La riforma sull’autonomia differenziata è stata approvata pure alla Camera nella notte del 19 giugno, dopo un lungo iter fatto pure di scontri pressoché politici. È favorevole o contrario? Perché?
Premessa formale: gli scontri sono stati politici, non pressoché politici. Nel senso che sia coloro che sono pro sia coloro che sono contro ritengono fino a prova contraria di perseguire l’interesse della polis, cioè l’interesse della collettività.
Premessa generale: nella funzione di erogatore di servizi lo Stato è in genere inefficiente, perché le decisioni che riguardano i servizi alla popolazione sono migliori se prese in periferia, dove la popolazione vive, piuttosto che nella lontana capitale.
Premessa sostanziale: in quanto rappresentante di un’autonomia speciale, l’Alto Adige, sono sempre a favore dell’autonomia per principio, perché credo che l’autogoverno consapevole delle singole comunità territoriali del nostro paese porti vantaggio a tutti.
Detto ciò, io sono contrario a questa autonomia così come è stata proposta, perché non è un’autonomia vera, bensì una delega dello Stato alle Regioni a svolgere determinate competenze rigidamente controllata dallo Stato stesso, che si riserva di riprendersi in carico le competenze delegate se non si rispettano le regole da lui medesimo date, in particolare i LEP. In sostanza un’impostazione del tutto centralista, per cui lo Stato dice alla Regione: ti do l’autonomia, ma tu la eserciti come dico io e dove dico io, e se io decido che non sei stata brava me la riprendo. Se si fosse seguita questa logica con le Autonomie Speciali questa non sarebbero mai nate: gestire l’autonomia non è facile, bisogna imparare, un’intera classe politica e di funzionari pubblici deve imparare, ed è notorio che è sbagliando, che si impara.
Questa autonomia differenziata neppure prevede risorse economiche aggiuntive per far partire l’autonomia nelle Regioni che ne fanno richiesta, e quindi, tra l’altro, non prevede che si possa sbagliare. Lo Stato dimostra così di non credere nel concetto basilare, dimostrato in tutti gli Stati federali: l’autonomia funziona meglio del centralismo.
Infine una riflessione sull’Autonomia Speciale che rappresento in Senato, quella delle due Province Autonome di Bolzano e di Trento: è noto che in Italia noi autonomi siamo visti con sospetto, come dei privilegiati ai quali sarebbe bene togliere i privilegi, e non come un esempio da seguire. L’esempio di chi, sganciandosi dallo Stato, riesce a costruirsi con l’autogoverno una qualità della vita migliore.
Che valutazione generale dà al ddl Calderoli?
È un atto di pura propaganda, per poter dire: avevo fatto una promessa e l’ho mantenuta. Il fatto che poi porti beneficio alla popolazione, o no, non rileva.
C’è chi dice che per primi, questa legge, l’ha voluta il centro sinistra con il Titolo V della Costituzione nel 2001. È giusta questa analisi?
Guardi, la mia sensibilità istituzionale mi porta ad applicare le leggi in quanto approvate dal Parlamento, senza andare a vedere chi le ha approvate e quando, perché in democrazia ogni epoca ha condizioni, equilibri politici e bisogni della popolazione diversi. Di conseguenza considero questa domanda mal posta e di parte, in linea con uno dei mantra propagandistici dell’attuale maggioranza di governo, che in sostanza ripete in continuazione: prima c’eravate voi (e avete sbagliato tutto) ed ora ci siamo noi che non sbagliamo mai ma ci portiamo dietro il peso dei vostri errori.
In ogni caso il Titolo V della Costituzione costituisce il presupposto giuridico di questa proposta di riforma.
Il Titolo V riformato nel 2001 afferma il principio di sussidiarietà verticale, non solo tra Stato e Regioni, ma tra Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni. Tale sussidiarietà, in linea di principio, oltre a venire incontro alle specificità dei territori, dovrebbe avvicinare i servizi ai cittadini, dando loro un maggior controllo su come vengono spesi i soldi delle tasse da essi pagate. Ritiene che tale principio sia valido, ben espresso dall’attuale Titolo V e, infine, ben rispettato dal ddl di attuazione? Se no, perché?
Il Titolo V esprime un principio generale che ritengo non solo valido, ma fondamentale per il futuro del Paese, per tutto quanto detto sopra. Il fatto che in oltre vent’anni non abbia avuto seguito è un evidente indizio che non è scritto al meglio e che andrebbe riformulato. Il ddl di attuazione è destinato con grande probabilità a non funzionare per i motivi descritti nella prima risposta.
Titolo V nel 2001 voluto dal centro sinistra e criticato dal centro destra e Ddl Calderoli oggi voluto dal centrodestra e criticato dal centro sinistra. Non si corre il rischio che il tutto si concluda solo come una mera opposizione politica mettendo da parte i veri bisogni dei cittadini?
Fare politica significa impegnarsi nell’interesse dei cittadini. Se ci sono visioni diverse, si discute. Se una maggioranza porta al voto un provvedimento non condiviso, chi non lo condivide vota contro. Così è fatta la nostra democrazia. Il resto sono speculazioni e opinioni, legittime ma che nulla hanno a che vedere con il funzionamento del Parlamento.
Diversi sindaci hanno fatto appelli o pressioni alle Regioni (vedi caso Calabria) per impugnare la legge sull’autonomia differenziata dinanzi alla Corte Costituzionale. Che cosa ne pensa?
Impugnare una legge è un modo di agire previsto dalle nostre regole democratiche. Se un cittadino o un Ente ritiene che sia la cosa giusta da fare, ha ragione a farla.
Io non lo farei, perché:
– non si può escludere e priori che in corso d’opera vengano messe a disposizione risorse economiche che oggi non ci sono e che, a seguito di ciò e con alcuni necessari aggiustamenti che oggi non sono all’orizzonte, l’autonomia differenziata possa in effetti, nel tempo, almeno in qualche misura funzionare; sempre meglio un’autonomia imperfetta e perfettibile che nessuna autonomia, ma meglio nessuna autonomia che un’autonomia destinata irrimediabilmente a fallire
– è in ogni caso sbagliato affidare al potere giudiziario il compito di decidere se una regola decisa dal potere legislativo su indicazione del potere esecutivo sia corretta o no. I poteri dello Stato sono tre: già il potere giudiziario prevale per tanti aspetti sugli altri due, se gli facciamo pure decidere come devono essere le leggi rendiamo la magistratura il dominus indiscusso del Paese.
Andiamo ai Lep perché è qui che la maggior parte del panorama politico si spacca: c’è chi afferma che sarà più dannoso per le regioni del sud e c’è chi dice che sarà un aiuto concreto e che finalmente farà mettere tutte le Regioni d’Italia sullo stesso livello. Quale dei due casi è giusto secondo lei e perchè?
C’è un equivoco di fondo quando si dice “mettere tutte le Regioni d’Italia sullo stesso livello”: le Regioni d’Italia non saranno mai sullo stesso livello, perché una casa a Milano costa molto di più di una casa analoga in una regione del Sud e un kg di pane a Bolzano costa cinque volte più che a Palermo.
Per questo l’idea stessa dei LEP come riferimento per i finanziamenti statali alle Regioni è a mio avviso sbagliata in partenza. Lo Stato dovrebbe dare a tutte le comunità territoriali del Paese gli strumenti per costruirsi un futuro migliore, concertandole Regione per Regione in base ai bisogni e, col tempo, in base alla capacità di autogovernarsi con efficienza: e invece così cala dall’alto strumenti che hanno lo scopo, come detto nella domanda, di mettere tutti sullo stesso livello, cosa impossibile e di fatto inutile, che serve solamente a chi controlla per controllare più facilmente. Del resto è tipico dell’Italia fare norme che facilitano chi controlla e non chi lavora.
C’è chi afferma, però, che con l’autonomia differenziata di risorse ce ne saranno sempre di meno…
Risorse non ce ne sono proprio, al momento.
Ma secondo lei bastano questi Lep a garantire diritti di cittadinanza uguali per tutti?
Penso che Lei stia facendo riferimento all’art. 3 della Costituzione, che istituisce ed articola il principio di uguaglianza formale e sostanziale tra i cittadini: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” Se è così, non vedo cosa c’entrano i LEP: i diritti di cittadinanza, ovvero le condizioni di partenza uguali per tutti, sulla base delle quali ciascuno ha la possibilità di costruirsi il modo di vivere migliore rispetto alle sue aspirazioni, sono dati.
I LEP avrebbero lo scopo di garantire servizi pubblici di pari livello per tutti i cittadini italiani, ma alle condizioni date non funzioneranno mai perché non sono finanziati e non si sa se e in che misura lo saranno, e perché il costo della vita nelle diverse Regioni d’Italia è molto diverso.
Andando al tema sanità, tema così tanto delicato nel nostro paese, che impatto avrà questa legge proprio sulla sanità?
Potrebbe averne nella misura in cui vi saranno competenze statali passate alle Regioni in relazione coi servizi sanitari: per esempio la costruzione e la manutenzione degli edifici ospedalieri o la realizzazione di infrastrutture per la mobilità che favoriscano la riduzione dei tempi di accesso agli ospedali.
Trova aspetti critici in questo Ddl? Se è si, quali e perché?
Li ho espressi nelle risposte precedenti.
A conti fatti qual è il vero scopo di questa manovra?
Bisogna chiederlo a chi la propone.
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