La tutela della salute è importante, bisogna sostenere e supportare la sanità, le cure devono essere al centro dell’interesse generale, ne usciremo migliori, più forti ed impareremo le lezioni. Quante volte frasi del genere sono state dette e ridette, scritte e riscritte dall’arrivo della pandemia, del lockdown e degli ospedali in profondo affanno? Tante, troppe.
Quanto c’è di vero, quanto è rimasto di quelle parole?
Zero, nulla di nulla. Lo dimostrano l’abbandono denunciato da molti sanitari, lo documenta il livello del sostegno agli ospedali (quattro anni dopo ci sono ospedali che si ritrovano meno terapie intensive o al massimo lo stesso numero del 2019, per esempio) e alla sanità pubblica.
Nel momento in cui si è iniziato a discutere di vaccinazioni in Italia e in tutta Europa sorse una campagna, con la partecipazione di moltissime organizzazioni, attivisti, militanti e cittadini, che chiese l’abolizione dei brevetti e il perseguimento del solo interesse pubblico collettivo. Così da evitare una distribuzione classista, per pochi privilegiati ricchi e benestanti e anche negli Stati più impoveriti del mondo. Mettendo la salute al centro e non il profitto delle multinazionali.
Sappiamo come è andata a finire e il disastro su Astrazeneca (poi addirittura ribattezzata), la scarsa se non nulla trasparenza sugli accordi tra Unione Europea, Stati e multinazionali, l’assenza o quasi di vaccinazioni nei Sud del Mondo, le campagne mediatiche floreali mentre si arrancava, l’elenco potrebbe essere lungo delle conseguenze del non sostegno dei governi alla campagna per il diritto universale alla salute. Ma è questo solo una delle vicende più eclatanti di un sistema molto più diffuso e dalle nefaste conseguenze sulla salute di tutti, soprattutto dei più fragili della società. A partire dai malati terminali, oncologici o con patologie gravi permanenti.
Il 2 febbraio l’Ansa riporta in un lancio di agenzia che «il 25% delle morti da tumore in Italia» è legato alla «bassa istruzione». Leggendo l’articolo si scopre che il livello di istruzione è determinante perché ad esso si lega il tenore di vita e le disponibilità economiche dei malati. La salute e le cure sono una questione di classe e di privilegi, chi è ricco si salva, chi è impoverito si vede negato il diritto all’accesso alla sanità e alle stesse cure.
Nelle scorse settimane si è registrata una nuova emergenza Creon, la totale assenza di questo medicinale composto di enzimi epatici fondamentale e prezioso per i malati oncologici per cancro al pancreas distribuito in Italia dalla multinazionale statunitense Viatris e prodotto dal gruppo multinazionale statunitense Abbott. Alla fine dopo che l’AIFA ci ha informato che sta monitorando la situazione e che stavano trattando con la società (unica di un medicinale che di fatto non ha alternative) per lo sblocco dell’arrivo in Italia di un lotto di Creon, come poi accaduto.
Tutto risolto?
Assolutamente no. Perché l’attuale carenza rimarrà almeno fino alla fine dell’anno prossimo. E l’attuale emergenza non è la prima per quanto riguarda il Creon: la prima ci fu addirittura nel 2016-2017, ci fu anche un’interrogazione dell’allora parlamentare Binetti al governo. La risposta letta in Aula dall’allora sottosegretario Faraone non fu assolutamente risolutiva, praticamente nulla fu detto sulle cause e su come si sarebbe intervenuto. Binetti lo sottolineò nella sua replica aggiungendo che di fronte una situazione del genere, che mette a rischio la salute di migliaia di malati, ci vorrebbe una legge che stabilisca pene e sanzioni gravissime.
Sono passati quasi sette anni e di risposte sulle cause di fatto non ne abbiamo, i malati oncologici continuano a subire le carenze e la multinazionale con una mano ad incassare e l’altra a tirare avanti con la salute delle persone. Non soltanto non ci sono mai state risposte sulle cause delle emergenze e non si hanno notizie in questi sette anni di provvedimenti per la sua fine, abbiamo avuto anche il dito puntato contro i malati: non ci sarebbero state richieste di importazione dall’estero e quindi la società non sapeva che serviva.
Al paradosso di chi ha affermato, praticamente, che non sapeva che doveva importare dall’estero si aggiunge una domanda che finora nessuno ha posto esplicitamente: ci sono Stati in cui, quindi, abbonda il Creon? Il produttore favorisce alcuni mercati rispetto ad altri? Mentre i pazienti rischiano la vita il profitto sta guidando la mano che approvvigiona?
Ma il Creon non è l’unico farmaco indispensabile alla vita su cui esiste un’emergenza da totale carenza. Secondo dati forniti dall’Aifa sono 3.500 i farmaci, soprattutto salvavita, di cui c’è una grande carenza. Tra questi ci sono medicinali come il Creon o alcune insuline che non hanno alternative. Tra i più carenti il fenobarbital per la cura dell'epilessia, il semaglutide per la cura del diabete ed il liraglutide, tra gli altri ci sono antibiotici, antitumorali, antidiabetici, farmaci che agiscono sul sistema nervoso centrale.
Dagli antibiotici ai farmaci cardiovascolari e respiratori, continua la carenza di gran parte dei medicinali. Lo certifica il Rapporto annuale dedicato al fenomeno, elaborato dall'Associazione europea delle farmacie e dei farmacisti (Pgeu) che per il 2023 descrive una situazione peggiorata rispetto agli anni precedenti. Solo nei Paesi Bassi lo scorso anno si sono registrate 2.292 carenze che hanno interessato circa 5 milioni di persone. Altri Paesi come Svezia, Portogallo e Spagna hanno registrato un aumento significativo del numero di carenze.
Nel 2023 – emerge dal report – ogni farmacia dell'Ue ha dedicato in media quasi 10 ore settimanali per far fronte alle carenze, tempo prezioso che potrebbe essere dedicato ad altri compiti come fornire consigli ai pazienti sull'uso sicuro ed efficace dei medicinali. Le farmacie fanno ancora più fatica, poi, perché alle carenze delle forniture si è aggiunta quella di personale sanitario.
"Nonostante i farmacisti continuino a impegnarsi per trovare soluzioni – commenta Aris Prins, presidente della Pgeu – le carenze lasciano ancora molti pazienti senza la terapia prescritta. Questa situazione provoca frustrazione e disagio in molti assistiti e mina la loro fiducia nei farmacisti e nel sistema sanitario. Causano inoltre stress al personale delle farmacie e impongono un onere amministrativo aggiuntivo al lavoro quotidiano al banco". Secondo l'associazione dei farmacisti europei, la riforma della legislazione farmaceutica Ue "rappresenta un'opportunità unica per costruire una catena di approvvigionamento più resiliente e migliorare la prevenzione, il monitoraggio e la gestione delle carenze", sottolinea Prins.
"Tuttavia – esorta – abbiamo bisogno di misure immediate per affrontare questo problema cronico e invertire la tendenza, che i farmacisti denunciano da oltre un decennio. Chiediamo una notifica tempestiva delle carenze, un'informazione più puntuale ai farmacisti e una ridistribuzione più equa dei medicinali tra i Paesi", afferma il presidente della Pgue.
(Adn Kronos 30 gennaio)
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2024-02-21 11:55:23
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