, in un misto di imbarazzo ed altri non certo edificanti stati d’animo e comportamenti. Lo testimonia anche la reazione il 13 settembre di fastidio, irritazione e intolleranza di alcuni alla presenza della stampa nazionale e locale. E se certo non sarebbero capaci di fiatare con i grandi network nazionali o con operatori che hanno fisici ben strutturati, con altri si alza eccome la voce. Si alza la voce e si arriva praticamente a cercare di ostacolare, urlare e di fatto minacciare.
Se poi ci si prova ad interrogare su cosa è accaduto, sulle cause di una drammatica tragedia che purtroppo si ripete dopo meno di tre anni, sacrilegio in questa terra per chi è abituato a rotolarsi con le ghiande (parafrasando il Cirano di Guccini), il livello si alza ancora. Ma è doveroso farlo, è doveroso interrogarsi, comprendere, capire, non fermarsi allo strazio del momento. Ci sono domande che già nelle ore dell’esplosione si sono poste amministratori, forze dell’ordine, la Procura, i sindacati, la stessa società. Così come coloro che intervennero dopo l’esplosione del 2020, presentando anche esposti alla magistratura, ovvero il Forum H2O rappresentato da Augusto De Sanctis e Rifondazione Comunista con il segretario nazionale Maurizio Acerbo.
Tra i punti sollevati dopo l’esplosione del 2020 ci furono le direttive Seveso e il Piano di Emergenza Esterna, il PEE. Nuovamente sollevato dopo l’esplosione di tre mesi fa. Come abbiamo riportato in vari articoli abbiamo posto alcuni interrogativi alla Prefettura e inoltrato richiesta di accesso civico quasi due mesi fa. In una prima risposta ci è stato inviato il decreto di approvazione e uno stralcio del PEE. Aggiungendo che era stato inoltrato il nostro accesso ai “portatori d’interesse” per verificare la sussistenza di motivi ostativi all’ostensione di tutto il PEE. A ridosso della scadenza dell’accesso civico dalla Prefettura è arrivata la risposta “definitiva”. Con l’invio di un file contenente uno stralcio del PEE (file identico a quello da noi già ricevuto) “Edizione 2008”.
Al termine della nostra prima richiesta e dell’accesso la sintesi delle risposte della Prefettura di Chieti è che il Piano esiste da quindici anni (periodo in cui c’è stato un incidente finito agli onori della cronaca e l’esplosione che ha ucciso 3 lavoratori nel dicembre 2020, oltre la nuova norma del 2015, richiamata nella loro risposta alla nostra prima PEC ), che il 13 settembre non è servito attivare il PEE (sono stati sgomberati oltre 20 residenti) e che non esisterebbe nessun obbligo di pubblicare online nella sezione relativa al rischio industriale i Piani di Emergenza Esterna.
2023-12-13 19:08:45
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