“Una vita contro la camorra” di Paolo De Chiara è una “scomoda testimonianza”, forte e allo stesso tempo toccante, che descrive accuratamente le vicissitudini di un testimone di giustizia, deciso ad uscire vincitore nella lotta contro la criminalità organizzata.
Il libro offre uno spaccato di vita diretto e proprio delle difficoltà e dei pericoli costretti ad affrontare coloro che scelgono di denunciare i poteri forti e corrotti dalle mafie, consapevoli di mettere a rischio non solo la propria vita per il bene della società, ma anche quella delle rispettive famiglie.
Il protagonista, Giovanni Falconera, è un giovane squattrinato alla ricerca di un’occupazione. Durante una festa organizzata a conclusione di una campagna elettorale, entra in contatto con individui di dubbia moralità, arricchiti da soldi provenienti da illeciti e facili guadagni. Tra questi, emerge una figura particolarmente influente che gli propone un’opportunità lavorativa di alto livello, promettendogli ingenti corrispettivi e vari vantaggi. In questo modo, e senza volerlo, Giovanni si ritrova immischiato in una fitta trama di corruzione e criminalità.
Appalti pubblici truccati, lavori mal eseguiti, manodopera non specializzata e materiali scadenti sono alla base del grosso guaio in cui si troverà coinvolto. Ma sarà il crollo di un casello autostradale che lo spingerà ad indagare, denunciare e collaborare con le forze dell’ordine, assumendo così la posizione di testimone di giustizia. Attraverso una descrizione dettagliata e attenta, il libro segue passo dopo passo la trasformazione del protagonista: da semplice responsabile della sicurezza, Giovanni diventa il principale perno di un importante processo contro la criminalità organizzata.
In breve tempo, viene inserito in un programma di protezione, convinto che questo sia per lui un nuovo inizio, fatto sì di difficoltà e rinuncia, ma mai avrebbe immaginato di vedersi costretto ad abbandonare la sua famiglia, i posti a lui conosciuti e soprattutto la sua vera identità. È l’inizio dell’inferno che lo porterà all’isolamento, a momenti di depressione, sconforto e persino a contemplare il suicidio come via di fuga verso la libertà."
In questo libro, De Chiara utilizza uno stile diretto e coinvolgente, riuscendo a catturare l’attenzione del lettore fin dalle prime righe e mantenendo l’interesse sempre a un livello costante fino alla fine.
È diretto, chiaro ed emozionante, a volte irriverente e pungente, con l’intento di stimolare il pensiero critico nel lettore. La capacità di trasmettere i messaggi in maniera efficace, senza giri di parole, e l’innata abilità di creare un legame emotivo con il pubblico, sono il suo tratto distintivo. Nonostante la storia non sia scritta in prima persona, risulta comunque intima e toccante perché è in grado di trasfondere non soltanto le emozioni ma anche la percezione del pericolo vissuti dal protagonista.
Il libro segue in ordine cronologico i fatti fondamentali della storia di Giovanni, alternando momenti di tensione a quelli di riflessione personale del protagonista, permettendo così al lettore di immergersi completamente nel viaggio emotivo del testimone di giustizia.
Il focus del libro è il coraggio di denunciare e l’impellente necessità di Giovanni di riscattare la sua persona, per lungo tempo trattata, anche dallo Stato, come un peso o un qualunque delinquente. De Chiara non si limita a riportare semplicemente i fatti accaduti, si spinge oltre, scandagliando la personalità del testimone, evidenziando la solitudine, la paura e il senso di responsabilità che accompagnano la scelta di testimoniare. Il concetto è inequivocabile: anche ‘una vita (persona) contro la camorra’ può far la differenza
La nuova pubblicazione di De Chiara, edita da Bonfirraro, si differenzia da altri lavori che trattano lo stesso argomento, per la sua semplicità e l’autenticità con la quale indaga sulle inevitabili conseguenze che comporta la scelta di diventare testimone di giustizia.
Il punto di forza è nella sua capacità di descrivere il protagonista nella sua umana fragilità mostrando non solo l’eroe ma anche la parte più vulnerabile e i dubbi che si insinuano nella sua mente. La descrizione e l’attenzione messi nel raccontare i dettagli della vita sotto protezione del testimone di giustizia, rendono la lettura coinvolgente e istruttiva sotto molti aspetti.
‘Una vita contro la camorra’ è un libro a cui non si dovrebbe rinunciare se si è interessati alle storie di uomini e donne di coraggio e alla lotta per la legalità. La vicenda di Giovanni Falconera è non solo avvincente, ma la profondità emotiva che emerge durante la lettura la rende un’esperienza toccante e stimolante per chiunque voglia conoscere meglio le sfide e i sacrifici a cui sono costretti i testimoni di giustizia.
Un libro che mette in luce una realtà troppo spesso celata, che merita rispetto e ammirazione verso coloro che, nonostante tutto, scelgono di denunciare.
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«Ho denunciato e ho firmato la mia condanna a morte. Ma ho salvato tante vite umane»
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Paolo De Chiara autore del libro
Una fimmina calabrese, così Lea Garofalo sfidò la ‘ndrangheta
Questa è la storia di Lea Garofalo, la donna-coraggio che si è ribellata alla ‘ndrangheta, che ha tagliato i ponti con la criminalità organizzata. Nata in una famiglia mafiosa, ha visto morire suo padre, suo fratello, i suoi cugini, i suoi parenti, i suoi amici, i suoi conoscenti.
Un vero e proprio sterminio compiuto da uomini senza cuore, attaccati al potere e illusi dal falso rispetto della prepotenza criminale.
Lea ha conosciuto la ‘ndrangheta da vicino: come tante donne, ha subìto la violenza brutale della mafia calabrese. Ha denunciato quello che ha visto, quello che ha sentito: una lunga serie di omicidi, droga, usura, minacce, violenze di ogni tipo. Ha raccontato la ‘ndrangheta che uccide, che fa affari, che fa schifo! È stata uccisa perché si è contrapposta alla cultura mafiosa, che non perdona il tradimento – soprattutto – di una fimmina.
A 36 anni è stata rapita a Milano per ordine del suo ex compagno, dopo un precedente tentativo di sequestro in Molise, a Campobasso.
La sua colpa? Voler cambiare vita, insieme a Denise. Per la figlia si è messa contro il convivente, i parenti, il fratello Floriano.
In questo Paese «senza memoria» lo Stato dovrebbe vergognarsi per come ha trattato e continua a trattare questi cittadini onesti, che hanno semplicemente fatto il proprio dovere. Gli esempi non possono essere accatastati.Devono poter sbocciare come candide rose, per inebriare le nostre menti delle loro passioni, della loro forza e del loro immenso coraggio. Senza dimenticare i familiari delle vittime, nemmeno loro possono essere lasciati soli.
Le mafie, sino a oggi, hanno ucciso più di 150 donne. Solo grazie alle fimmine è possibile immaginare un futuro diverso per questo Paese, un futuro senza il puzzo opprimente di queste organizzazioni criminali, che possono tutto per la loro immensa potenza economica e militare. Per i loro legami secolari con la politica e le Istituzioni. Con Lea e con Denise non hanno potuto nulla.
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OMICIDIO LEA GAROFALO. Il suo assassino è ritornato per quattro ore in paese, a Pagliarelle (Crotone). Ufficialmente per fare visita a sua madre "moribonda". La donna, Piera Bongera, solo qualche giorno prima è stata vista arzilla e serena in un supermercato. Cosa hanno in mente questi criminali? Perchè sul territorio è rientrato anche il cugino Vito Cosco, implicato nella strage di Rozzano? Per l'avvocato Guarnera: «Hanno preparato l'ambiente per dare un segnale allo stesso ambiente».
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