Dopo le critiche, i pesanti attacchi e il divieto di trasmettere le repliche in estate torna, già da qualche tempo, il programma giornalistico d’inchiesta “Report” condotto da Sigfrido Ranucci.
Nella puntata di domenica 12 maggio torna ad occuparsi del rapimento e della morte dell’onorevole Aldo Moro, della strategia della tensione che colpisce l’Italia dalla nascita della Repubblica e del filo nero che collega tutti gli omicidi e le stragi a partire dalla morte di Enrico Mattei il 27 ottobre 1962 alle stragi che colpirono la Sicilia e “il continente” nel biennio 1992-1993.
“Le vite di Aldo Moro, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Pio La Torre e Piersanti Mattarella sono state sacrificate sull’altare dell’aspirazione italiana verso una maggiore indipendenza? Ma chi sono i veri responsabili delle loro morti? Queste domande, ancora oggi senza risposta, continuano a echeggiare, gettando un’ombra sulla verità storica e minando il legame tra cittadini e politica.
È chiaro che le Brigate Rosse, il presunto dossier mafia appalti, o la pista mafiosa nell’omicidio di Mattarella, non bastano a spiegare la complessità di quei momenti cruciali. Per comprendere appieno il contesto, è necessario immergersi nei loro mondi, nei loro sforzi instancabili per un cambiamento.
Attraverso testimoni di spicco dell’epoca emergono dettagli di un’Italia sottoposta da sempre a una sorveglianza speciale.”
Infatti spuntano nuove rivelazioni, nuove carte tenute nascoste con l’intento di non voler conoscere la verità su quella parte oscura del nostro paese, il coinvolgimento di Stati Uniti, Francia, Germania ma soprattutto Gran Bretagna, l’eventuale coinvolgimento del brigatista Giovanni Senzani, la presenza di solamente 9 brigatisti in via Fani e il pericolo che il resto non fossero brigatisti bensì soggetti istituzionali mandati intenzionalmente.
E ancora il memoriale non rivelato del tutto dai brigatisti e il cambiamento di rotta tra le parole del quinto e sesto comunicato, dove si passa dal voler rendere tutto pubblico alla decisione presa di uccidere Moro e non rivelare più nulla.
Perché si sono tenute nascoste le parole scritte di Moro su Gladio, P2 e Andreotti?
Inoltre le parole di Claudio Signorile, allora vicesegretario del Partito Socialista, il quale era stato convocato dall’allora Ministro Cossiga (forse per crearsi l’alibi?) e dove avevano ricevuto la notizia del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro ben più di un’ora prima dalla telefonata che venne fatta dal brigatista Valerio Morucci al professore Franco Tritta dove annunciava il ritrovamento del corpo di Aldo Moro.
Come facevano a saperlo già questori, prefetti, ministri e altri?
Il collegamento con la morte del Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, del segretario del Partito Comunista in Sicilia Pio La Torre e di altri esponenti i quali avevano le stesse ideologie e intenzioni di Moro e cioè il coinvolgimento del PCI al governo.
Poi si passa alle stragi di mafia e di quando Falcone intuì i legami tra apparati statali e sistemi criminali. A dirlo è stato il professore Pino Arlacchi. Ed ancora la volontà dell’attuale commissione nazionale antimafia che vuole indagare in maniera unica sulla strage di via d’Amelio, togliendo quella visione d’insieme che aveva dato una svolta alle indagini in Sicilia e che era stata un’idea geniale del magistrato Giovanni Falcone.
Fino ad arrivare, ancora una volta, a ritenere solamente il dossier Mafia e Appalti come unico muovente dell’accelerazione della strage di via d’Amelio e lasciare in disparte la Trattativa Stato-Mafia.
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immagine di copertina di Report
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