Rivolto a Sandro Pertini (futuro Presidente della Repubblica): «Guai a noi se domani non sapremo dimenticare le nostre sofferenze, guai se nella nostra condanna investiremo tutto il popolo tedesco».
Il 4 aprile 1909 nasceva Leone Ginzburg, figura luminosa e tragica della cultura italiana del Novecento. Intellettuale, traduttore, editore, ma soprattutto antifascista, pagò con la vita la sua fedeltà alla verità, alla libertà e alla dignità umana. Morì a soli 35 anni, il 5 febbraio 1944, nel carcere di Regina Coeli, ucciso dalle torture delle SS, dopo essere stato arrestato dai fascisti italiani.
Nato a Odessa in una famiglia ebraica, Leone Ginzburg si trasferì giovanissimo a Torino, dove divenne una figura centrale dell’antifascismo. Brillante classicista e fondatore della casa editrice Einaudi, Ginzburg rifiutò sempre ogni compromesso col regime. Quando nel 1934 ottenne la cittadinanza italiana, rifiutò di firmare il modulo che imponeva la fedeltà al fascismo. Una scelta che lo portò all’arresto, al confino, e infine alla morte.
Dopo la caduta di Mussolini, aderì al Partito d’Azione, diventandone uno dei riferimenti intellettuali. Partecipò alla stampa e diffusione del giornale clandestino “L’Italia Libera”, voce della resistenza romana. Il 20 novembre 1943 fu arrestato nella tipografia in via Basento, dove lavorava in clandestinità. Fu consegnato alle SS dalle autorità fasciste italiane e detenuto nella famigerata cella numero 4 del braccio tedesco a Regina Coeli.
Le torture furono disumane. Morì senza parlare, senza mai tradire.
La sua coscienza è incisa nella storia della libertà italiana. Leone Ginzburg è il simbolo di una Resistenza fatta non solo di armi, ma anche di parole, idee, coerenza morale.
Era il marito di Natalia Ginzburg e padre di tre figli, tra cui Carlo Ginzburg, storico tra i più importanti del XX secolo. La sua eredità è oggi più attuale che mai, in un tempo in cui la memoria rischia di essere usata come slogan o dimenticata.
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